Cinque anni fa, proprio in questi giorni, si è iniziato a parlare di Bibbiano, per usare quello che sarebbe poi divenuto un triste slogan politico. A fine giugno 2019 questo Comune di circa 10.000 abitanti in provincia di Reggio Emilia è infatti finito al centro dell’inchiesta “Angeli e Demoni” per presunti casi di abusi e irregolarità nei procedimenti di affidamento dei minori.
In quei giorni, ha ricostruito Il Post, “24 persone furono iscritte nel registro degli indagati e 16 di loro, tra cui amministratori, assistenti sociali e psicoterapeuti, furono destinatarie di misure cautelari. Erano sospettate di aver redatto o agevolato relazioni false per allontanare bambini dalle loro famiglie e darli in affido, in alcuni casi, ad amici e conoscenti. Furono decisi gli arresti domiciliari anche per Andrea Carletti, sindaco di Bibbiano del Partito Democratico”.
L’inchiesta giudiziaria, che poi sarebbe sfociata in una serie di processi, alcuni dei quali ancora in corso, in breve tempo si trasformò in un caso mediatico e politico nazionale enorme: il caso Bibbiano, appunto. Tanti lo ricordano tutt’oggi. Pochi, forse, lo collegano ancora all’affidamento familiare, una forma di secondo welfare che in quel momento venne messa fortemente in discussione, anche per via di malintesi, scarsa conoscenza e strumentalizzazioni. Da parte di politici ma anche di tanti personaggi pubblici.
Sono un uomo e sono un papà. È inconcepibile che non si parli dell’agghiacciante vicenda di #Bibbiano.
Penso a mia figlia e alla possibilità che mi venga sottratta senza reali motivazioni solo per abuso di potere e interesse economico. Intere famiglie distrutte. Serve giustizia! pic.twitter.com/1de258zhkw— Nek Filippo Neviani (@NekOfficial) July 20, 2019
Già pochi mesi dopo la sua esplosione, il caso Bibbiano è stato ridimensionato dallo sviluppo delle indagini e da una serie di rilevazioni e commissioni che hanno analizzato l’operato dei servizi sociali del Comune e dell’autorità giudiziaria. In seguito alla chiusura dell’inchiesta 19 persone sono andate a processo.
I due imputati che hanno scelto il rito abbreviato sono stati assolti: l’assistente sociale Beatrice Benati in primo grado mentre lo psicoterapeuta Claudio Foti, condannato in primo grado a quattro anni per lesioni gravissime e abuso d’ufficio, in appello. La sua assoluzione è stata confermata in Cassazione un paio di mesi fa. Gli altri 17 imputati – che hanno scelto il rito ordinario – sono invece ancora in attesa di giudizio1.
Cosa è successo all’affido in questi cinque anni? E come sta oggi? Per cercare di rispondere a queste domande abbiamo parlato con organizzazioni del Terzo Settore, rappresentanti dei servizi sociali e famiglie affidatarie.
Focus Assistenti SocialiQuesto articolo è parte degli approfondimenti che Secondo Welfare dedica al lavoro dell’assistente sociale attraverso un focus tematico in cui propone dati, esperienze concrete, problemi, soluzioni innovative e temi emergenti attraverso riflessioni e contributi scritti da assistenti sociali e dalla nostra community. Scopri di più. |
Che cos’è l’affido familiare
L’affido o affidamento familiare è un istituto normato dalla Legge n. 184 del 4 maggio 1983. Secondo l’articolo 2 “il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, nonostante gli interventi di sostegno e aiuto disposti” è affidato a una famiglia o persona in grado di “assicurargli il mantenimento, l’educazione, l’istruzione e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno”. Qualora l’affidamento presso una famiglia non sia possibile la legge prevede che il/la minore possa essere inserito in una comunità di tipo familiare.
L’affido ha dunque carattere temporaneo: l’idea è di supportare minori e famiglie di origine per garantire ai primi il diritto di crescere in un ambiente nutriente e alle seconde la possibilità di rafforzare le proprie risorse e competenze per poter supportare al meglio la crescita dei propri figli.
Questa impostazione positiva emerge anche dalle più recenti Linee di indirizzo per l’affidamento familiare, aggiornate nel febbraio del 2024, che lo definiscono come “strumento di aiuto che supera la logica del controllo e della sanzione, soprattutto nei confronti della famiglia che va sostenuta nell’esercizio dei suoi diritti e delle sue responsabilità”.
Le nuove linee guida, inoltre, chiariscono anche come l’affido sia una forma (particolare e generosa) di secondo welfare perché “implica una reale sussidiarietà in cui i servizi pubblici e del privato sociale e le espressioni formali e informali della società civile si integrano reciprocamente nel rispetto delle specifiche competenze“.
I dati che mancano
Non è facile avere un’idea precisa dei numeri relativi all’affidamento familiare; la raccolta dei dati è da anni segnalata come punto debole del sistema per almeno due ordini di motivi: innanzitutto non sono disponibili dati “in tempo reale” perché la loro raccolta e pubblicazione avviene con grande ritardo2.
L’altro problema è che i dati raccolti sono disomogenei e incompleti. Secondo l’ultimo rapporto CRC3 il sistema impiegato rende “impossibile comprendere le cause dell’allontanamento, l’esito del percorso di accoglienza, le azioni a favore dei soggetti di minore età temporaneamente allontanati dalle famiglie di origine”. Anche Paola Ricchiardi, professoressa di Pedagogia sperimentale all’Università degli Studi di Torino ed esperta di affidamento familiare, ha evidenziato questo aspetto in una intervista: mancano quei “dati che raccontino le traiettorie di vita dei minori, sapere dove è stato il bambino prima dell’affido, dove va quando l’affido termina. È l’unico modo per fare delle correlazioni, comprendere le dinamiche, migliorare l’efficacia dello strumento”.
A fronte di queste criticità è comunque possibile avere un quadro complessivo del fenomeno: in Italia nel 2021 (ultimo anno per cui i dati sono disponibili) erano stimati 27.329 minori4 in affidamento familiare presso famiglie o in comunità residenziali. Si tratta di un dato in linea con gli anni precedenti: secondo i dati disponibili la media tra il 1998 e il 2021 è pari a 26.801 minori. Qualcosa, però, sembrerebbe essere cambiato nella distribuzione. Come evidenzia il grafico a partire dal 2018 il numero di minori inseriti in comunità residenziali (barre blu) ha superato il numero di minori in affidamento familiare presso famiglie (barre rosse).
Ma poco più di 27.000 minori in affidamento familiare o presso strutture residenziali sono tanti o sono pochi?
Secondo l’indagine Eurochild promossa dall’Unicef l’Italia è al terzultimo posto in Europa per gli affidi: è tra i Paesi che allontanano meno minori dalle famiglie di origine, con un tasso di 274 minori in affidamento familiare o in comunità ogni 100.000 minori residenti.
Anche qui è però necessario ragionare sulla solidità di questi dati. L’indagine citata è di fondamentale importanza perché è la prima di questo tipo realizzata a livello europeo. E, proprio per questo, si è scontrata con significative differenze e difficoltà nella rilevazione di dati omogenei. C’è innanzitutto la difficoltà di comparare sistemi di protezione dell’infanzia anche molto diversi tra loro5. Inoltre l’Italia non è l’unico Paese ad avere un sistema di raccolta dati lento e lacunoso, anzi: i dati europei aggregati si riferiscono ad annualità diverse (2017-2020) e, addirittura, per l’Austria mancavano i dati necessari per calcolare il tasso di allontanamento.
Potremmo dire che l’elemento comune a tutti i Paesi europei in questo ambito è proprio la carenza nella raccolta e diffusione dei dati. Una conclusione a cui è arrivata la stessa indagine Eurochild, le cui raccomandazioni finali si concentrano interamente sul miglioramento dei sistemi europei e nazionali di monitoraggio e raccolta in questo ambito.
Malessere e difficoltà gravi
È proprio dai dati che inizia la nostra conversazione con Federico Zullo, presidente di Agevolando. Agevolando è un'associazione che si occupa di ragazzi e ragazze care leaver - ossia persone che al compimento del diciottesimo anno di età vivono al di fuori dalla famiglia di origine sulla base di un provvedimento dell'autorità giudiziaria.
“Dal nostro osservatorio - sottolinea Zullo - innanzitutto il tema dell'affidamento è un tema che è erroneamente considerato come un'emergenza”, visto che l’Italia è fra i Paesi europei che allontanano meno minori. Zullo, che prima di fondare e presiedere Agevolando è stato lui stesso un care leaver, evidenzia come invece emerga un problema di segno opposto: “i bambini e i ragazzi vengono allontanati sempre più tardi, in una situazione di fragilità e di consolidamento di problematiche personali”. Di conseguenza per le famiglie affidatarie e per le comunità il percorso di accompagnamento del minore diventa più difficile.
Purtroppo anche su questo argomento è difficile avere certezze, perché i dati disponibili non permettono di fotografare questo fenomeno nel tempo. Tuttavia non si tratta di un punto di vista isolato. Ne abbiamo parlato anche con Manuela Merlatti, assistente sociale del Comune di Genova. Il capoluogo ligure svolge in questo periodo la funzione di segreteria del CNSA - Coordinamento Nazionale Servizi Affido, una rete costituita tra decine di amministrazioni pubbliche allo scopo di offrire occasioni di confronto sull’affido familiare a responsabili e operatori dei Servizi Socio-Sanitari. Abbiamo intervistato Merlatti proprio in questa veste di rappresentanza del CNSA e, a suo parere, le famiglie sempre più spesso “arrivano ai servizi già in uno stato di grave malessere e di grave difficoltà”.
Le motivazioni sono diverse: sicuramente c’è una questione di carenza di risorse e di personale, ma anche di emersione tardiva delle situazioni di difficoltà. Quanto al primo aspetto, come avevamo raccontato in relazione al passaggio da Reddito di Cittadinanza ad Assegno di Inclusione, in condizioni di scarsità di risorse spesso capita che le azioni preventive e gli interventi precoci cedano il passo a interventi di carattere emergenziale. La carenza di assistenti sociali è effettivamente un elemento da tenere sempre in considerazione quando si ragiona sui servizi sociali territoriali: nei Comuni italiani mancano più di 3.000 assistenti sociali.
C’è poi la questione del turnover che, secondo il presidente Zullo, è particolarmente problematico quando si lavora con famiglie e minori: “si cambia il punto di riferimento. È vero che c'è un passaggio di consegne, ma su tante cose bisogna un po' ricominciare da capo”. Lo spiega bene Merlatti del CNSA: “il problema del turnover effettivamente c’è: anche perchè spesso si occupano di affido colleghi magari molto giovani e a tempo determinato” che tendono fisiologicamente a cambiare più spesso lavoro per migliorare la propria condizione. “E qui il turnover fa male. Se immagini la complessità e la delicatezza dei legami tra la famiglia affidataria, la famiglia di origine e il bambino…Tutte le volte che cambia l'assistente sociale c'è una piccola “caduta” dell’intervento”.
Come dicevamo c’è però anche un problema di emersione tardiva delle situazioni difficoltà. E in questo - sottolinea Merlatti - un ruolo importante è stato giocato dalla pandemia, che “ha portato a una grossa diminuzione dei rapporti di comunità, sono venute meno tante reti di quartiere, di buon vicinato, di parrocchia”. Tutte occasioni di confronto informale in cui può emergere più precocemente una condizione di difficoltà. Anche la scuola - presidio fondamentale per l’intercettazioni di problemi e disagi - è stata necessariamente meno efficace: “in quei due anni se uno non stava bene è rimasto spesso “non visto”. Basti pensare ai ragazzi che facevano didattica a distanza: cosa poteva percepire del malessere di un ragazzino un insegnante dietro una telecamera?”.
Differenze territoriali
L’affido è un argomento molto complesso in cui le criticità sono molte e articolate. Con le persone intervistate abbiamo parlato anche del rapporto con l’autorità giudiziaria, dei cambiamenti introdotti dalla Riforma Cartabia6, della doverosa riflessione intorno al carattere sempre meno temporaneo dell’affidamento familiare, delle preoccupazioni intorno all’ultimo disegno di legge in materia.
Uno degli elementi che però è emerso con maggiore forza è quello della differenziazione territoriale. Pur nell’ambito di una normativa nazionale e di Linee di indirizzo uniche, ogni Regione e ogni territorio si muovono con una certa autonomia. In questo modo le prestazioni (e le difficoltà) relative all’affido variano a seconda del proprio territorio di residenza.
Un ottimo esempio è quello della burocrazia: molto spesso le persone minorenni in affido hanno alle spalle storie di abbandono, migrazioni, traslochi frequenti, repentini cambiamenti di scuola e punti di riferimento. In situazioni simili anche cose relativamente semplici come il rinnovo della carta d’identità o l’adempimento dell’obbligo vaccinale possono diventare problemi enormi. In cui spesso le famiglie affidatarie devono barcamenarsi solo con le proprie risorse. Il tema della burocrazia è effettivamente molto sentito, ce lo hanno confermato anche diverse famiglie affidatarie contattate da Secondo Welfare per questo articolo.
Da questo punto di vista Merlatti sottolinea che “ogni singolo territorio può costruirsi dei canali e delle procedure un pochino più fruibili. Quindi sicuramente non c'è una parità di trattamento su tutto il territorio italiano”. Una parte importante del lavoro del CNSA - di cui Merlatti è segretaria - si concentra proprio sulla condivisione e diffusione di prassi e protocolli che si dimostrano efficaci. “Uno degli obiettivi del Coordinamento Nazionale Servizi Affidi - sottolinea Merlatti - è proprio quello di garantire una parità di trattamento dei minori e delle famiglie affidatarie su tutto il territorio nazionale".
Un effetto Bibbiano?
In diverse occasioni si è ipotizzato che il caso Bibbiano abbia avuto un effetto negativo sulla diffusione dell’affidamento familiare in Italia, in particolare a causa del modo con cui l’affido è stato trattato sia dai media sia da molti politici dopo che l’inchiesta “Angeli e Demoni” è finita sui giornali.
Ma è davvero così? Apparentemente no, almeno dal punto di vista dei numeri. Anche se è importante ricordare che i dati disponibili sono datati (2021) e incompleti: per esempio non mostrano il numero di famiglie affidatarie disponibili, ma soltanto il numero di minori che vivono presso queste famiglie. Un primo indicatore potrebbe essere l’aumento del numero di minori in comunità rispetto a quelli in famiglia: considerando stabile il numero di minori allontanati dalla famiglia di origine, se aumenta la percentuale di minori in comunità significa che meno famiglie sono pronte ad accogliere in affidamento. Con i dati a disposizione, però, non è possibile stabilire una correlazione tra questi due dati.
E soprattutto il “sorpasso” degli affidi in comunità su quelli in famiglia ha iniziato a manifestarsi nel 2017, quando Bibbiano era ancora un Comune emiliano come tanti, sconosciuto ai più, o al massimo noto per il suo enorme monumento al parmigiano reggiano: uno spicchio da 32 tonnellate di marmo di Carrara.
Sempre sul fronte dei dati è importante evidenziare che eventi come il caso Bibbiano o la pandemia manifestano i propri effetti solo nel corso di diversi anni. Commentare nel 2024 dati risalenti al 2021 ha un’utilità limitata da questo punto di vista.
(ri)Costruire la fiducia
Al di là del dato numerico, però, il caso Bibbiano sembra aver avuto conseguenze meno vistose eppure molto sentite nella quotidianità di servizi sociali e famiglie. Secondo diversi assistenti sociali consultati da Secondo Welfare per questo articolo, in molti casi si è creato un generale clima di sfiducia e controllo tra le istituzioni coinvolte nell’affido. Si tratta di dinamiche apparentemente piccole e difficili da misurare: dove prima gli scambi avvenivano in modo fluido sono nate incomprensioni e adempimenti aggiuntivi; dove prima l’assessore si affidava con tranquillità alle competenze professionali dell’assistente sociale adesso ci sono riunioni e richieste di chiarimento.
Nell’affido la fiducia è veramente un ingrediente essenziale: la fiducia che un bambino o una bambina possano crescere con serenità e non essere predestinati a vivere la stessa vita difficile dei propri genitori biologici; la fiducia che famiglie e genitori in difficoltà possano rafforzarsi e rappresentare dei punti di riferimenti per i propri figli; la fiducia che una famiglia o una persona “estranea” possa accompagnare con amore e attenzione la crescita di un bambino o una bambina per un tratto più o meno lungo di strada. E anche la fiducia nelle istituzioni: la fiducia che ogni soggetto coinvolto - la politica, la burocrazia, i servizi sociali… ma anche i mezzi di informazione - faccia scrupolosamente il proprio lavoro e collabori con tutti gli attori che fanno parte della rete dell’affido.
Dopo Bibbiano, conclude Merlatti, “è stato faticoso riuscire a dialogare con la politica e riacquisire anche la fiducia dei propri politici”. Eppure, almeno a livello locale, le cose sono pian piano migliorate: “gli amministratori locali alla fine toccano con mano l'affido: quando noi spieghiamo al nostro assessore l'affido o le parliamo di alcuni casi lei li “vede” in quel quartiere. Il confronto avviene su un piano che è anche e soprattutto umano”. Un piano su cui è possibile (ri)costruire la fiducia nell’affidamento familiare, un istituto che è fatto di generosità, solidarietà e amore. Ma che, per fiorire al meglio, ha bisogno di essere inserito in un contesto di fiducia diffusa e di sostegno costante da parte delle istituzioni. Anche parlando, davvero, di Bibbiano.
Note
- Tra questi c’è anche l’allora sindaco di Bibbiano Carletti, che non è coinvolto nella presunta gestione scorretta degli affidi, bensì è imputato per abuso d’ufficio e falso (in relazione a presunte irregolarità nell’affidamento di alcuni locali dove si svolgevano sedute terapeutiche).
- Nel febbraio 2024 è stato pubblicato il report più recente, aggiornato al 2021.
- Il Gruppo di Lavoro per la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza (Gruppo CRC) è un network composto da più di 100 soggetti del Terzo Settore che si occupano della promozione e tutela dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza ed è coordinato da Save the Children Italia. Il Gruppo pubblica ogni anno un Rapporto di aggiornamento sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, arrivato nel 2023 alla sua 13a edizione.
- Per brevità nell’articolo ci riferiamo genericamente a persone minori. I dati in realtà si riferiscono a bambini, bambine, ragazzi e ragazze di età compresa tra 0 e 17 e non comprendono i minori stranieri non accompagnati.
- Questa difficoltà ha imposto a ricercatori e ricercatrici la necessità di fare alcune semplificazioni e comparazioni allo scopo di fornire indicatori sintetici. L’indagine, per esempio, parla di tasso minori “in alternative care”, espressione che noi abbiamo tradotto con “tasso di minori allontanati”, perchè nel calcolo sono compresi tutti i minori allontanati dalle famiglie di origine (quelli in affidamento familiare e quelli in comunità).
- La cosiddetta Riforma Cartabia (D. Lgs.149/20221 e L. 206/2021) interessa l’intero sistema giudiziario italiano e ha affrontato in diversi punti l’affidamento familiare, soprattutto in relazione al ruolo dei servizi sociali e dell’autorità giudiziaria. Per approfondire si rimanda a una Sintesi degli articoli di interesse per il servizio sociale professionale curata dal Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali.