In Italia, il commercio di prossimità è in difficoltà. È un ritornello che si sente da tempo, in molti luoghi. E che, ora, è confermato anche da dati molto recenti e approfonditi. Tra 2012 e 2023, il commercio in sede fissa nelle città italiane “ha perso in 11 anni oltre 111.000 unità (-20,2%)”. A denunciarlo è la nona edizione della ricerca Demografia d’impresa nelle città italiane, pubblicata lo scorso marzo dall’Ufficio Studi Confcommercio.
“In altre parole – continua la pubblicazione – un’impresa attiva su cinque è scomparsa dal mercato e non è stata sostituita. È l’esito di un processo di trasformazione indotto dal rallentamento della domanda per consumi da parte delle famiglie, da nuovi orientamenti e comportamenti di spesa dei consumatori, dall’introduzione di nuove tecnologie che hanno incrementato gli acquisti online”.
Italiani e italiane, insomma, comprano dove è più conveniente e comodo. È comprensibile. Ma questo pone dei problemi, non solo economici e non solo ai proprietari dei negozi fisici.
Rischio desertificazione
“Non va dimenticato che gli esercizi commerciali svolgono un ruolo vitale nel contesto economico e sociale”, scrive ancora Confcommercio, che denuncia “il rischio di desertificazione” cui vanno incontro molte città, soprattutto nei centri storici.
La ricerca ha analizzato questo rischio in 120 grandi Comuni e ne ha identificati alcuni più esposti, quelli con “una forte riduzione dei negozi, compresa tra il 18% e il 30%, e una mancanza di crescita nei servizi turistici”. I primi tre Comuni sono Belluno, Gorizia e Savona, ma in generale Confcommercio ha notato “una certa predominanza nel Nord-est”.
Non stupisce, quindi, che sia proprio in questi territori che siano nate iniziative per rispondere a questo problema. Come il caso di Marketpass, che abbiamo già raccontato e che è stato lanciato dall’impresa TreCuori, con sede in provincia di Treviso. Questa iniziativa non è ovviamente l’unica, ma è una delle tante che puntano sul digitale per ridurre quello che proprio l’amministratore delegato di TreCuori Giovanni Lucchetta definisce “lo squilibrio tra grandi player e commercio locale”.
Del resto, vendere online non è più un’opzione che i piccoli commercianti possono permettersi di ignorare. “La crescita della propensione dei consumatori a fare acquisti online ha reso l’adozione dell’omnicanalità essenziale per tutte le imprese, compreso il dettaglio di prossimità”, scrive ancora Confcommercio.
“Questa strategia – spiega la ricerca – non solo consente di rimanere rilevanti e competitivi nel mercato in continua evoluzione, ma offre anche opportunità significative per ampliare la propria capacità distributiva. L’approccio omnicanale implica, infatti, l’integrazione sinergica di tutti i canali di vendita e comunicazione disponibili. Ciò significa che i clienti possono interagire e fare acquisti con l’azienda attraverso una varietà di canali, tra cui negozi fisici, siti web, app mobile, social media e altro ancora”. Facile a dirsi, difficile a farsi.
L’Italia, a livello europeo, è storicamente un Paese con competenze digitali basse e, nonostante i miglioramenti netti degli ultimi anni, c’è ancora molto da fare, soprattutto quando si parla di vendite digitali da parte di piccole e medie imprese.
Fare eCommerce è possibile anche per le PMI
In un articolo dello scorso novembre sul Sole 24 Ore, Claudio Rorato ha sostenuto che “le PMI italiane sono digital senza strategy”. Rorato è il direttore dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI del Politecnico di Milano e, per quanto riguarda ecommerce e PMI, ha tratteggiato “un’immagine bifronte: da una parte il valore delle vendite delle PMI italiane tramite questo canale raggiunge il 14% del loro fatturato complessivo (EU 11%), dall’altra il numero di PMI italiane che vende online è al di sotto della media europea (18% vs 22%)”.
Per i negozi di prossimità, poi, è particolarmente difficile trovare risorse, competenze e fornitori adeguati e, a maggior ragione in assenza di strategie e obiettivi precisi, diventa facile lanciarsi sul digitale senza poi ottenere i benefici sperati. Per questo sono importanti le iniziative che uniscono più commercianti, spesso grazie alla spinta di amministrazioni locali e organizzazioni di categoria.
Io Sono Cesena, per esempio, è un progetto voluto dall’Amministrazione comunale di Cesena e da CIA, Confagricoltura, Confcommercio, Confesercenti, Confartigianato e CNA con la collaborazione di Mediatip e Pubblisole. L’obiettivo è sostenere commercianti e artigiani locali, affiancando al loro tradizionale sistema di vendita il canale della commercializzazione online.
Economie di prossimità post Covid-19. Riflessioni con alcuni riferimenti al contesto urbano italiano
“Ci abbiamo iniziato a ragionare quattro anni fa. Chiacchieravamo di sistemi complessi e poi è arrivata la pandemia”, ricorda Luigi Angelini, fondatore e CEO di Mediatip. I bisogni digitali, a quel punto, andavano soddisfatti con urgenza e l’impresa di Angelini, con il sostegno del Comune, ha lanciato Io Sono Cesena.
Nella prima fase, quella del periodo Covid, si è trattato di un sito vetrina per i commercianti locali, poi il progetto è stato rilanciato, si è aperto anche al welfare aziendale (tema che affronteremo in un prossimo articolo) ed è diventato possibile fare acquisti online. “I commercianti non pagano nulla per essere presenti su Io Sono Cesena. I costi sono a carico nostro, che prendiamo una percentuale variabile sugli acquisti: dall’1% al 10%, a seconda della categorie merceologiche”, prosegue Angelini.
Nei primi sei mesi scarsi del 2024, su Io Sono Cesena sono stati fatti acquisti per circa 700.000 euro, spalmati su un centinaio di imprese. Per Mediatip il modello funziona e, infatti, l’ha esportato in altre città, con le piattaforme aFaenza, xRimini e InRavenna.
Angelini è ottimista: a suo parere, le pubbliche amministrazioni mostrano una “consapevolezza crescente” per questi temi mentre le associazioni di categoria, dopo un periodo in cui il digitale le aveva colte “un po’ di sorpresa”, ora sono“mature” per questo genere di progetti. Anzi, secondo il CEO di Mediatip, queste ultime potrebbero “spingere ancora di più sulla formazione”. “È necessaria perché la cultura dei commercianti migliori: percepisco ancora un po’ di impreparazione e molta sfiducia nel digitale dopo esperienze che non hanno funzionato”, conclude Angelini.
Tra borghi e cities
Anche a causa della pandemia, che ha accelerato tutti i processi di digitalizzazione, le iniziative simili a Io Sono Cesena si sono moltiplicate, ad ogni livello, dall’iperlocale al nazionale.
A Bagno di Romagna, borgo appenninico di 5.000 abitanti in provincia di Forlì-Cesena, per esempio, già nel 2020 è stata lanciato un circuito commerciale territoriale chiamato La Vantaggiosa. Un’app e una card, unite a un meccanismo di cashback, puntano a “sollecitare gli scambi commerciali a livello comunale quale stimolo diversivo al commercio elettronico o fuori Comune”, si legge sul sito del Comune stesso.
A marzo 2024, invece, Confcommercio ha lanciato il progetto nazionale Cities che, insieme all’Associazione Nazionale Comuni Italiani (ANCI), propone iniziative politiche, collaborazioni e partenariati pubblico-privato.
Anche alcune Regioni si sono mosse. Nelle Marche, per esempio, nel 2022 è stato aperto un bando per assegnare “Contributi agli interventi volti alla realizzazione di progetti integrati tra i Comuni e le PMI per lo sviluppo dei Centri Commerciali Naturali” con l’obiettivo di rivitalizzare i territori comunali “con interventi che incentivino una presenza commerciale di qualità, capace di attrarre l’interesse turistico e culturale del luogo”. Tra i progetti sostenuti vi è stato anche quello della cooperativa di comunità Fano al centro, che nell’omonima cittadina ha creato un’app e una card simili a quelli di Bagno di Romagna.
Sempre nelle Marche, ma a San Benedetto del Tronto, è nata la piattaforma Praesentia, sostenuta dal Comune e gestita dall’omonima associazione di promozione sociale. La logica è sempre quella di sostenere il commercio locale tramite il cashback, ma in questo caso, spiega il sito dell’amministrazione comunale, “una percentuale di tutte le transazioni effettuate dai cittadini e registrate dall’app verrà devoluta per la realizzazione attività di tipo sociale, come progetti, assistenza alle fragilità o ricerca”.
Il caso di Praesentia è significativo, ma il legame tra commercio di prossimità e Terzo Settore non è un’esclusiva di San Benedetto del Tronto: riguarda anche vari altri territori e diverse realtà. Tra cui proprio Marketpass.
Laboratorio Parma
Come abbiamo già visto, da diversi mesi, TreCuori sta promuovendo sui territori la sua piattaforma di commercio digitale per PMI Marketpass. Lo fa grazie ai rapporti con le imprese cui eroga già servizi di welfare aziendale (la principale attività di TreCuori), ma anche con enti locali, associazioni di categoria e, ora, anche con realtà del Terzo Settore.
È il caso della provincia di Parma, dove TreCuori ha coinvolto anche il Forum Terzo Settore locale. “Ci ha fatti incontrare l’Università di Parma (che ha realizzato una ricerca su Marketpass, ndr) e abbiamo sostenuto l’iniziativa perché pensiamo che il commercio di vicinato e le PMI siano importanti per la nostra struttura sociale”, spiega Eugenio Caggiati, ex portavoce del Forum Terzo Settore provinciale di Parma, in carica quando la collaborazione è iniziata.
“Il nostro accordo con TreCuori è informare i nostri appartenenti e diffondere l’iniziativa”, spiega l’attuale portavoce del Forum, Roberto Berselli. Concretamente, si tratta di far conoscere Marketpass a tutte le persone che fanno parte dei 150 enti del Terzo Settore di cui il Forum è composto, per spingerle a spendere online, comprando i prodotti delle PMI presenti sulla piattaforma. In questo modo, spiega il direttore di TreCuori Alberto Fraticelli, “le risorse rimangono sul territorio e migliorano la prosperità e il benessere di quell’area”.
Platform Welfare. Nuove logiche per innovare i servizi locali
Non solo. A vendere su Marketpass potrebbero essere anche gli stessi enti del Terzo Settore, offrendo servizi sociali o sanitari tramite l’acquisto di buoni o voucher. Si va dai baby sitter agli assistenti familiari, dai entri estivi al sostegno psicologico e, potenzialmente, ai posti in Rsa. “Spazi di interesse ci sono”, commenta Berselli “perché c’è una domanda crescente che non trova risposta nel pubblico che va soddisfatta”.
Questa possibilità rafforzerebbe ulteriormente l’economia del territorio, non coinvolgendo solo il commercio di prossimità e le PMI ma, potenzialmente, aprendo nuove possibilità economiche anche per la cooperazione sociale e le associazioni di promozione sociale. Tecnicamente è possibile, “ma non so se siamo pronti” confida Berselli.
A suo avviso, ci sono due “limiti culturali” da superare. Il primo è passare dall’erogazione di servizi in accreditamento col pubblico a servizi forniti direttamente ai privati. Quest’ultimo, dice, “è solitamente patrimonio di realtà più grandi e strutturate, non delle piccole”. Il secondo limite ha più a che fare con le piattaforme digitali, soprattutto quelle come Marketpass che sono generaliste e al cui interno si può trovare un po’ di tutto. Per Berselli, non è immediato “proporre servizi di Terzo Settore insieme a chi vende macchinette del caffè e pacchetti vacanze”.
Gli enti del Terzo Settore, insomma, andranno convinti. TreCuori, che da tempo lavora col non profit per diverse altre sue iniziative, potrebbe essere il partner giusto per farlo. A Parma, e non solo. Per capire se ci riuscirà davvero, però, sembra servire ancora parecchio tempo.
Questo articolo è stato realizzato grazie al sostegno di TreCuori nell’ambito di un progetto di ricerca e comunicazione curato da Percorsi di secondo welfare |