È rimasta per decenni in ombra, la sostenibilità sociale. Mentre il dibattito sui cambiamenti climatici e sulla crisi economica accendevano i riflettori sugli altri due tipi di sostenibilità: quella ambientale e quella economica. Il disinteresse diffuso ha così favorito la crisi del modello di Welfare State esistente.
Il conto, per i cittadini, è stato elevato: in Italia, tagli non graduali, a volte brutali, alla spesa sociale, per salvare i conti pubblici e la tenuta complessiva del Paese. In Gran Bretagna, invece, si registra ora la minaccia di uscire dall’Unione europea (la temuta Brexit) anche per il nodo del welfare agli immigrati. Ci si sta così rendendo conto che la sostenibilità sociale – intesa come capacità di garantire condizioni di benessere umano (sicurezza, salute, istruzione, democrazia, partecipazione, giustizia) equamente distribuite per classi e genere – è in realtà la più strategica delle tre. Perché in presenza di inique diseguaglianze e in assenza di coesione sociale non possono realizzarsi la sostenibilità economica e quella ambientale.
Ecco perché i Rapporti Sviluppo sostenibile del Sole 24 Ore – una serie di special report che si avvia a compiere dieci anni – non possono trascurare questo aspetto che anzi, nell’ultima definizione dell’Onu, pervade completamente l’ambito della sostenibilità. La pubblicazione odierna del Rapporto è dunque interamente dedicata alla dimensione sociale, non più cenerentola ma regina del dibattito pubblico. Come siamo arrivati a questa nuova consapevolezza e cosa fare per adeguare le politiche pubbliche e la strategia dell’impresa a questo trend? Lo spiega uno dei padri dell’economia civile (con Luigino Bruni, che firma un’analisi del Rapporto): Stefano Zamagni.
Sostenibilità sociale chiave dello sviluppo
Laura La Posta, Il Sole 24 Ore, 2 marzo 2016