Questo articolo è uscito sul numero 1/2024 di Rivista Solidea, pubblicazione promossa dall’omonima Società di mutuo soccorso e parte del network del nostro Laboratorio. |
“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti” (art. 32, co. 1, Cost.).
È sufficiente la lettura del testo della disposizione costituzionale rivolta alla tutela della salute per coglierne i tratti giuridici essenziali. Ne parla Francesco Pallante, professore ordinario di Diritto costituzionale presso l’Università di Torino su Rivista Solidea.
I tratti essenziali del diritto alla salute
Anzitutto, il diritto alla salute è il solo che la Costituzione definisce espressamente “fondamentale”. A giustificare tale peculiarità è l’essere il diritto alla salute il presupposto logico, ancor prima che giuridico, di tutti gli altri diritti costituzionali: “fondamentale” va inteso in senso letterale, come “posto a fondamento”.
La salute è un “bene” costituzionale complementare alla vita stessa. Vita e salute costituiscono un’endiadi indissolubile: ciò che rende effettivamente possibile godere di tutti gli altri diritti costituzionali. Ne deriva la doverosità dell’attuazione (e, quindi, del finanziamento) del diritto stesso, quantomeno nel suo contenuto minimo essenziale. Alla politica spetta decidere come attuare il diritto, non se farlo: è un limite alla discrezionalità del legislatore.
In secondo luogo, nel testo dell’art. 32, co. 1, Cost. si legge che il diritto alla salute è riconosciuto come diritto spettante all’«individuo», anziché – come avviene per altri diritti – al «cittadino»; questo significa che spetta a qualsiasi essere umano sia sottoposto alla sovranità dello Stato italiano, inclusi gli stranieri irregolari. Non potrebbe essere diversamente: poiché – sempre per dato testuale della disposizione – la salute è anche «interesse della collettività», nessun membro, di diritto o di fatto, della comunità può rimanere escluso.
Infine, dalla combinazione dei dati testuali ora richiamati, la dottrina giuridica ha ricavato un ulteriore tratto giuridico essenziale del diritto alla salute: il fatto che debba essere assicurato, almeno nei suoi livelli essenziali, in modo uguale e uniforme su tutto il territorio nazionale.
Il SSN tra risorse scarse e bisogni crescenti: un problema di equità e sostenibilità
È questo un tema che assume, oggi, una bruciante attualità: sia per le differenze nei livelli di tutela che il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) fornisce ai cittadini, a seconda delle zone del Paese in cui vivono; sia per i progetti di autonomia regionale differenziata, perseguiti – in base all’art. 116, co. 3, Cost., così come modificato nel 2001 – dal Veneto, dalla Lombardia e dall’Emilia-Romagna.
Diritto alla salute e attuazione concreta: come?
Se questo è il quadro costituzionale di riferimento, quanto dei tratti giuridici essenziali del diritto alla salute trova riscontro nella sua attuazione concreta? I principi fondamentali ai quali dovrebbe ispirarsi il SSN sono i seguenti: universalità della copertura; uguaglianza di trattamento dei cittadini; globalità delle prestazioni erogate; equità del finanziamento; controllabilità democratica; unicità della gestione. Si può dire siano correttamente rispettati?
Universalità
Un servizio sanitario è considerabile universalistico se il diritto alle cure viene garantito all’intera popolazione: se, cioè, tutti i cittadini possono accedere gratuitamente alle cure erogate dalle strutture Sotto questo profilo, il nostro è un sistema più che universale, dal momento che garantisce assistenza non solo a tutti i cittadini italiani, ma anche alle persone straniere che si trovino, per qualsiasi motivo, sul territorio nazionale.
Uguaglianza di trattamento
L’uguaglianza in campo sanitario implica che, a parità di bisogno sanitario, tutti i cittadini siano curati nello stesso modo. Non è quel che accade in Italia. L’assistenza sanitaria offerta nelle diverse Regioni è tutt’altro che omogenea.
Il dato più sconvolgente – a mio parere – non è la differenza di 4 anni nell’aspettativa di vita a favore di chi vive al Nord rispetto a chi vive al Sud, ma la differenza di ben 13 anni nell’aspettativa di vita in salute, che è di 54 anni in Calabria e di 67 a Bolzano. Nessun Paese d’Europa fa registrare, al proprio interno, una diseguaglianza così profonda, al punto che la mobilità da Sud a Nord si stima valga oramai 14 miliardi di euro.
Globalità delle prestazioni erogate
La globalità implica che il servizio pubblico si faccia carico di tutte le esigenze di salute, concependo la salute nell’accezione più ampia possibile. Il sistema sanitario non deve pertanto limitarsi alla cura degli stati patologici acuti, ma deve intervenire su tutti i fattori che influenzano, più o meno direttamente, la salute dei singoli e della collettività.
L’ampia gamma delle prestazioni offerte dalla sanità italiana va in questa direzione. Sotto questo aspetto, il SSN sembra, quindi, rispettare il principio di globalità. E, tuttavia, a smentire questa apparenza è il fatto che a dover essere garantite sono soltanto le prestazioni essenziali: quelle, cioè, che rientrano negli elenchi dei livelli essenziali di assistenza (i LEA). Nella pratica, poi, nemmeno questo avviene, essendo – secondo gli ultimi dati, relativi al 2022 – la maggior parte delle Regioni inadempienti.
Equità del finanziamento
Un sistema sanitario è equo quando le spese sanitarie sono distribuite tra i cittadini in base non alle condizioni di salute, ma alla capacità. È quello che solo in parte avviene in Italia: poiché il SSN è finanziato principalmente attraverso la fiscalità generale, grazie al principio della progressività fiscale (art. 53 Cost.) i più benestanti pagano parte dell’assistenza sanitaria destinata ai meno abbienti.
A ridurre l’equità complessiva del sistema concorrono, tuttavia, almeno tre elementi: la crisi della progressività fiscale; la compartecipazione alla spesa da parte degli utenti (i c.d. ticket, che coprono ca. il 2% della spesa sanitaria pubblica); la quota crescente di spesa sanitaria privata.
Controllo democratico da parte dei cittadini
Prima dell’aziendalizzazione introdotta all’inizio degli anni Novanta, il SSN era articolato in Usl (unità sanitarie locali), i cui amministratori erano nominati dai Consigli comunali (organi rappresentativi), non dalle Giunte regionali (organi esecutivi). Il sistema aveva molti difetti (la lottizzazione partitica su tutti), ma garantiva una maggiore vicinanza tra cittadini/utenti e gestori della sanità pubblica.
Oggi tutto è deciso, in ultima istanza, dal Presidente della Regione, che nomina e revoca l’Assessore alla Sanità a proprio piacimento e, per suo tramite, decide i direttori generali delle Asl senza doverne rispondere a nessuno (se non, una volta ogni cinque anni, al corpo elettorale: ma è chiaro che si tratta di una forma di controllo molto labile e indiretta).
Unicità della gestione in capo al settore pubblico
È evidente che l’obiettivo di ricondurre in capo al SSN la gestione di tutte le attività sanitarie, che prima della legge del 1978 erano ripartite tra una pluralità di attori pubblici e privati, è in larga misura disatteso, dato il rilevante (e crescente) peso del settore privato.
In definitiva: dei sei princìpi che dovrebbero regolare la configurazione del SSN, uno soltanto – quello dell’universalità della copertura – può considerarsi rispettato; tutti gli altri risultano, in misura più o meno significativa, disattesi. Inoltre, due questioni di stringente attualità risultano suscettibili di ulteriormente aggravare il quadro.
L’espansione del privato in sanità: il caso italiano nel contesto globale
Il definanziamento del SSN
Le risorse oggi assegnate al Fondo sanitario nazionale (pari circa 129 miliardi di euro nel 2023, che saliranno a 134 miliardi nel 2024) sono del tutto insufficienti, tanto più alla luce dell’elevatissima inflazione e dell’esplosione dei costi dell’energia, che, da soli, valgono ad annullare l’incremento di 4 miliardi deciso rispetto al 2022.
In rapporto al Pil, il bilancio pluriennale dello Stato prevede che nel 2025 la spesa sanitaria ammonterà al 6,1%: è un dato al di sotto non solo dei livelli pre-pandemia, ma soprattutto della misura minima perché un sistema sanitario possa funzionare in modo adeguato. Anche considerata pro capite, la spesa sanitaria italiana è estremamente bassa: con 3.052 euro a persona, l’Italia si colloca all’ultimo posto tra i Paesi del G7, al di sotto della media OCSE.
Tre sono le sue conseguenze più rilevanti.
L’altissima spesa in salute privata (41 miliardi di euro nel 2021, di cui 36,5 direttamente a carico delle famiglie e 4,5 attraverso varie forme assi- curative), pari a circa il 25% della spesa in salute complessiva (sicché, la spesa sanitaria totale – pubblica e privata – ammonta a circa 168 miliardi di euro: questa è la consistenza verso la quale dovrebbe tendere il Fondo sanitario nazionale).
L’ampio sottodimensionamento del personale sanitario (medico e infermieristico) e delle strutture sanitarie (in particolare i posti letto) rispetto alla domanda di tutela di salute che viene dalla popolazione (come visto in maniera drammatica durante la fase emergenziale del Covid-19 e oggi con i tempi d’attesa di tutte le prestazioni che si allungano sempre di più).
Infine, la crescita inarrestabile della quota di prestazioni fornite al SSN dai privati convenzionati.
Di fatto, quello che sta accadendo è il rapido scivolamento verso una situazione in cui il SSN manterrà essenzialmente il compito di presidiare la fase emergenziale, mentre tutto ciò che rientra nella fase post-acuzie sempre più diverrà terreno d’intervento dei privati.
Autonomia regionale differenziata (anche in ambito sanitario)
La prospettiva che si sta delineando con l’autonomia regionale differenziata è quella di un ulteriore inasprimento delle enormi differenze che già oggi segnano la tutela della salute nelle diverse Regioni italiane. Una differenziazione, oltretutto, promossa dalle Regioni più ricche, con l’obiettivo di trattenere parte del gettito fiscale riscosso sul proprio territorio nelle casse regionali (e dunque, in questo modo, di ridurre le risorse destinate alla redistribuzione della ricchezza, in violazione degli artt. 2 e 53 Cost. che sanciscono il dovere di solidarietà economica in base al livello di benessere, non al territorio di residenza).
Si aggiunga che la nozione di «residuo fiscale» è insostenibile sia dal punto di vista logico, sia dal punto di vista costituzionale: basti dire che a pagare le tasse sono le persone, non le Regioni, e che lo fanno in base al loro reddito, non al territorio di residenza.
Invece, quello di cui ci sarebbe bisogno è, anzitutto, che i profili organizzativi essenziali tornino a essere uniformi (in particolare, per quanto attiene al rapporto tra dimensione territoriale e dimensione ospedaliera dei Ssr); e, in secondo luogo, che torni a essere ovunque vero quel che dispone la legge n. 833/1978 a proposito delle finalità del SSN, che vanno rivolte alla “promozione“, al “mantenimento” e al “recupero” della salute fisica e psichica di tutta la popolazione (art. 1, co. 3), affinché sia realizzato “il superamento degli squilibri territoriali nelle condizioni socio-sanitarie del Paese” (art. 2, co. 2, lett. a).
Il futuro del SSN
Il dato che accomuna definanziamento e regionalismo differenziato è la questione fiscale. È un tema complesso e politicamente delicatissimo. Un tema anche mediaticamente difficile da affrontare, nonostante l’Italia sia uno dei Paesi più ricchi del mondo, dotato di un’enorme ricchezza privata: quasi undicimila miliardi di euro (dati Bankitalia), anche se distribuiti in maniera estremamente diseguale, a favore di pochissime persone. Basti dire che, nel complesso, i miliardari italiani (una cinquantina di individui) posseggono tanta ricchezza quanto il 30% più povero della popolazione (18 milioni di persone).
Non mancano le risorse: manca la volontà politica, nonostante la cittadinanza, al di là degli orientamenti partitici dei singoli, continui in larga misura a essere favorevole alla natura pubblica del servizio sanitario. Per questo, pur senza farsi illusioni, si può nutrire un pizzico di ottimismo. Non tutto è perduto e il futuro del SSN è ancora da scrivere. La salute è un diritto costituzionale e sta a noi – anche a noi – lottare perché il suo futuro possa essere nel segno della Costituzione.