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Il tema delle tutele del lavoro autonomo è al centro del volume “Libertà e lavoro dopo il Jobs Act. Per un garantismo sociale oltre la subordinazione”, di Giuseppe Allegri e Giuseppe Bronzini. Gli autori storicizzano all’interno delle lotte di classe la posizione del lavoro autonomo e indipendente di oggi, facendoci comprendere come esso sia portatore non soltanto di rivendicazioni economiche e di tutela ma anche di una visione progressista e innovativa delle relazioni di lavoro tout court. La recensione è a cura di Vittorio Sergi.
Il timore di molti analisti si è avverato. I dati Istat sull’occupazione relativi a febbraio 2016 sono una doccia fredda per il governo e per la valutazione sull’efficacia del Jobs Act e della decontribuzione. La paura era quella della fine del trend positivo delle assunzioni a tempo indeterminato una volta esauriti gli incentivi della legge di stabilità del 2015. Paura che sembrava sventata con i dati positivi di gennaio, celebrati come una conferma del cambio di rotta introdotto dalla riforma del mercato del lavoro.
Secondo Dario Di Vico, a differenza dei mesi scorsi, gli ultimi dati prodotti dall’Istituto nazionale di statistica vanno tutti nella stessa direzione: il tasso di disoccupazione scende, gli inattivi anche e il tasso di occupazione sale. È la prima volta che si registra questa uniformità e la novità va salutata sicuramente con soddisfazione. Due però sono le considerazioni da fare immediatamente per non peccare di parzialità.
Qualche settimana fa Adapt ha pubblicato il volume «Lavoro e Welfare della Persona. Un “Libro verde” per il dibattito pubblico» per rilanciare il dibattito sulla revisione del modello di welfare italiano. Abbiamo scelto di accettare l’invito fatto da Adapt, offrendo qualche riflessione, e qualche provocazione, in vista della stesura di un Libro bianco sul welfare (previsto per la Primavera 2016) che «contenga proposte concrete e rapidamente attuabili per tentare di sanare le disfunzioni rilevate».
Il 21 ottobre a Roma, presso la Camera dei Deputati, è stato presentato il Libro verde per il dibattito pubblico “Lavoro e welfare della persona” realizzato da Adapt. Il testo affronta le complesse dinamiche che riguardano il sistema sociale del nostro Paese che - a causa dei cambiamenti demografici, ambientali e tecnologici in atto - è chiamato a rinnovarsi profondamente per evitare il tracollo, offrendo alcune riflessioni circa le strategie che potrebbero essere adottate in tale senso.
Sono 212,1milioni i buoni lavoro per la retribuzione delle prestazioni di lavoro accessorio (i c.d. voucher di importo nominale di 10 euro), venduti da quando sono stati introdotti, nell’agosto del 2008, al 30 giugno 2015. E’ quanto si legge nel comunicato stampa del 9 ottobre dell’Inps, dove si informa che i dati del lavoro accessorio relativi al primo semestre del 2015, accompagnati un’analisi dell’andamento della distribuzione dei buoni lavoro dal 2008, sono stati pubblicati sul sito istituzionale dell’ente.
Siano essi legati alla non autosufficienza, alla cura e assistenza di minori, anziani, disabili, alla conciliazione tra vita e lavoro o ai processi di deospedalizzazione e costruzione di nuovi percorsi integrati di assistenza al domicilio, i white jobs oggi costituiscono uno dei punti nevralgici dei welfare europei. Ma quali sono le criticità che li contraddistinguono? Quali le opportunità di sviluppo future? Quali le politiche per incentivarli? Andrea Ciarini offre alcuni spunti interessanti partendo dal confronto tra Francia e Italia.
E’ scoppiato un caso negli Usa dopo la pubblicazione, sul Sunday Review del New York Times, di “A Toxic Work World”, in cui Anne-Marie Slaughter sostiene che la competizione tossica, deleteria appunto, del mondo del lavoro sta portando sempre più donne – ma anche uomini – ad abbandonare il lavoro, spesso per crescere i figli o accudire i genitori. Un problema che va risolto “costruendo un’infrastrutturazione della cura”, dando la giusta dignità al lavoro di cura.
Le iscrizioni all’università stanno calando. Il dato è preoccupante, soprattutto se consideriamo che il numero di diplomati che proseguono gli studi è già molto basso. Diverse sono le cause di questo trend, che se non aggredito rapidamente potrebbe avere pesanti conseguenze. Se è vero che il successo economico dipenderà sempre di più dal capitale umano e dalla «conoscenza», l’Italia infatti rischia grosso.