Un po’ di improvviso siamo tornati a parlare di “grandi dimissioni”. Se oggi si cerca il termine su un qualsiasi motore di ricerca sono infatti numerosi gli articoli sull’argomento dopo mesi in cui il tema è stato poco presente sui media. La ragione di questo “ritorno di fiamma” sta, probabilmente, nella pubblicazione di una nota di AIDP su una ricerca (non reperibile online), che riprende alcuni dati trimestrali del Ministero del Lavoro – pubblicati più di un mese fa – di cui evidentemente nessuno si era accorto prima.
Secondo il Ministero sarebbero oltre 1,6 milioni le dimissioni registrate tra gennaio e settembre 2022, il 22% in più rispetto allo stesso periodo del 2021 quando ne erano state registrate di 1,3 milioni. Il dato porta molti giornali online a indicare il fenomeno come “fuga” (Sole 24 Ore e Corriere della Sera) o “boom” (Repubblica e La Stampa) ma la cosa appare tutto sommato comprensibile se si guarda a quanto accaduto durante e dopo la pandemia di Covid-19 e all’assestamento del mercato del lavoro.
Di seguito proponiamo comunque alcuni dei principali articoli usciti online. Sul tema, inoltre, consigliamo la lettura di Francesco Seghezzi sul Foglio, che propone un’analisi “a freddo” del fenomeno. Secondo il Presidente di Fondazione ADAPT “i numeri assoluti non sono in sé così alti: il punto è la costanza nella crescita”. Inoltre “le dimissioni sono sempre esistite: non è che prima fossero a zero e all’improvviso esplodono” e paragonando il contesto italiano con l’orientamento degli altri Paese “il fenomeno quantitativamente è ancora ridotto“. In generale i dati dicono che ci si dimette di più, ma che cresce anche il numero dei nuovi contratti. In sintesi “si lascia un lavoro peggiore per uno migliore“, tanto che forse, più di “grandi dimissioni”, bisognerebbe parlare di “grandi spostamenti”.