Malgrado la sua consistenza quantitativa e la sua rilevanza per il funzionamento dei sistemi locali di welfare, il ruolo dell’assistente sociale nel Terzo Settore non ha finora riscosso un particolare interesse conoscitivo. Le analisi che se ne sono occupate hanno infatti trattato alcune delle sue caratteristiche, mentre è mancata una ricognizione che ne tracciasse complessivamente il profilo e le peculiarità. È per colmare tale lacuna, prestando la dovuta attenzione a questa nutrita platea di professionisti, che l’Ordine degli Assistenti Sociali, la Fondazione Nazionale degli Assistenti Sociali e il Dipartimento di Scienze della Formazione della Università di Roma Tre hanno promosso una indagine nazionale sugli assistenti sociali che lavorano nel Terzo Settore.
La ricerca
L’indagine, condotta con l’utilizzo di un questionario online autosomministrato, ha registrato l’adesione di oltre 3.000 professionisti occupati in enti del Terzo Settore.
I dati raccolti hanno riguardato il loro profilo socio-anagrafico, la tipologia di organizzazione per cui lavorano e la posizione contrattuale, le modalità di ingresso nel mondo non profit, le attività che svolgono, gli spazi di autonomia professionale di cui dispongono, il loro modo di considerare l’esercizio della professione, le opportunità formative e di carriera che sono loro offerte, il loro grado di soddisfazione. I risultati della indagine sono riportati e discussi in una pubblicazione che è disponibile online in modalità open access: La professione di assistente sociale nel Terzo Settore: Una ricerca nazionale, di Marco Burgalassi e Cristina Tilli.
Rinviando a tale testo per un’articolata analisi delle indicazioni che l’indagine ha fornito, di seguito ci si sofferma su alcuni elementi che consentono di farsi comunque un’idea sulla professione nel mondo del non profit. In particolare viene illustrato: il profilo dell’universo degli assistenti sociale del Terzo Settore, le caratteristiche del lavoro sociale in tale contesto e il grado di soddisfazione per questa collocazione occupazionale.
Il profilo dell’assistente sociale nel Terzo Settore
Gli enti di Terzo Settore sono un contesto occupazionale di notevole importanza per gli assistenti sociali. Per diverse ragioni, ma principalmente a seguito del crescente ricorso a forme di gestione esternalizzata dei servizi sociali fatto dagli enti pubblici (ne avevamo parlato anche qui e qui, ndr), negli ultimi due decenni la loro presenza nel non profit è infatti aumentata in modo considerevole: alla fine degli anni Novanta si stimava fossero circa 2.250 e il loro peso sul totale degli iscritti all’ordine professionale era inferiore al 10% mentre oggi sono oltre 11.000 e pesano per il 25% – una quota di poco inferiore a quella di coloro che sono occupati negli enti locali.
La comunità degli assistenti sociali che lavorano nel Terzo Settore è per la quasi totalità composta di donne (92,7%) e appare caratterizzata da una età media relativamente bassa (il 28% di loro ha meno di 30 anni), una carriera lavorativa abbastanza breve (1 su 3 esercita la professione da meno di un triennio), una prevalente collocazione nelle cooperative sociali (quasi 8 su 10) e una loro distribuzione abbastanza equilibrata all’interno delle organizzazioni di piccole-medie dimensioni (meno di 50 dipendenti) e grandi dimensioni (più di 50 dipendenti).
La maggioranza di loro ha un contratto a tempo indeterminato (70,6%), mentre 1 su 20 ha un inquadramento parasubordinato come lavoratore autonomo. Il rapporto contrattuale stabile si registra soprattutto nelle cooperative o imprese sociali (71,0%) mentre nelle organizzazioni di volontariato e nelle associazioni di promozione sociale il 30% dei professionisti lavora con contratto di collaborazione o prestazione a fattura. Quasi 1 assistente sociale su 4 sperimenta la condizione di essere l’unica professionista presente all’interno dell’ente di appartenenza, e questo accade soprattutto a chi è occupata in organizzazioni di volontariato o associazioni di promozione sociale; nelle cooperative sociali, invece, 1 su 3 è inserito in contesti in cui vi sono più di 10 professionisti.
Le caratteristiche dell'universo degli assistenti sociali nel Terzo Settore, Burgalassi e Tilli (2023).
Chi lavora nel Terzo Settore è impegnato principalmente in servizi destinati a minori e famiglie (17,0%), persone con disabilità (15,3%) e anziani non autosufficienti (16,9%). La parte preponderante di loro (17 su 20) è inserita in attività che l’ente di appartenenza realizza per conto della Pubblica Amministrazione; la condizione dei professionisti occupati nel non profit attraverso processi di esternalizzazione si configura come “doppia appartenenza”, in quanto dipendono formalmente dall’ente di Terzo Settore affidatario ma sono funzionalmente assegnati all’ente pubblico affidante. Questa situazione ha implicazioni problematiche di non poco conto, dato che può mettere in crisi il profilo identitario del professionista, può intaccarne la autonomia, può compromettere la qualità della sua azione e il riconoscimento del suo ruolo da parte degli interlocutori.
Il contesto di lavoro in cui sono inseriti gli assistenti sociali nel Terzo Settore
Assistenti sociali che lavorano in servizi che l’ente di appartenenza produce in autonomia | 13,8 |
Assistenti sociali che lavorano in servizi esternalizzati dalla Pubblica Amministrazione | 86,2 |
Esercitare la professione nel Terzo Settore, tra soddisfazione e precarietà
In Italia gli assistenti sociali hanno per lungo tempo lavorato quasi esclusivamente all’interno di enti pubblici, e questo ha avuto un rilievo nel definire il modo di esercitare la professione. La crescita della loro presenza nel Terzo Settore e il fatto che questo contesto si caratterizzi per assetti e logiche di funzionamento differenti da quelli del pubblico ha però aperto uno scenario inedito, spingendo anche ad interrogarsi sull’esistenza di una modalità di svolgere il lavoro di assistente sociale nel non profit peculiare fino al punto da prefigurare uno specifico profilo professionale.
A tale proposito i dati raccolti con l’indagine evidenziano in primo luogo che gli assistenti sociali che lavorano nel Terzo Settore sono convinti di fare riferimento ai medesimi principi etico-deontologici e metodologici che guidano il lavoro di chi dipende dagli enti pubblici. Riguardo al concreto esercizio della professione, però, una parte di loro ritiene che effettivamente il lavoro nel non profit si contraddistingua per alcuni tratti tipici, che vengono rintracciati in un elevato grado di autonomia tecnico-professionale e nella disponibilità di ampi spazi per promuovere l’innovazione. Questa tipicità, che peraltro viene riconosciuta “solo” da poco meno della metà degli assistenti sociali del Terzo Settore (1 su 5 ritiene che in passato fosse così, 1 su 4 non coglie alcuna peculiarità), non sembra comunque prefigurare l’esistenza di un profilo professionale separato e distinto.
Ci sono peculiarità nel lavorare come assistente sociale nel Terzo Settore?
No, l’esercizio della professione è lo stesso in qualunque contesto la si svolga | 23,0 |
Forse una volta, ma oggi non più | 21,9 |
Sì, lavorare all’interno di un ente di Terzo Settore presenta delle peculiarità | 47,1 |
Non ci ho mai riflettuto | 8,0 |
Un tratto caratteristico dell’esercizio della professione nel non profit è invece l’elevato grado di soddisfazione degli operatori. La quota di coloro i quali che si dichiarano “abbastanza” o “molto” soddisfatti del proprio lavoro è infatti assai consistente (81,5%), con livelli particolarmente elevati espressi da chi è inserito in realtà dell’associazionismo o del volontariato (risulta “abbastanza” o “molto” soddisfatto l’85,4%), ha una maggiore anzianità di servizio (85,2%) e dispone di un contratto di lavoro a tempo indeterminato (87,7%). La soddisfazione per la condizione lavorativa è alimentata sia dalle opportunità che sono offerte dalle organizzazioni di appartenenza sia dalla qualità delle relazioni personali che in quelle organizzazioni prendono corpo; ciò che incide in modo prevalente, infatti, è la possibilità di essere coinvolti nelle scelte politico-gestionali dell’ente di appartenenza.
La soddisfazione degli assistenti sociali per il lavoro nel Terzo Settore
per niente soddisfatto/a | 2,4 |
poco soddisfatto/a | 16,1 |
abbastanza soddisfatto/a | 64,3 |
molto soddisfatto/a | 17,2 |
Quale futuro per gli assistenti sociale del Terzo Settore?
A partire dal Piano Nazionale di Contrato alla Povertà del 2017 la programmazione sociale di livello nazionale ha conosciuto un deciso rilancio e ciò ha comportato anche l’avvio di un processo di ripopolamento delle fila degli assistenti sociali dipendenti della Pubblica Amministrazione (ne avevamo parlato in questo articolo, mentre in questo avevamo raccontato le difficoltà che stanno incontrando gli enti locali, ndr). Questo fatto non ha messo in discussione il ruolo presente e futuro del Terzo Settore come produttore su larga scala di servizi sociali, ma è certamente destinato a produrre effetti sul quadro della comunità professionale che vi opera.
Vediamo quali potrebbero essere alcuni di questi effetti e quali implicazioni ne potrebbero derivare.
Il rinfoltimento della comunità professionale negli enti pubblici potrebbe indurre una inversione nella tendenza alla esternalizzazione dei servizi, con la riduzione del numero degli assistenti sociali del Terzo Settore attivi in quel tipo di situazione. Ammesso che una opzione del genere possa davvero essere presa in considerazione, è improbabile produca conseguenze tangibili perché la crescita della domanda sociale spinge nella direzione di un continuo irrobustimento della rete delle prestazioni pubbliche e rende difficile immaginare processi di riduzione degli affidamenti esterni.
Il programma di reclutamento da parte degli enti pubblici potrebbe comportare il transito in essi di una parte degli assistenti sociali che oggi lavorano nel Terzo Settore. Si tratta di un processo che è già in corso, perché la stabilità occupazionale e la migliore retribuzione sono potenti fattori di attrazione (ne avevamo parlato, per esempio, approfondendo la situazione dei servizi legati all’affidamento familiare, ndr). È quindi probabile che nel tempo la comunità professionale presente nel Terzo Settore vada incontro a una contrazione della sua componente con più elevata esperienza e una estensione di quella degli operatori più giovani e inesperti.
La prospettiva di veder crescere la quota di assistenti sociali giovani e meno esperti costituirebbe un rischio per la comunità professionale e per il Terzo Settore? Non vi è ragione per crederlo, anzi potrebbe anche essere una opportunità. Lo scenario molto concreto di una crescita dei servizi sociali soprattutto fuori del perimetro pubblico pone infatti al non profit la sfida di intercettare i nuovi bisogni emergenti e di rilanciarsi sul terreno dell’innovazione; per intraprendere questa strada, però, serve proprio una comunità professionale dinamica e formata per lavorare nella complessità dell’odierno quadro sociale. Il rinnovamento nelle fila degli assistenti sociali del Terzo Settore può insomma essere la risposta appropriate di fronte alle sfide del presente.
Riferimenti bibliografici
Burgalassi M. e Tilli C. (2023), La professione di assistente sociale nel Terzo Settore: Una ricerca nazionale, Milano, FrancoAngeli.