Ogni due anni la CGIL e la Fondazione Di Vittorio tracciano un bilancio della contrattazione di secondo livello basandosi sugli accordi siglati nel triennio precedente. L’ultima edizione, che copre il periodo 2021-2023, è stata pubblicata nelle scorse settimane e analizza 1.924 accordi offrendo una fotografia dettagliata della contrattazione aziendale e territoriale in un contesto segnato dalla ripresa post-pandemia. Di seguito si propongono alcuni dati interessanti sugli sviluppi della contrattazione del welfare aziendale e occupazionale che, come si vedrà, sembra essere un fenomeno ormai consolidato per le parti sociali.
La contrattazione del welfare
Il rapporto, che prende in esame soprattutto accordi stipulati a livello aziendale1, rivela che il 31,7% di questi prevede misure di welfare integrativo.
Come evidenziato nella figura 1, il welfare ha registrato una crescita significativa con un aumento consistente rispetto al periodo pre-Covid. Va tuttavia sottolineato che le due fasi presentano caratteristiche molto diverse: la crisi pandemica ha influenzato profondamente le dinamiche contrattuali, inclusi gli interventi legati al welfare integrativo, mentre il triennio precedente (2017-2019) è stato caratterizzato da una forte espansione delle misure di welfare contrattato, legate sia al meccanismo del Premio di Risultato sia a interventi indipendenti da esso.
Non si tratta, dunque, di un semplice ritorno ai livelli pre-pandemici: le nuove misure di welfare introdotte riflettono nuove tendenze nella contrattazione e una diversa direzione funzionale del welfare. Stando a quanto riportato dal Rapporto di CGIL-Fondazione Di Vittorio, nell’ultimo triennio la contrattazione del welfare è stata caratterizzata da un aumento significativo delle prestazioni che includono conti e buoni welfare. In particolare, come si vede dalla figura 2, le formule di welfare più diffuse sono quelle legate alla dimensione economica e riguardano carte acquisto (quindi i fringe benefit), buoni pasto e l’anticipo del TFR. La voce dei fringe benefit2 ha fatto registrare una crescita rilevante, arrivando a interessare il 15,2% degli accordi aziendali nel triennio 2021-2023, seguita da misure relative a crediti, prestiti e anticipi del TFR (7%). La crescita dei fringe, come spiegato qui, è legata agli interventi normativi fatti negli ultimi anni finalizzati a garantire un aumento temporaneo della loro soglia di deducibilità.
Risulta poi molto consistente la contrattazione della previdenza complementare (9% del totale dei contratti analizzati) e della sanità integrativa (6,7%). Da segnalare che il 5,5% degli accordi prevede un “budget welfare” per ogni lavoratore e lavoratrice da spendere attraverso una piattaforma o una rete di fornitori convenzionati.
Un altro dato interessante riguarda la crescente possibilità di convertire il Premio di Risultato in misure di welfare aziendale. Nel triennio 2021-2023, questa opzione è stata prevista dal 55% degli accordi che regolamentano un Premio aziendale: si tratta di una tendenza nettamente in crescita rispetto al 42% del periodo 2017-2019 e al 49% del periodo 2019-2021. In molti casi, la conversione è incentivata con una maggiorazione del premio: circa il 33% degli accordi che consentono la trasformazione prevede anche un bonus aggiuntivo per chi opta per il welfare.
Le differenze sul piano settoriale, territoriale e della dimensione aziendale
Gli accordi analizzati riflettono una notevole varietà di settori, territori e tipologie aziendali. Come spesso vi ricordiamo, ad esempio nel nostro Sesto Rapporto, per la contrattazione di secondo livello, così come per il welfare, c’è una presenza “a macchia di leopardo” sul contesto italiano.
Come evidenziato nella figura 3, le grandi aziende e quelle di medie e grandi dimensioni sono particolarmente rappresentate, con una media di circa 1.460 dipendenti per impresa; le imprese con oltre 250 addetti costituiscono oltre il 50% del totale. Da notare, quindi, che la contrattazione aziendale tende a svilupparsi soprattutto nelle organizzazioni con un elevato numero di dipendenti: questo è un limite evidente, dato che il sistema produttivo italiano è fatto soprattutto di micro e piccole imprese.
Dal punto di vista settoriale, emerge una forte presenza di aziende manifatturiere, che rappresentano circa il 47% del totale, con un peso significativo del comparto meccanico. Seguono le aziende del settore dei servizi, in particolare nei settori energetico, della distribuzione di gas e acqua e nei trasporti, inclusi logistica e trasporti su strada. Gli accordi nel settore pubblico e agricolo risultano invece più marginali, poiché questi ambiti sono coperti maggiormente da contratti territoriali (figura 4).
Infine, per quanto riguarda la distribuzione territoriale, circa il 48% delle aziende analizzate ha più sedi distribuite a livello nazionale. Le altre sono concentrate in modo più equilibrato tra le diverse aree del Paese: il 19% nel Nord-Est, il 15% al Centro e il 12% nel Nord-Ovest. In controtendenza, Sud e Isole registrano una presenza inferiore di aziende coinvolte nella contrattazione, riflettendo la minore incidenza contrattuale di queste regioni (figura 5).
I fringe benefit “spingono” il welfare aziendale
Nonostante queste difformità che riguardano la dimensione aziendale, i settori produttivi e i contesti territoriali, anche dal Rapporto di CGIL e Fondazione Di Vittorio appare chiaro che la contrattazione del welfare è un fenomeno ormai assodato. Questi benefit e servizi per i lavoratori e le lavoratrici sono divenuti strategici per le parti sociali, che ne fanno ormai ricorso in modo stabile.
Come indicato anche dal rapporto qui analizzato, in media 1 accordo di secondo livello su 3 contiene misure di welfare aziendale. Si potrebbe stimare quindi che oltre 3 milioni di dipendenti possono contare sul welfare attraverso questa modalità. E i numeri crescono se si considera la contrattazione dei Premi di Risultato e la possibilità di convertire tali premi in crediti di welfare. Secondo il report di settembre del Ministero del Lavoro, infatti, nel 2024 i contratti che prevedono welfare legato alla produttività sono oltre 10.000 e interessano più di 3 milioni di lavoratori.
Come si vede dai dati sopra riportati, a rafforzare la contrattazione del welfare sono stati i fringe benefit. Grazie all’innalzamento – sempre temporaneo – della soglia di deducibilità, imprese e sindacati hanno fatto un ricorso sempre maggiore alle prestazioni previste dalla normativa che regola il welfare. I fringe rappresentano però uno strumento con dei limiti evidenti, in quanto finiscono quasi esclusivamente nel circuito dei buoni acquisto, delle gift card e dei buoni carburante: tutte opportunità che, pur avendo un valore economico per lavoratori e lavoratrici, hanno uno scarso valore sociale.
Ed è proprio per questo che, durante la contrattazione, le parti sociali sono chiamate a valorizzare quelle voci del welfare che hanno un risvolto sociale concreto, come quelle prestazioni destinate alla cura e all’assistenza a figli, familiari anziani e disabili. Il punto di forza del welfare contrattato dovrebbe essere proprio quello di facilitare l’utilizzo di servizi di natura sociale, sanitaria e assistenziale. Quindi di quelle prestazioni che possono avere un impatto sulla conciliazione dei tempi e, più in generale, sulla vita delle persone.
Note
- La maggior parte degli accordi esaminati si colloca nell’ambito aziendale (88,2%), mentre il 10,5% riguarda contratti territoriali e una quota residuale (1,3%) include altre tipologie.
- Come vi abbiamo raccontato qui, i fringe sono un insieme di misure di sostegno al reddito di lavoratori e lavoratrici che godono di specifici benefici fiscali per le imprese che li erogano: tra le formule più comuni ci sono card o voucher acquisto da spendere presso catene commerciali o negozi (anche della grande distribuzione online) e buoni benzina.