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Primo Welfare

Con il termine “primo welfare” ci riferiamo al sistema tradizionale di protezione sociale organizzato e gestito dallo Stato tra fine Ottocento e inizio Novecento per rispondere a rischi e bisogni sociali dei cittadini. Per questo esso è spesso indicato anche come “Welfare State” o “Stato Sociale”

Il primo welfare include una serie di politiche pubbliche e programmi “essenziali” – come pensioni, assistenza sanitaria, tutele contro la disoccupazione, istruzione, politiche per la famiglia, politiche abitative, etc. – che intendono garantire il benessere dei cittadini attraverso la redistribuzione delle risorse e la fornitura di servizi.

Il primo welfare rappresenta quindi la base del sistema di protezione sociale. Su di esso si innestano le evoluzioni e le integrazioni del secondo welfare, che coinvolge attori non-pubblici (Terzo Settore, aziende, corpi intermedi…) per rispondere ai rischi e bisogni in una logica sussidiaria e integrativa rispetto alle politiche pubbliche tradizionali.

Di seguito i nostri articoli in cui approfondiamo dinamiche e esperienze realizzate nel perimetro del primo welfare.

La Gran Bretagna ha il diritto di rifiutare l’accesso ad alcune prestazioni sociali ai cittadini europei senza lavoro e senza reddito. È quanto decretato dall’avvocato generale della Corte di Giustizia Europea in un parere non vincolante che tuttavia rappresenta una vittoria per il governo britannico. Il Premier David Cameron infatti da tempo si batte contro il «turismo del welfare», nel tentativo di contenere l’immigrazione e l’impatto sulla spesa pubblica. Una sentenza che apre nuovi interrogativi sul processo di costruzione dell’Unione Europea.
Renzi come Clinton e Blair? Il paragone è stato proposto dal politologo americano Fareed Zakaria durante la recente visita del nostro premier a New York. Non si è trattato solo di una captatio benevolentiae: la battuta esprimeva una diagnosi e un suggerimento su cui vale la pena di riflettere. La sinistra moderata europea è oggi allo sbando: qualcuno (forse Renzi?) dovrebbe raccogliere, aggiornandola, l’eredità della Terza Via, il suo patrimonio di idee e valori e, in particolare, i suoi progetti di modernizzazione del modello economico e sociale europeo.
C’è tempo fino al 5 novembre 2015 per votare uno dei progetti candidati al concorso cheFare, che promuove la realizzazione di iniziative di innovazione culturale in Italia, coniugando i valori di impresa e di sostenibilità economica con quelli della cultura. Tra questi I’AM SMART, che offre strumenti e supporto per chi vuole intraprendere un’attività nel settore culturale, anche in tempi di risorse scarse, incentivando occupabilità e imprenditorialità.
“In Italia l’accesso alla conoscenza e alla cultura rimane un problema per tanti bambini, in particolare per chi nasce in contesti familiari svantaggiati”. E’ questa l’amara considerazione che emerge dal rapporto “Illuminiamo il futuro 2030” di Save the Children pubblicato negli scorsi giorni e frutto di una ricerca partita nel 2014, dedicata interamente alle povertà educative. Secondo Save the Children eliminare la povertà educativa e spezzare le catene della diseguaglianza tra minori sono obiettivi possibili.
La Commissione europea, in collaborazione con la Banca europea per gli investimenti, assegnerà un premio di 2 milioni di euro da destinare a una sfida in campo sociale scelta dai cittadini, nell'ambito di Horizon 2020, il più ampio e importante programma quadro di ricerca e innovazione dell'UE. A partire dal 16 settembre e fino al 21 ottobre 2015 i cittadini potranno quindi esprimersi e scegliere tra cinque diverse sfide per individuare quale la nostra società dovrebbe prioritariamente affrontare nei prossimi anni.
Il nostro paese è tradizionalmente accusato, anche nel dibattito internazionale, di essere eccessivamente "familistico". Ma siamo davvero l’unico paese a soffrire di questa sindrome? Da tempo gli studiosi hanno messo in luce come il familismo sia in realtà un tratto caratterizzante di tutta l’Europa meridionale. Recentemente il dibattito ha spostato la sua attenzione ai paesi dell’Asia orientale. Seppure così distanti da noi, anche Giappone, Corea, Taiwan presentano un elevato livello di familismo. La cosa interessante è però che essi hanno imboccato vie promettenti per cambiare le cose e “liberare la famiglia”.
E’ scoppiato un caso negli Usa dopo la pubblicazione, sul Sunday Review del New York Times, di “A Toxic Work World”, in cui Anne-Marie Slaughter sostiene che la competizione tossica, deleteria appunto, del mondo del lavoro sta portando sempre più donne – ma anche uomini – ad abbandonare il lavoro, spesso per crescere i figli o accudire i genitori. Un problema che va risolto “costruendo un’infrastrutturazione della cura”, dando la giusta dignità al lavoro di cura.
Il Rapporto di Save the Children punta il dito su una vera e propria piaga scoperta del nostro modello sociale e di intervento pubblico. I livelli di povertà educativa degli studenti sono troppo bassi e nel Mezzogiorno sono addirittura indecenti. Save the Children formula raccomandazioni molto ragionevoli e alla nostra portata: più scuole, insegnanti più motivati e attenti al problema, azioni mirate nei confronti di chi rischia di più, tempo pieno, attività extracurriculari. Dovrebbe essere già tutto previsto dalla «Buona Scuola». Purtroppo però le leggi non bastano.
L'emergere di nuovi bisogni e la crescita della domanda di prestazioni e tutele sociali ha determinato negli ultimi anni una trasformazione quantitativa e qualitativa del fenomeno povertà. In Europa, oggi, 123 milioni di persone (il 24,5% della popolazione) sono a rischio povertà. In questo contesto risultano sempre più necessarie misure innovative di contrasto alla povertà e all'esclusione sociale per assicurare nuove forme di tutela, per contribuire alla crescita e allo sviluppo, e per garantire stabilità sociale.
l dibattitto in corso in Europa e, con particolare tensione polemica, in Italia sugli immigrati manifesta una forte preoccupazione per il repentino aumento dei flussi degli stranieri che sono già arrivati in Europa nei primi otto mesi del 2015. Ma ci sono un paio di domande alle quale nessuno dedica attenzione, che sono indispensabili per valutare l’impatto effettivo degli immigrati sul sistema economico e sociale europeo: a prescindere dagli ultimi flussi migratori, qual è la domanda reale di stranieri da parte dei 28 paesi europei nel corso dei prossimi anni, determinata dalla necessità di compensare la forte riduzione della popolazione autoctona causata dalla diminuzione delle nascite?
Come può un Paese ricco chiudersi a riccio di fronte al dramma dei profughi? C’è qualcosa di marcio nello Stato di Danimarca, diceva Marcello nell'Amleto di Shakespeare. Ma c’è una spiegazione più prosaica: la presenza di un agguerrito partito xenofobo in parlamento.
Il dibattito sul Sud deve oggi liberarsi completamente dai luoghi comuni, dalla rassegnazione gattopardesca, dall'illusione che i contrasti siano un valore. Siamo di fronte a un fallimento storico enorme, che coinvolge élite politiche di ogni colore e grandissima parte della classe dirigente meridionale. Non sembra esagerato dire che le debolezze di questa metà dell’Italia restano ancora oggi la madre di tutti i nostri problemi.
Le iscrizioni all’università stanno calando. Il dato è preoccupante, soprattutto se consideriamo che il numero di diplomati che proseguono gli studi è già molto basso. Diverse sono le cause di questo trend, che se non aggredito rapidamente potrebbe avere pesanti conseguenze. Se è vero che il successo economico dipenderà sempre di più dal capitale umano e dalla «conoscenza», l’Italia infatti rischia grosso.
Il progetto FamilyLine per l’accessibilità ai servizi rivolti alle famiglie è nato da un’idea della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le Politiche della Famiglia ed è stato realizzato grazie alla collaborazione di FormezPA, centro servizi specializzato nell’assistenza, negli studi e nella formazione per l'ammodernamento delle Pubblica Amministrazione.