Come ha mostrato la pandemia, il ruolo dei territori e delle comunità locali può essere potenzialmente alto in termini di attivazione di progettualità e collaborazioni multi-attore, capaci di mobilitare risorse economiche, organizzative e ideative aggiuntive e/o di rendere più efficiente l’utilizzo di quelle già esistenti proprio nelle aree di bisogno attualmente più scoperte, perseguendo una logica aggregativa e inclusiva. Quella territoriale sembra essere anche una dimensione adatta per sperimentare innovazioni capaci di intercettare i bisogni poco tutelati.
Il “welfare territoriale” non si limita, infatti, a quanto i Comuni possono offrire con le (poche) risorse a disposizione. Il territorio si è trasformato (o si può trasformare) sempre più in un eco-sistema socio-economico e culturale nel quale le amministrazioni pubbliche e gli attori privati, profit e non profit, possono diventare attori-chiave: nel promuovere e/o facilitare processi capaci di aggregare, mettere a sistema e liberare risorse presenti (dalle risorse oggi spese out-of-pocket al volontariato, dalle risorse formali e quelle informali), nel favorire l’integrazione tra ambiti di policy, anche in modo inedito e non scontato, e nell’assicurare che i processi attivati seguano logiche inclusive, orientate all’innovazione e all’investimento sociale.
Il ruolo crescente degli attori di secondo welfare
È in questo contesto, tra la crisi del 2008 e quella pandemica in corso, che si è fatto strada e rafforzato il “secondo welfare”, quell’insieme di interventi e progetti a finanziamento privato avviati “dal basso” da una pluralità di attori che si propongono di aggregare e mettere in circolo risorse aggiuntive per contrastare gli effetti legati ai tagli della spesa sociale e per contribuire alla sostenibilità sociale, economica e ambientale del nostro Paese.
Nel corso dell’ultimo decennio “nuovi” soggetti – provenienti dalla sfera del mercato, delle associazioni intermedie, del Terzo Settore (dalle associazioni di volontariato ai soggetti della cooperazione sociale), della famiglia e delle reti informali – hanno affiancato l’attore pubblico nella progettazione, sperimentazione e attivazione di interventi di welfare in un’ottica sussidiaria. Il protagonismo di questi soggetti tradizionalmente esclusi o ai margini del welfare state – seppur non esente da rischi e criticità – ha quindi favorito profondi mutamenti e proposte di rinnovamento per quel che concerne i servizi sociali.
Terzo Settore e volontariato di fronte alle sfide presenti
In questa “nuova normalità” – ora sfidata dalla crisi globale scatenata dalla guerra in Ucraina e dalle numerose varianti che generano continue ondate di contagio da Covid-19, e provando a consolidare gli apprendimenti acquisiti – quale ruolo possiamo immaginare per il Terzo settore e il volontariato rispetto a un welfare in crisi ma anche in trasformazione?
Guardando indietro all’ultimo biennio, da più parti sono state evidenziate le risorse e le azioni messe in campo dalla società civile e dal volontariato. II Terzo Settore, come emerge anche dal Rapporto “Sussidiarietà e… sviluppo sociale“, e dal capitolo 14 in particolare, ha complessivamente dato prova di essere una risorsa preziosa e strategica anche in situazioni di emergenza, capace di reagire usando strumenti nuovi e innovativi in grado di fornire servizi essenziali, calibrati sui bisogni emergenziali. A fare la differenza sono stati il bagaglio di esperienze pregresse e la struttura organizzativa dei numerosi enti del Terzo Settore territoriali, uniti alla disponibilità ad aprirsi all’innovazione e alla flessibilità, la centralità delle persone e il rafforzamento delle reti multi-attore e, ultime ma non meno importanti, le risorse economiche, tecnologiche e comunicative messe in campo nelle situazioni più difficili.
È proprio facendo leva su queste risorse che il Terzo Settore è chiamato oggi a una duplice sfida: da un lato, non sottrarsi alle richieste (comprese quelle contingenti e quotidiane) che provengono dai territori continuando a essere reattivo e innovativo e, dall’altro, cogliere l’opportunità di avviare un processo profondo di rinnovamento che lo porti a rafforzarsi e a fare i conti con le criticità che lo contraddistinguono, aprendosi all’innovazione sia di prodotto (gli aiuti forniti e le iniziative proposte) sia di processo (le relazioni con gli altri soggetti pubblici e non, tra privato profit e non profit).
Terzo Settore e sviluppo sociale: la cornice di intervento
Il legame tra welfare territoriale e volontariato può e deve essere alimentato e reso strategico guardando alla cornice offerta dai 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 e al Pilastro Europeo dei Diritti Sociali. In un rinnovato rapporto tra l’eco-sistema del Terzo Settore e la pluralità di attori locali, la sfida è anche per il volontariato quella di concorrere alla promozione dello sviluppo sociale del territorio e al contrasto delle crescenti diseguaglianze economiche e sociali, contribuendo all’attivazione delle comunità locali e, insieme, creare le condizioni per un’inclusione “capacitante” di soggetti fragili e poco o per nulla tutelati.
Guardando a un sistema di welfare che dalla crisi economico-finanziaria del 2008 si è trovato catapultato nella recente crisi pandemica senza avere avuto il tempo di consolidare una serie di piccoli e grandi risultati e di fare sistema tra le esperienze più innovative implementate nell’ultimo quinquennio, è possibile individuare la cornice all’interno della quale anche il Terzo Settore è chiamato a dare un contributo sia ideativo sia operativo.
Gli enti del Terzo Settore possono contribuire all’individuazione dei bisogni emergenti e alla promozione di misure innovative destinate a contrastare le nuove fragilità per realizzare un welfare che sia sempre più territoriale e inclusivo. Dovrebbero (ulteriormente) aprirsi a collaborazioni con soggetti pubblici e con altre organizzazioni private e al mondo produttivo, per favorire nuove sinergie e reti multi-attore.
Un ponte tra domanda e offerta di servizi
Il Terzo Settore è chiamato poi a essere complementare all’incontro tra domanda e offerta di servizi e alla professionalizzazione delle competenze, per rafforzare il cosiddetto terziario sociale oggi ancora debole in Italia. Può inoltre svolgere un ruolo strategico per aggregare la domanda di servizi e promuovere un approccio che colga le interdipendenze tra i bisogni di uno specifico territorio e generi risposte di tipo aggregativo.
Altrettanto importante è poi creare connessioni tra i fornitori di servizi favorendone la co-produzione per individuare piste possibili di integrazione tra settori di intervento e prestazioni, sfruttando il potenziale delle piattaforme digitali.
In altre parole, attraverso il coinvolgimento dell’intera galassia di organizzazioni non profit, pratiche e interventi possono favorire un rinnovato protagonismo del Terzo Settore generando esternalità sociali positive per il territorio e le comunità e connotando di nuove caratteristiche il welfare del presente e del futuro con un’attenzione specifica all’innovazione e alla sostenibilità sociale e ai processi di confronto e, possibilmente, di co-progettazione e co-produzione di servizi e interventi dentro reti multi stakeholder ancorate territorialmente e intenzionate a rimettere le persone e i loro bisogni al centro.
Questo contributo è stato pubblicato come commento (p. 317) a corredo del rapporto “Sussidiarietà e… sviluppo sociale. Rapporto sulla sussidiarietà 2021/2022” realizzato dalla Fondazione per la Sussidiarietà. Il volume è scaricabile liberamente online. |