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Primo Welfare

Con il termine “primo welfare” ci riferiamo al sistema tradizionale di protezione sociale organizzato e gestito dallo Stato tra fine Ottocento e inizio Novecento per rispondere a rischi e bisogni sociali dei cittadini. Per questo esso è spesso indicato anche come “Welfare State” o “Stato Sociale”

Il primo welfare include una serie di politiche pubbliche e programmi “essenziali” – come pensioni, assistenza sanitaria, tutele contro la disoccupazione, istruzione, politiche per la famiglia, politiche abitative, etc. – che intendono garantire il benessere dei cittadini attraverso la redistribuzione delle risorse e la fornitura di servizi.

Il primo welfare rappresenta quindi la base del sistema di protezione sociale. Su di esso si innestano le evoluzioni e le integrazioni del secondo welfare, che coinvolge attori non-pubblici (Terzo Settore, aziende, corpi intermedi…) per rispondere ai rischi e bisogni in una logica sussidiaria e integrativa rispetto alle politiche pubbliche tradizionali.

Di seguito i nostri articoli in cui approfondiamo dinamiche e esperienze realizzate nel perimetro del primo welfare.

L’Italia, terzo Paese datore di lavoro domestico in Europa, ha ratificato la Convenzione ILO sul lavoro dignitoso per le lavoratrici e i lavoratori domestici, un settore che impiegherebbe 5,6 milioni di lavoratori, scarsamente tutelati e molto spesso vittime di sfruttamento.
E’ urgente l’approvazione della riforma dell’Indicatore della situazione economica del nucleo familiare (Isee), che consentirebbe allo Stato di risparmiare almeno 10 miliardi di euro l’anno combattendo sprechi ed evasione e potendo così finanziare un nuovo welfare più equo ed efficace. Di Maurizio Ferrera.
Per chi vuole saperne di più - non solo degli ammortizzatori sociali, ma dell’intero sistema di welfare oggi in vigore nel nostro Paese – Michele Salvati presenta il libro della collana storica della Banca d’Italia: "Alle radici del Welfare all’italiana. Origini e futuro di un modello sociale squilibrato", di M. Ferrera, V. Fargion e M. Jessoula. Un libro di storia, che percorre le principali tappe degli istituti che compongono il nostro welfare dalla loro origine sino ai nostri giorni, ma storia ragionata, che non si limita a descrivere in modo accurato come le cose sono andate, ma cerca di spiegare perché sono andate nel modo in cui andarono e perché oggi siamo di fronte a uno snodo decisionale cruciale.
“Noi offriamo! Noi domandiamo! Noi abbiamo realizzato!”. Inizia così il manifesto della Großmütter Revolution, la Rivoluzione delle nonne, nata per armonizzare le relazioni tra le diverse generazioni e rivendicare il riconoscimento sociale e economico del ruolo di nonna.
E' online dal 27 dicembre scorso il testo del Ministero per la Coesione territoriale "Metodi e obiettivi per un uso efficace dei Fondi comunitari 2014-2020", nel quale viene proposto un diverso metodo per un utilizzo delle risorse europee e nazionali "più tempestivo ed efficace" di quanto avvenuto per il bilancio europeo 2007-2013. Il testo individua, tra l'altro, sette innovazioni generali di metodo, configurando un "sistema di valutazione pubblica aperta"; quattro missioni/obiettivi per declinare la mission europea di uno sviluppo sostenibile, inclusivo e intelligente (Strategia Europa 2020); tre opzioni strategiche relative a Mezzogiorno, città, aree interne.
In gran parte d’Europa sui temi del welfare va formandosi un nuovo consenso “post-neoliberista”, nel quale si intrecciano, in versione aggiornata, elementi classici delle tradizioni liberal-democratica, social-democratica e in parte cristiamo-popolare. Maurizio Ferrera ha identificato questa emergente sintesi ideologica col termine neowelfarismo liberale.
Il governo cerca soluzioni al problema occupazionale ipotizzando una “staffetta” che spinga i lavoratori anziani ad accettare soluzioni part-time, prevedendo contributi aggiuntivi su base regionale che impediscano perdite pensionistiche, e consenta ai giovani di entrare nel mondo del lavoro. Si prospetterebbe così una sorta di “patto fra generazioni” incentivato dallo Stato, ma sarebbe una buona idea?
Nel corso degli ultimi anni le politiche sociali e occupazionali europee hanno evidenziato come la società vada verso un progressivo prolungamento della vita lavorativa e dell’età di pensionamento reale. Nei paesi dell’Unione Europea il tasso di occupazione tra i 65 e i 69 anni di età è salito dall’8,8% al 10,5% tra il 2005 e il 2011. Ma chi sono oggi i pensionati lavoratori? Quali attività svolgono? Quali iniziative possono intraprendere policy-makers, datori di lavoro e pensionati per gestire al meglio l’impatto di questa tendenza sull'intera società?