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É tempo di Legge di Bilancio. E anche quest’anno il governo dice di voler sostenere famiglie e natalità. In tal senso, da qui a fine anno, una misura della quale sarà importante seguire l’evoluzione è l’Assegno unico universale.

Questo contributo economico per le famiglie con figli, introdotto nel 2021, è il più importante e innovativo provvedimento degli ultimi anni in questo ambito del welfare italiano. Eppure, non appena si è iniziato a discutere di Legge di Bilancio è stato uno dei primi argomenti di dibattito.

A fine agosto il quotidiano La Repubblica ne ha paventata l’abolizione e il Governo ha smentito, sia con un video sui social della presidente del Consiglio sia con un comunicato stampa. “Stiamo dando battaglia in Europa proprio perché non si creino problemi visto che la Commissione [europea, ndr] ci dice che dovremmo darlo anche ai lavoratori immigrati che ci sono in Italia e che di fatto vuol dire uccidere l’Assegno unico, ha detto Meloni.

Nel caldo agostano, la polemica politico-mediatica si spense in pochi giorni, ma il tema merita chiarimenti e approfondimenti, perché potrebbe presto tornare attuale.

Come funziona l’Assegno unico e cosa c’entra l’UE

L’Assegno unico è garantito a tutte le famiglie con figli a carico a prescindere dal reddito, anche se l’importo percepito è proporzionato sulla base della ricchezza del nucleo familiare. Per ottenerlo, bisogna rispettare una serie di criteri:

  • essere cittadini italiani o di un Paese UE, oppure di un Paese non europeo in possesso del permesso di soggiorno lungo periodo, ossia cinque anni, o di un permesso di lavoro per un periodo superiore a sei mesi;
  • pagare le imposte sul reddito in Italia;
  • essere residente o domiciliato in Italia;
  • aver risieduto nel nostro Paese per almeno due anni, non per forza continuativi, oppure avere un contratto di lavoro di durata superiore a sei mesi.

È importante saperlo perché quando Meloni accusa la Commissione Europea fa riferimento alla procedura di infrazione UE aperta nei confronti dell’Italia proprio in merito all’ultimo criterio necessario per avere l’Assegno unico.

La riforma dell’Assegno Unico Universale: cosa prevede e cosa si può migliorare

Come ben spiegato da Pagella Politica, “secondo la Commissione UE, questi criteri non rispettano il diritto europeo ed è per questo che l’Italia è stata deferita alla Corte di giustizia dell’Unione Europea. Nel comunicato con cui la Commissione annunciava questo ulteriore passaggio della procedura di infrazione1, è specificato che “in base al principio di parità di trattamento” stabilito dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, i lavoratori transfrontalieri dell’UE “che lavorano in Italia senza risiedervi, coloro che si sono trasferiti di recente in Italia o coloro i cui figli risiedono in un altro Stato membro, dovrebbero ricevere le stesse prestazioni familiari degli altri lavoratori in Italia”. In pratica, il requisito dei due anni di residenza andrebbe rivisto.

Ed è per questo che, nel comunicato di Palazzo Chigi, Meloni sostiene che le richieste di Bruxelles siano “modifiche folli, ingiuste per le famiglie italiane e insostenibili per l’equilibrio dei conti dello Stato”. In altre parole, l’allargamento della platea dei beneficiari secondo i nuovi criteri sarebbe impossibile a livello finanziario.

Ma è davvero così?

Il primo punto da precisare è che la procedura di infrazione UE non riguarda tutti i “lavoratori immigrati” che lavorano in Italia, come fa intendere la Presidente del Consiglio, ma solo quelli dei Paesi UE. Il secondo è capire quanti effettivamente siano gli stranieri esclusi da questa misura, da dove provengano e quali costo avrebbe per le casse dello Stato includerli. E qui le cose si complicano.

Quanti stranieri sono esclusi dall’Assegno unico?

In Italia, secondo gli ultimi dati Istat, risiedono regolarmente circa 5 milioni di cittadini stranieri, su un totale di circa 59 milioni di abitanti. “Non esiste un dato esatto, ma quelli che sono qui da meno di due anni sono una componente minoritaria”, stima Enrico Di Pasquale della Fondazione Leone Moressa.

A sostegno della sua tesi, l’esperto cita alcuni dati, per esempio quello dei permessi di soggiorno. Sempre secondo Istat, a fine 2023, i cittadini non comunitari con regolare permesso di soggiorno erano oltre 3.600.000 e il 59,3% di essi aveva un permesso di lungo periodo. Considerato che questo tipo di documento viene rilasciato a chi risiede in maniera stabile e continuativa in Italia da almeno cinque anni, stiamo parlando di stranieri che già oggi possono avere l’Assegno unico.

Dati più precisi sugli stranieri non comunitari con altri tipi di permesso di soggiorno e sugli stranieri comunitari (che non necessitano di un permesso di soggiorno) non sono disponibili, ma, sempre secondo Di Pasquale, “si può ipotizzare che le persone qui da più di due anni siano una grande porzione del totale”. E, quindi, anche in questo caso, sarebbero già possibili beneficiari dell’Assegno unico.

Infine, va fatto un ragionamento su quanti immigrati e quante immigrate in Italia hanno figli. I dati del censimento Istat relativi al 2022 dicono che sono 1.900.500 i nuclei familiari composti solo da cittadini stranieri, ma maggiori informazioni sulla permanenza nel nostro Paese di questi nuclei e sulla presenza di minori al loro interno non sono disponibili.

Sappiamo però che una larga parte dei migranti arriva nel nostro Paese inizialmente sola (sono uomini, soprattutto), per poi ricongiungersi con il resto della famiglia in un secondo momento e, infatti, più della metà dei nuclei familiari di soli stranieri (1.055.414) hanno un solo componente. In sostanza, le famiglie straniere con figli che hanno la residenza in Italia da meno di due anni esistono, ma sono poche”, conclude Di Pasquale.

Fecondità, povertà e dati mancanti

Bisogna poi capire le famiglie straniere residenti in Italia quanti figli hanno e quanto guadagnano, dal momento che l’importo dell’Assegno unico varia in base al numero di minori e al reddito del nucleo.

Da un lato, è noto, le donne straniere fanno più figli di quelle italiane, anche se in maniera sempre meno marcata. “Nel 2006 - spiega Istat - la fecondità delle donne straniere era pari a 2,79 figli per donna, ma poi è diminuita sino a raggiungere il valore di 1,87 nel 2022 (contro 1,18 delle donne italiane, ndr)”.

Dall’altro lato, le famiglie straniere sono più rappresentate tra i nuclei meno abbienti. Lo si evince dalle cifre che emergono dalle dichiarazioni dei redditi. Secondo un’elaborazione della Fondazione Leone Moressa, tra i contribuenti nati all’estero, il 42% circa ha dichiarato un reddito annuo inferiore a 10.000 euro, mentre tra gli italiani questa classe di contribuenti non arriva al 27%. Inoltre, un altro 42% dei cittadini stranieri ha dichiarato un reddito compreso tra i 10.000 e i 25.000 euro. A questo si aggiunga che il 41,5% dei minori di cittadinanza straniera è a rischio di povertà o esclusione sociale, un valore superiore di quasi 15 punti percentuali rispetto al dato dei coetanei di cittadinanza italiana.

Delineato questo quadro e tenendo come punto di riferimento l’incidenza degli stranieri tra gli occupati (che si attesta intorno al 10%), secondo Di Pasquale, “possiamo ipotizzare che, sul totale dei beneficiari dell’Assegno unico universale, gli immigrati pesino già ora intorno al 15% o 20%”.

“Ma - aggiunge il ricercatore - stiamo parlando di stime”.

Dati ufficiali pubblici, in tal senso, non ce ne sono.

L’Inps, nel suo Osservatorio sull’Assegno Unico Universale, suddivide i beneficiari per regione, per numero di figli e per classe di reddito (Isee), specifica anche il canale di presentazione delle domande, ma non indica quanti siano i beneficiari stranieri.

Cambiamenti all’orizzonte?

In attesa che questo importante dato venga aggiunto ai report Inps, a settembre, l’istituto ha però riassunto i dati relativi a costi e beneficiari dell’Assegno unico universale. Questi ultimi, nei primi sette mesi del 2024, sono stati 6.219.848 nuclei famigliari, per un totale di 9.854.566 figli. Questo ha portato a una spesa per lo Stato che, per il periodo considerato dell’anno in corso, è di 11,5 miliardi di euro mentre per gli anni precedenti è stata di 18,2 miliardi del 2023 e di altri 13,2 miliardi nel 2022.

Stiamo parlando, quindi, di una misura costosa, ma che difficilmente vedrebbe il suo impianto economico sconvolto dall’aggiunta di alcune decine di migliaia di beneficiari provenienti da Paesi UE - quelli che sono al centro della procedura di infrazione europea. Certo, l’aritmetica potrebbe cambiare ulteriormente se venissero considerati anche i lavoratori stranieri residenti in Italia con figli che risiedono in un altro Stato UE, come previsto sempre dalle norme europee e come chiesto con forza dalla Cgil nelle ultime settimane.

Natalità: anche quest’anno ci pensiamo l’anno prossimo

Anche in questo caso, le ipotesi di costi potrebbero essere molte e comunque poco precise.

Il punto, infatti, è che dovrebbero essere proprio le istituzioni che alimentano questo dibattito a pubblicare (o a chiedere di farlo a chi ne ha competenza) dati solidi e ufficiali, sui quali prendere poi le decisioni politiche.

Altrimenti, viene il sospetto che le dichiarazioni del Governo sulle “richieste folli” dell’Unione Europea e sull’allargamento ai lavoratori immigrati che finirebbe per “uccidere” il provvedimento siano solo un modo per confondere le acque. O un nuovo esempio di sciovinismo del welfare. O, ancora, a fronte di una Legge di Bilancio che si preannuncia difficile, un tentativo di preparare il terreno a nuovi provvedimenti che finirebbero per modificare l’impianto dell’Assegno unico universale, in peggio.

O forse tutte e tre le cose insieme. Se non dovessimo fare stime, ma potessimo partire da dei dati reali, sarebbe più facile capirlo.

Note

  1. La Commissione Europea, per per garantire il rispetto e l’effettività del diritto UE, può aprire delle procedure di infrazione nei confronti degli stati membri. Il primo passaggio di questo processo è l’invio di una lettera di messa in mora al governo del paese coinvolto. Poi, a seconda di come il governo risponde (o non risponde), vi può essere un parere motivato della stessa Commissione e, qualora il paese sotto procedura continuasse a non rispettare il diritto UE, un ricorso alla Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE), che può portare anche a sanzioni economiche. Per approfondire: https://www.openpolis.it/parole/cosa-sono-le-procedure-dinfrazione/
Foto di copertina: MabelAmber, Pixabay.com