A lanciare il sasso nello stagno è stato Stefano Zamagni al Meeting di Rimini durante l’incontro “Diritto alla salute e carità”. Il professore di Economia politica dell’Università di Bologna ha spiegato che (anche) in ambito sanitario “ci vuole un modello tripolare pubblico-privato-civile. Vi chiederete ‘perché non dice Terzo settore?’, perché a me non piace! Il Terzo settore non l’abbiamo inventato noi, è stato inventato in America nel 1973, ma lì è ovvio che si chiami così perché viene dopo lo Stato e dopo il Mercato e arriva come una ‘croce rossa sociale’ che aiuta. L’Italia invece ha inventato 850 anni fa quegli enti che si chiamano Organizzazioni a movente ideale (Omi, ndr). Quindi ‘Terzo Settore’ non appartiene alla nostra radice. Noi siamo legati alla ‘società civile’, ecco perché dobbiamo parlare di ‘settore civile’, ha affermato Zamagni.
Una sottolineatura che ha suscitato l’interesse di molti, presenti e non, e che ha permesso di mettere a tema una questione, quella della denominazione, di cui ciclicamente si torna a parlare nel mondo del Terzo Settore ma – come dimostra il fatto che si usi ancora ampiamente e prioritariamente tale termine – senza che questo abbia effetti concreti. Le parole di Zamagni hanno comunque smosso le acque, e il portale Vita ha raccolto diverse reazioni di esponenti, osservatori ed esperti di questo mondo sulla provocazione del professore.
L’economista Leonardo Becchetti, ad esempio, ha affermato che sarebbe un passo giusto perché “Terzo Settore” non rende la ricchezza di tante organizzazioni che operano nella nostra società, ma bisognerebbe andare oltre rendendo tutto il settore privato “civile”, facendo rispettare alcuni capisaldi di un nuovo paradigma economico a cui tutti, non solo il Terzo Settore, dovrebbe tendere. A Luigino Bruni, storico studioso del sociale, la proposta di cambiare lanciata da Zamagni va bene, ma non userebbe la denominazione “civile”. Questo perché “essere civili in economia è una cultura, un modo di intendere l’economia stessa”, che non necessariamente coincide solo con quello che oggi viene definito Terzo Settore, ma che abbraccia tanti altri ambiti e settori.
Anche Stefano Granata, presidente di Federsolidarietà, è d’accordo sul cambio di terminologia ma legge l’intervento di Zamagni soprattutto come uno stimolo per il Terzo Settore a puntare sul lavoro, l’innovazione, i giovani e l’importanza di mettere al centro le persone “per fare un salto di qualità e porsi come elemento strutturale” e concreto del Paese. “È un invito a uscire dal nostro recinto” e “entrare nei mercati veri e non stare nei mercati marginali”. Anche Walter Massa di Arci Nazionale la sollecitazione che viene da Rimini è condivisibile, ma a essere necessaria è anche e soprattutto una revisione del sistema e un recupero dei valori del libero associazionismo. “Con la sovrapposizione tra Terzo settore e politiche sociali abbiamo perso di vista quanto il Terzo settore sia legato al mondo della cultura, dello sport e dello stare insieme ricreativo: pilastri fondamentali delle nostre società” spiega.
Vedremo se anche questa volta sarà un “buco nell’acqua” o troveremo una soluzione efficace e condivisa per rinominare il Terzo Settore.