Le prime esperienze di intervento sociale da parte delle imprese risalgono alle origini della storia industriale italiana, sono il frutto dell’iniziativa e dalla capacità innovativa di singoli imprenditori: già a metà dell’Ottocento, con il villaggio operaio di Larderello, in Toscana, e con la colonia di San Leucio, nei pressi di Caserta. Nello stesso periodo nascono le società di mutuo soccorso dei lavoratori con assistenza in caso di malattia.
Nel dopoguerra programmi di assistenza ai dipendenti prendono nuovo slancio. Adriano Olivetti, ad esempio, sogna la fabbrica a misura d’uomo con l’ambizione di superare una visione di un welfare troppo attento ai livelli produttivi. A partire dal 1948 le attività sociali ed assistenziali della Olivetti vengono assunte da un Comitato di gestione, e prevedono numerosi e vari interventi integrativi a quelli pubblici. Scuole materne ed asili vengono introdotti in azienda in anticipo su quelli pubblici, nel 1970.
Con la crisi degli ultimi anni e la progressiva riduzione delle spazio d’intervento dello stato sociale si sta assistendo a un ripensamento del ruolo del welfare aziendale, con una sorta di "ritorno alle origini" sul fronte degli interventi sociali. È il secondo welfare, il nuovo mix caratterizzato dall’ingresso di soggetti privati che possono, grazie al loro radicamento territoriale e in partnership con gli enti locali, contribuire a dare risposte a vecchi e nuovi bisogni. Un new deal che interessa anche le piccole e medie imprese che per poter contare su economie di scala hanno scelto la via della rete di imprese o di aderire ad iniziative delle associazioni di categoria.
Quando l’azienda supplisce alla crisi dello Stato sociale
Diego Buoncore, Pagina99, 27 dicembre 2014