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I fringe benefit tornano nella Legge di Bilancio. Nel Disegno di Legge approvato dal Consiglio dei Ministri e ora trasmesso alla Camere è infatti previsto un intervento finalizzato ad alzare anche nel 2025 la soglia dei fringe, cioè quegli strumenti di welfare aziendale che sono comunemente veicolati attraverso buoni spesa, buoni carburante, gift card o voucher acquisto da spendere presso catene commerciali o negozi).

Non si tratterà però di un tetto uguale per tutti, come ipotizzato nelle scorse settimane poiché il DDL al momento conferma quanto già definito per il 2024. Anche (e solo) per il prossimo anno vi saranno due diverse soglie: 1.000 euro per i lavoratori e le lavoratrici senza figli e 2.000 euro per coloro che hanno invece figlia a carico. Viene inoltre confermata la possibilità di utilizzare i fringe per il pagamento o il rimborso delle bollette e per l’affitto o il mutuo sulla prima casa.

Tuttavia qualche novità sui fringe potrebbe esserci per quel che riguarda i nuovi assunti. Ma andiamo con ordine.

Il valore economico dei fringe benefit

Il Governo ha scelto dunque di confermare quanto fatto in passato in materia di fringe benefit, considerati uno strumento per rafforzare la capacità di spesa di lavoratori e lavoratrici e, a cascata, incrementarne i consumi, aumentare gli incassi degli esercenti e generare nuovi introiti anche per lo Stato.

Secondo una ricerca del 2023 di The European House Ambrosetti, nel 2022 con l’aumento della soglia di detassazione fiscale per i fringe benefit da 258,23 a 600 euro e poi da 600 a 3.000 euro, lo Stato avrebbe guadagnato quasi 50 milioni di euro. Questo sarebbe dovuto da un incremento degli incassi per lo Stato attraverso l’IVA e altre accise pari a 379,1 milioni di euro, ai quali devono essere sottratti gli oneri legati alla detassazione di quote maggiori spese in fringe, che Ambrosetti ha stimato in 86,3 milioni di euro derivanti dall’incremento della soglia da 258,23 a 600 euro e di 243,4 milioni di euro derivanti dall’incremento della soglia da 600 euro a 3.000 euro.

La tendenza, sempre secondo The European House Ambrosetti, sarebbe stata confermata anche nel 2023 quando il limite dei fringe era stato fissato a 3.000 solo per i dipendenti con figli (e a 258,23 per gli altri). In questo caso vi sarebbe stato un incremento dei consumi addirittura pari allo 0,8% rispetto all’anno precedente.

Si tratta di dati che mettono in luce come i fringe siano effettivamente uno strumento per ridurre gli effetti dell’inflazione. Ciò è dovuto in parte anche al fatto che tra il 2022 e il 2023 sono state introdotte due nuove possibilità per l’utilizzo dei fringe benefit (poi confermate anche nel 2024): per il rimborso delle utenze domestiche di acqua, luce e gas e per l’affitto e per il mutuo sulla prima casa.

Un limite fringe superiore per i nuovi assunti?

C’è poi una novità introdotta per il 2025. Si tratta della possibilità di incrementare la soglia per i nuovi assunti che trasferiscono la loro residenza di oltre 100 chilometri: per loro i fringe benefit esentasse salgono a 5.000 euro.

In particolare, nel testo del DDL si legge che “le somme erogate o rimborsate dai datori di lavoro per il pagamento dei canoni di locazione e delle spese di manutenzione dei fabbricati locati dai dipendenti assunti a tempo indeterminato dal 1° gennaio 2025 al 31 dicembre 2025 non concorrono, per i primi due anni dalla data di assunzione, a formare il reddito ai fini fiscali entro il limite complessivo di 5.000 euro annui”.

Per questo incremento della quota di fringe vi è però bisogno il beneficiario – nell’anno precedente all’assunzione – non abbia percepito un reddito da lavoro dipendente superiore a 35.000 euro.

Attenzione a non svilire la logica del welfare aziendale

In questo quadro, dunque, i fringe si configurano come una opportunità importante per il sistema, ma a nostro avviso occorre riflettere sul loro ruolo nella cornice del welfare aziendale.

Come abbiamo più volte sottolineato in passato (ad esempio qui e qui), questo continuo – ed esclusivo – ricorso ai fringe benefit del Legislatore quando si deve intervenire nel campo del welfare aziendale ha dei limiti evidenti. In particolare, con un aumento troppo elevato della soglia, il rischio è che tutti gli investimenti delle imprese in questo campo si riducano ai fringe.

E il vero problema è come questi fringe sono “spesi”. Come sottolineato qui, la quasi totalità di questi strumenti di welfare aziendale finiscono infatti in buoni benzina, card o voucher acquisto da usare presso catene commerciali, negozi e, soprattutto, grandi piattaforme di commercio on-line. Questo ha un impatto economico per le persone, ma non ha alcun risvolto dal punto di vista strettamente sociale.

E questo è un tema cruciale. Dal punto di vista del secondo welfare, il welfare aziendale è – almeno a livello teorico – un’opportunità strategica per offrire risposte innovative a rischi e bisogni sociali che interessano le persone e le comunità. Ma, considerando la normativa e l’utilizzo concreto che ne viene fatto, possiamo affermare che questo accade quando si fa riferimento a servizi, rimborsi e interventi che riguardano ambiti strettamente legati all’impatto sociale: cura, assistenza, genitorialità, sanità e salute, previdenza.

Tornare a valorizzare gli aspetti sociali

Per questo oggi è fondamentale tornare a valorizzare queste tipologie di interventi quando si parla di welfare aziendale; anche perché la normativa di riferimento (cioè l’articolo 51 del TUIR) descrive una serie di prestazioni, beni e servizi molto diversi tra loro ma che sono riconducibili a questa dimensione sociale.

Dicendo questo, lo ripetiamo ancora una volta, non vogliamo demonizzare i fringe benefit e, più in generale, i buoni spesa e acquisto, che restano uno strumento utile per integrare la retribuzione dei dipendenti. Riteniamo tuttavia cruciale ribadire una differenziazione tra questi strumenti e quelle spese dal forte carattere sociale che possono essere considerate di “welfare nobile” (un termine su cui abbiamo percepito un certo disaccordo tra operatori del settore, e su cui ci ripromettiamo di tornare a riflettere nelle prossime settimane).

L’auspicio è che il Legislatore torni a dare valore proprio a queste opportunità. Per far sì che il welfare aziendale sia visto da tutti gli attori in gioco come un’opportunità non può ridursi ai buoni acquisto e benzina. Le opportunità per valorizzare la dimensione sociale del welfare sono molte e non dipendono dagli strumenti utilizzati: anche i fringe possono essere essenziali in questo, nel caso in cui violassero servizi e attività di natura sociale. Nelle prossime uscite cercheremo di mettere in chiaro le possibili strade che potrebbero andare in questa direzione.