L’emergenza sanitaria dovuta al diffondersi del Coronavirus Covid-19 nelle settimane passate aveva determinato diverse riflessioni sull’opportunità di adottare lo smart working nei Paesi più a rischio per prevenire e contenere il contagio. Questi scenari che sembravano lontani dalla nostra quotidianità nelle ultime ore si sono invece repentinamente concretizzati per molti italiani.
Negli ultimi giorni, con l’escalation del virus nel Nord Italia, anche nel nostro Paese numerose aziende hanno dato indicazione ai propri lavoratori di non recarsi in ufficio e di svolgere le attività lavorative da casa per (almeno) una settimana. Gli effetti di queste scelte, combinate coi provvedimenti adottati dalla Regione Lombardia, sono già evidenti a Milano, dove mezzi pubblici, esercizi commerciali e molti uffici sono semi-vuoti. In città, ma non solo, sono infatti numerosi i casi di aziende che hanno deciso di applicare lo smart working diffusamente. Enel ad esempio ha disposto l’applicazione del lavoro agile “fino a data da destinarsi per tutti i colleghi che lavorano o hanno residenza in uno dei comuni interessati da ordinanze pubbliche” relative al coronavirus. Una situazione simile è stata implementata anche da Gucci, Tim, Eni, Unicredit, Danone, EY e anche da alcuni enti pubblici, come il Comune e l’Università Statale.
Il dibattito sul lavoro agile che prosegue da tempo ha dovuto fare i conti con il bisogno delle aziende di sentirsi tutelate sul fronte normativo, in particolare sul tema della sicurezza, e sul fronte produttivo attraverso la necessità di cambiare le strategie di gestione e controllo delle persone agendo sul fronte culturale. Sono aspetti che richiedono tempo per essere consolidati ma la situazione di emergenza impone soluzioni rapide che preservino la produttività e tutelino i lavoratori. E lo smart working – pur essendo limitato ad alcune mansioni e attività – rappresenta uno strumento immediatamente disponibile perché le imprese non interrompano l’attività produttiva e garantiscano, in parte, la tenuta economica in questa particolare situazione.
Un aiuto in tal senso viene dal Decreto "Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19" del 23 febbraio, con cui il Governo è intervenuto introducendo la possibilità per le imprese situate nelle zone a rischio contagio di applicare in maniera automatica il lavoro agile per tutti i lavoratori subordinati, anche in assenza di un accordo individuale (cosa, altrimenti, non possibile stando alla Legge 81/2017 che regolamenta la materia). Il Decreto riguarda le "aree considerate a rischio nelle situazioni di emergenza nazionale o locale". Ci si augura che la misura possa applicarsi a tutte le aree progressivamente interessate dall’emergenza, così da favorire una soluzione che aiuti a ridurre gli spostamenti e la possibilità di contagio. La chiusura delle scuole inoltre amplifica il bisogno di lavorare a distanza per moltissimi lavoratori che hanno necessità di conciliare gli impegni familiari con quelli lavorativi.
Siamo in una situazione che richiede a tutti un grande impegno: alle aziende di rendersi flessibili nel gestire attività e persone, ai lavoratori di essere responsabili. Al Pubblico di facilitare il tutto. Nell’immediato si tratta di una sfida nella sfida, ma in prospettiva potrebbe offrire spunti anche per definire il futuro normativo del lavoro agile nel nostro Paese.