aOggi si parla molto del rapporto tra digitale e scuola, e sempre più spesso ci troviamo di fronte a casi ed esperienze meritevoli di interesse per capire come funzioni e quali impatti abbia sul nostro sistema educativo e sociale. La ricerca “Dati alla mano: scuola, disuguaglianze e tecnologia” realizzata da Fondazione Cariplo, WeSchool e Politecnico di Milano guarda proprio ad alcuni di essi. Presentata il 25 gennaio presso MEET – Digital Culture Center a Milano, l’analisi si è posta tre domande fondamentali:
- Il digitale aumenta o diminuisce la disuguaglianze?
- Il corpo docente è pronto a gestire questa mole di novità e qual è suo ruolo nella didattica innovativa?
- L’Intelligenza Artificiale (AI) generativa, che ruolo avrà in questo scenario? Colmerà o aggraverà le disuguaglianze?
Di seguito vi proponiamo alcune delle evidenze più interessanti emerse nel corso dell’evento di presentazione.
Gli obiettivi della ricerca
“In un mondo di informazione ridondante, chiediamo competenze diverse dal passato e per decidere in che direzione proseguire è importante sperimentare. Con il digitale, però ‘sperimentiamo sulle persone’: è proprio per questo che abbiamo bisogno di dati, perché sono fondamentali per progettare in futuro”, ha detto Giovanni Azzone, Presidente di Fondazione Cariplo, sottolineando l’importanza delle informazioni offerte dalla ricerca.
Donatella Sciuto, Rettrice del Politecnico di Milano, ha ricordato che un progetto di ricerca come quello realizzato è fondamentale per sostenere i ragazzi e le ragazze nel proseguimento del proprio percorso educativo. Se l’obiettivo finale è la piena realizzazione dell’equità di opportunità, è necessario “pre-occuparci, letteralmente occuparci prima, anticipare i rischi possibili di abbandono perché l’università possa essere un vero e proprio ascensore sociale”. È innegabile, sostiene la Rettrice, che la tecnologia sia foriera e riproduca le disuguaglianze esistenti: possiamo vedere gli effetti più concreti del digital divide in alcuni segmenti di popolazione, come le persone anziane o le persone con un background socio-economico svantaggiato. Sta alla ricerca, dunque, il compito di renderla inclusiva.
Quanto pesa davvero il digitale sull’innovazione della didattica
Un tema, perciò, sociale ma anche politico. Come sottolinea Marco de Rossi, CEO di WeSchool, piattaforma che permette di creare percorsi formativi personalizzati: “Oggi viviamo una specie di paradosso, in cui i policy maker non hanno la visione d’insieme di quello che succede a livello di consumatore e aziende. Siamo di fronte a un nuovo punto di partenza: servono più dati, ma anche più attori coinvolti, a partire da quello politico che non può solo demandare al privato l’attivazione su questi temi.”
Alcune delle evidenze su docenti e alunni
Facendo affidamento su 2 focus group con 11 docenti della scuola primaria e secondaria di I e II grado, una survey rivolta a 1.819 insegnanti e analizzando le tracce digitali dei circa 1.7 milioni di utenti iscritti a WeSchool, la ricerca ha posto l’attenzione sul ricorso alla DAD durante l’emergenza pandemica dovuta al Covid-19.
Per quel che riguarda i docenti, all’inizio della pandemia, 2 su 3 tra quelli raggiunti dalla ricerca usavano sporadicamente gli strumenti digitali per tre motivi principali: supportare la lezione frontale, creare contenuti e implementare didattiche innovative. Chiedendo quanto si sentivano preparati ad affrontare la DAD, scopriamo che quasi la metà del campione (44%) non si sentiva tale. Dopo la DAD, 1 docente su 2 (53%) si sente molto o del tutto preparato mentre solo il 5% continua a non sentirsi tale.
Oltre i punteggi: il potenziale dei dati INVALSI che dovremmo imparare a sfruttare
“Quando ne abbiamo parlato coi docenti”, ha sottolineato Tommaso Agasisti, professore del Politecnico di Milano, è emerso chiaramente che “l’idea che possiamo inserire il digitale e basta non tiene più. Serve chi lo veicola per favorire la crescita di confidenza dei docenti” affinché l’utilizzo di questi nuovi strumenti non consista in una mera trasposizione della lezione frontale tradizionale nel mondo digitale, ma perché si possa sviluppare a pieno il potenziale di apprendimento degli studenti e delle studentesse, perché possano diventare davvero protagonisti del proprio percorso scolastico e di vita.
In questo scenario, dunque, pensare che la tecnologia possa essere in grado di sostituire e rendere obsoleto il ruolo del docente è semplicistico: il ruolo del docente, infatti, cambia e si trasforma insieme alla tecnologia, riduce la distanza dagli studenti ma rimane una guida fondamentale per lo sviluppo del pensiero critico, di quella capacità ormai necessaria di destreggiarsi tra la miriade di informazioni disponibili e trarne un profitto, un qualcosa in più che è in grado di arricchire lo/la studente in quanto cittadino/a.
Sul fronte degli studenti, come ha spiegato Paolo Canino di Cariplo Social Innovation Lab, la ricerca si è posta due domande: le scuole in contesti poveri sono state più in difficoltà nell’uso della DAD? Interventi correttivi hanno contenuto o ridotto le difficoltà incontrate dei contesti più poveri? Le analisi si sono concentrate sugli anni scolastici 2019/2020 e 2020/2021 e hanno coinvolto rispettivamente 3.800 e 3.700 scuole che hanno utilizzato la piattaforma WeSchool.
Dai dati emerge una significativa variazione relativa al tempo in cui gli studenti accedevano, in media, alla piattaforma: mentre alcuni studenti hanno effettuato l’accesso una volta ogni 50 giorni, altri lo facevano addirittura 5 volte al giorno; allo stesso modo, alcuni vi passavano pochi secondi al giorno mentre altri vi dedicavano anche 5 ore al giorno. In termini di disuguaglianze territoriali, significativo è il dato relativo alle zone in cui il reddito economico risulta più basso: si verifica, infatti, una correlazione tra indice di disuguaglianza e variabilità di utilizzo e, in particolare, una correlazione negativa tra redditi bassi e disuguaglianza di accesso e utilizzo.
È inoltre importante sottolineare che le disuguaglianze d’accesso sono mediamente aumentate nel passaggio da un anno scolastico all’altro. In particolare, sembrano aumentare le distanze tra scuole in cui molte classi hanno deciso di proseguire con un uso intensivo della piattaforma e scuole in cui si è optato per altri strumenti digitali ovvero per un ritorno alla didattica tradizionale. I risultati della ricerca, spiega dunque Canino, non sono in grado di rispondere alla domanda sull’impatto dei contributi correttivi, poiché non è chiaro se le differenze di utilizzo siano legate a maggiori differenze di accesso, a un minore uso della didattica digitale o al trasferimento su altre piattaforme.
Luci ed ombre della digitalizzazione della scuola
I dati emersi dalla ricerca sono stati discussi durante una tavola rotonda a cui hanno partecipato esperti/e che si occupano di scuola e digitale, che hanno evidenziato come il rapporto tra queste due dimensioni sia costellato da luci ed ombre.
Come ha sottolineato la nostra Chiara Agostini citando le prime evidenze del progetto Nova Schol@, che Secondo Welfare sta realizzando grazie al sostegno di Bolton Hope Foundation, una delle ombre più evidenti è proprio il divario digitale. Spesso inteso come possibilità (o meno) di accesso agli strumenti tecnologici, il digital divide appare ancora più meritevole di intervento alla luce dei dati emersi dalla ricerca di Cariplo, specialmente nella sua dimensione legata all’alfabetizzazione digitale.
Innovazione digitale della didattica e inclusione sociale: i primi esiti del progetto Nova Schol@
Insieme al moltiplicarsi delle informazioni si sono moltiplicati anche i luoghi e gli spazi di apprendimento: è perciò fondamentale, come sottolinea ha sottolineato Francesca Borgonovi, Head of Skills analysis di OCSE, passare da “una visione naїve del digitale a una che lo interpreti come uno strumento a supporto della valutazione”. Nel modello finlandese, ad esempio, il ruolo del digitale appare interessante perché “permette di fare vedere come individuo che apprende è diverso a seconda del tempo in cui lo si guarda”.
Giulia Guglielmini, Presidente della Fondazione per la Scuola di Compagnia di San Paolo, ha definito “valutazione educativa” ovvero un approccio che non mortifichi l’insuccesso ma che fornisca allo/a studente feedback utili alla sua crescita, anche socioemotiva, e che sia anche capace di integrare il gioco come prassi di apprendimento.
Fondamentale, dunque, andare oltre le ombre e puntare sulle luci della digitalizzazione. Se è dunque vero che “i dati ci permettono di avere lo sguardo puntato su alcuni problemi”, come la dispersione scolastica (esplicita o implicita) o la performance di studenti e studentesse, è altrettanto vero che “per risolverli, serve ancora la pedagogia e la didattica”, ha sottolineato Roberto Ricci, Presidente di INVALSI.
In questo scenario, occorre essere in grado di riportare al centro il benessere degli studenti e delle studentesse, promuovendo non solo lo sviluppo del senso critico, ma anche di competenze socioemotive centrali per la vita adulta in società: compito degli insegnanti è dunque rendere i ragazzi e le ragazze protagonisti/e del proprio processo di apprendimento, lavorando sulle relazioni (tra pari e con il/la docente) e sull’indipendenza e autonomia di pensiero, uniche vere luci di un mondo che tenta sempre più di rinchiuderci all’interno di una miriade di bolle di (dis)informazione.
Rivedi la registrazione
Dati alla mano: scuola, disuguaglianze e tecnologia from Fondazione Cariplo on Vimeo.