Come si comportano le aziende che fanno welfare? È questa la principale domanda a cui il progetto Welfare Index PMI cerca di rispondere dal 2016. L’iniziativa, di cui vi raccontiamo con cadenza periodica, è promossa da Generali Italia con la partecipazione di Confindustria, Confagricoltura, Confartigianato e Confprofessioni. Dopo due anni di “silenzio” – in cui sono stati realizzati alcuni report territoriali in sostituzione di quello nazionale – nelle scorse settimane è stato presentato a Roma il Rapporto 2024. Come in passato, questa edizione del documento ci restituisce tante informazioni interessanti sulle organizzazioni che investono nel welfare.
Lo sviluppo del welfare nelle imprese italiane
Come detto, Welfare Index PMI si propone di raccogliere informazioni sul ruolo del welfare nelle imprese con meno di 1.000 dipendenti, invitando il management e i responsabili aziendali di tali realtà a rispondere a un questionario (o a un’intervista telefonica). I dati riportati di seguito – quest’anno raccolti attraverso 6.914 “interviste” ai responsabili di PMI italiane – risentono dunque della peculiare modalità di campionamento. Nel momento in cui si prende in considerazione un campione volontario di imprese si dà infatti per scontato che chi partecipa all’indagine sia già a conoscenza di cos’è il welfare aziendale e, allo stesso tempo, sia probabilmente esperto, o quanto meno consapevole, del ruolo che questo può giocare sotto diversi punti di vista.
Fatta tale premessa, i dati sui comportamenti delle piccole e medie imprese del nostro Paese raccolti da Welfare Index PMI appaiono molto interessanti sul piano del welfare e delle politiche di conciliazione. Il rapporto monitora le iniziative di welfare delle organizzazioni, suddividendole in dieci aree: previdenza e protezione, salute e assistenza, conciliazione vita-lavoro, sostegno economico ai lavoratori, sviluppo del capitale umano, sostegno per educazione e cultura, diritti diversità e inclusione, condizione lavorative e sicurezza, responsabilità sociale verso consumatori e fornitori, welfare di comunità.
Il primo aspetto interessante che emerge dal Rapporto è che le aziende, i lavoratori e le lavoratrici possono contare su un welfare sempre più maturo. Nel corso degli ultimi 8 anni, infatti, le imprese che hanno raggiunto un livello “alto o molto alto”1 di welfare sono triplicate, dal 10,3% al 33,3%, mentre quelle a livello iniziale si sono dimezzate, dal 48,9% al 25,5%. In particolare, se guardiamo alle imprese con almeno un “livello medio” vi è stato un incremento, passando dal 51,1% al 74,5% (figura 1).
Il report evidenzia come le PMI2di maggiori dimensioni siano “avvantaggiate”. Nelle imprese con più di 250 addetti quelle con un livello di welfare “alto e molto alto” sono quasi l’80%. Se si hanno invece meno di 10 dipendenti è molto complesso poter garantire un piano di welfare ricco e strutturato. C’è da dire però che nel corso degli ultimi 2 anni si è registrata una crescita generale delle imprese con un livello “alto e molto alto”, indipendentemente dal numero di addetti.
Per quanto riguarda i settori produttivi, si nota una forte diffusione del welfare aziendale tra le imprese del Terzo Settore, che dimostrano tassi molto più alti rispetto agli altri settori economici; seguono poi gli studi professionali, l’industria, il commercio e servizi, l’agricoltura e l’artigianato. (figura 2).
Per quanto riguarda le fonti attraverso le quali il welfare viene introdotto in azienda, come evidenziato dalla figura 3, sembra esserci una netta prevalenza degli strumenti che non prevedono la partecipazione del sindacato (come iniziative unilaterali e accordi integrativi). In particolare, nella maggior parte delle organizzazioni piccole e medie sembra che il welfare non sia formalizzato, cioè non è definito né all’interno di contratto di secondo livello né tantomeno di un regolamento aziendale.
Le prestazioni più diffuse e l’approccio verso il welfare
Di seguito, risulta di particolare interesse osservare le prestazioni più diffuse tra le imprese intervistate (figura 4). In generale, ci sono quattro aree di intervento che fanno rilevare un tasso di iniziativa superiore al 50%: conciliazione vita-lavoro (56,4%), salute e assistenza (52,2%), previdenza e protezione (51,4) e diritti, diversità e inclusione (50,4%). Vi sono poi quattro ambiti che raggiungono percentuali che vanno dal 35% al 50%: le condizioni lavorative e sicurezza (46%), lo sviluppo del capitale umano (44,8%), il sostegno economico ai lavoratori (36,8%) e il welfare di comunità (35,2%). Le aree restanti sono meno “mature” e riguardano la responsabilità sociale verso consumatori e fornitori (27,2%) e attività riguardanti la cultura e il sostegno all’educazione (10,1%).
Secondo Welfare Index PMI, quindi, le prestazioni più diffuse riguarderebbero l’ambito sociale o – come spesso lo etichettiamo sul nostro portale – il “welfare nobile”. Si tratta di una dato interessante, che è però in contrasto con altre rilevazioni pubblicate dagli operatori di welfare aziendale, come quelle di Edenred, DoubleYou e TreCuori, da cui emerge una generica prevalenza di fringe benefit3 e spese relativi i viaggi e le vacanze.
Il report presenta poi le prospettive future del welfare aziendale per i prossimi 3-4 anni dal punto di vista delle aziende campione. Come si osserva dalla figura 5, cresce l’idea che le iniziative siano destinate a svilupparsi ulteriormente, soprattutto nelle imprese più grandi (47,2%) e con un livello di welfare molto alto (44,6%). Chi ha investito maggiormente nel welfare vorrebbe quindi incrementare i suoi sforzi in questa direzione: segnale che chi sperimenta le misure e i benefici per i propri collaboratori ne comprende le opportunità e ne percepisce l’impatto.
Per quanto riguarda gli obiettivi che le imprese si pongono attraverso il welfare aziendale, prevalgono quelli relativi al benessere organizzativo e al miglioramento del clima. In particolare, come evidenziato dalla figura 6, i più indicati sono: migliorare il clima aziendale e la soddisfazione dei dipendenti (54,8%), incentivare la produttività del lavoro (20,6%) (anche se in calo rispetto al 28,9% del 2018) e fidelizzare i lavoratori (11,8%). Sono invece considerati di minore importanza il contenimento del costo del lavoro grazie ai vantaggi fiscali (6,5%) e il miglioramento dell’immagine dell’impresa (1,4%).
Gli obiettivi di carattere sociale, quali la soddisfazione e la fidelizzazione dei lavoratori, sono largamente prevalenti tra le aziende con un welfare più maturo, mentre quelli economici, come la produttività e il contenimento dei costi, raggiungono quote più elevate nelle aziende a livello iniziale.
Come mostrato nella figura 7, è in forte aumento il numero di imprese che hanno rilevato impatti positivi del welfare aziendale sul business e sulla gestione aziendale in diversi ambiti. In particolare, si osserva un miglioramento della produttività del lavoro (dal 28,3% nel 2022 al 36,7% nel 2024), del clima aziendale (dal 29,9% al 42,3%), della fidelizzazione dei lavoratori (dal 29,2% al 40,6%), dell’immagine aziendale (dal 30,8% al 40,2%) e, infine, della capacità di attrarre nuove risorse, un ambito non rilevato nelle precedenti edizioni, per il quale si registra un 36,2% di imprese che hanno riportato effetti positivi.
Se lo provi non torni più indietro
Anche in questa edizione dunque Welfare Index PMI offre tanti spunti di riflessione per chi si occupa di welfare aziendale. Da un lato, come già sottolineato da svariati approfondimenti (di cui vi abbiamo parlato nel capitolo dedicato al welfare aziendale del Sesto Rapporto sul secondo welfare), sembra che la dimensione dell’azienda e il settore di appartenenza siano condizioni rilevanti per la possibilità di introdurre misure di welfare. Il numero di dipendenti, in particolare, sembra essere la variabile che maggiormente incide sulla realizzazione di un piano diversificato.
Dall’altro lato l’indagine mostra un altro aspetto molto interesse: sempre più organizzazioni hanno piani complessi e articolati e in generale sostengono di voler rafforzare i propri investimenti verso il welfare e il benessere dei propri dipendenti. Questo anche alla luce dei risultati positivi che già registrano su questo fronte.
Questo dimostra che chi sperimenta questo tipo di misure e prestazioni, nel corso di qualche anno, riesce a comprenderne le opportunità in termini di impatto e miglioramento nel rendimento generale dell’organizzazione. In altre parole: chi comprende cos’è il welfare e quali sono i suoi effetti, non torna indietro.
Note
- Il “livello” di welfare è definito da un indice creato dallo studio che si basa su tre indicatori principali: ampiezza e intensità del piano di welfare; capacità di gestione del welfare (fonti, modalità di erogazione, formalizzazione delle iniziative); impatto sociale (effetti e risultati ottenuti grazie al welfare).
- Per PMI si intendono le “piccole e medie imprese”, cioè organizzazioni che contano meno di 250 addetti. Si sottolinea però che il report Welfare Index PMI considera nelle sue rilevazioni anche imprese con un numero di addetti superiore.
- Cioè card o voucher acquisto da spendere presso catene commerciali o negozi (anche della grande distribuzione online) e buoni benzina.