Il Reddito di Cittadinanza è stato al centro della campagna elettorale. E ora, con l’approvazione della sua prima Legge di Bilancio, il Governo Meloni è chiamato a mettere in pratica quanto promesso.
“L’idea della cancellazione immediata del beneficio già dal 1° gennaio 2023, che avrebbe permesso di risparmiare 1,8 miliardi, è stata alla fine accantonata dall’esecutivo”, ha riportato Il Sole 24 Ore. Al suo posto, il Governo propone un periodo transitorio in cui il Reddito di Cittadinanza resterà attivo, ma potrà essere percepito solo a determinate condizioni. Questo garantirà comunque un risparmio di circa 700 milioni di euro sul 2023 e, nell’idea dell’Esecutivo, servirà ad avere il tempo necessario a studiare e approvare una nuova misura, che sostituirà definitivamente il Reddito di Cittadinanza a partire dal 2024.
“Il rinvio della riforma è un fatto positivo, da non sottovalutare”, spiega a Secondo welfare Cristiano Gori, professore all’Università di Trento ed esperto di politiche contro la povertà, anche perché “il Reddito di Cittadinanza ha avuto molti problemi tecnici legati alla mancanza di tempo nel concepire la misura”. Ma i problemi nel corso del prossimo anno di certo non mancheranno.
La definizione di occupabilità
Durante il periodo transitorio i percettori del Reddito di Cittadinanza verranno divisi in due gruppi: occupabili e non occupabili. I primi avranno sei mesi per formarsi più altri due (otto mesi in totale) per cercare un lavoro. Poi, da settembre, perderanno il sussidio. Lo stesso avverrà anche prima qualora non dovessero accettare la prima offerta di lavoro congrua o non dovessero partecipare ai momenti di formazione previsti. A coloro che sono considerati non occupabili, invece, il sussidio verrà corrisposto, come negli anni passati, per tutto il 2023.
“Come viene definita l’occupabilità determina chi nel 2023 potrà ricevere tutte le mensilità e chi, invece, ne riceverà meno”, riprende Gori. La definizione di questo concetto assume, quindi, grande importanza e, in tal senso, il Governo Meloni si pone in forte discontinuità col passato italiano, ma anche con gli altri Paesi europei. Vediamo perché.
Il Reddito di Cittadinanza considerava occupabile chi è senza lavoro da non più di due anni e a definire il grado di occupabilità concorrevano diversi fattori, come le precedenti esperienze lavorative, le competenze professionali, l’istruzione e il contesto socioeconomico. Si trattava di una valutazione fatta sull’individuo. Certo, contava anche la situazione familiare, ma non in maniera esclusiva, come deciso dal Governo Meloni.
A partire dal 2023, infatti, saranno considerati non occupabili tutti i nuclei famigliari in cui è presente un minore, una donna in gravidanza, una persona sopra i 60 anni o con disabilità. Viceversa, tutte le altre persone tra i 18 e i 59 anni che vivono in un nucleo famigliare senza queste caratteristiche saranno automaticamente considerate occupabili. Nel primo caso dovrebbero essere circa 635.000 famiglie mentre nel secondo poco più di 400.000.
Gori definisce i nuovi criteri per stabilire l’occupabilità “sbilenchi” perché “nessun Paese in Europa li adotta in questo modo”. “La logica dell’intervento transitorio” prosegue il professore “si basa sull’assunto che i beneficiari soggetti al limite degli otto mesi siano quelli potenzialmente inseribili al lavoro con più facilità e più rapidamente. Al contrario, è palese che la popolazione interessata non viene scelta in base a questa possibilità”.
Un tentativo mal congegnato di proteggere chi ha figli
Come ha spiegato anche su La Voce Massimo Baldini, coloro che vengono considerati occupabili secondo questa definizione sono in genere “persone sole o di coppie senza figli, non più giovani, con bassi livelli di istruzione e residenti nel Mezzogiorno, dove la domanda di lavoro è molto bassa”. “Considerando tutte queste caratteristiche, è ragionevole ritenere che solo una piccola parte di loro riuscirà a trovare un’occupazione in pochi mesi. Però tutti questi “occupabili” perderanno il sussidio a fine agosto 2023, anche chi non avrà trovato un lavoro, ma è disponibile a lavorare”, aggiunge il professore dell’Università di Modena e Reggio Emilia.
Per Gori, che sottolinea come questa definizione di occupabilità sia stata presa direttamente dal programma elettorale di Fratelli d’Italia, si tratta di un tentativo “mal congegnato” di proteggere le famiglie con figli. “È un cortocircuito, che nel breve periodo penalizzerà i più fragili senza minori a carico”, commenta. Il professore, però, dubita anche che, nel lungo periodo, la misura vada davvero a vantaggio delle famiglie povere con figli. “Dove vi sono figli minori i genitori non sono soggetti ai percorsi d’inclusione occupazionale.
Chi ha figli non deve preoccuparsi di rientrare nel mercato del lavoro. Ciò nell’immediato può risultare una forma di tutela, ma non permette di gettare le basi per superare la condizione di indigenza nel lungo periodo” spiega Gori.
Il duplice rischio per il Reddito di Cittadinanza
Il rischio a cui si andrà incontro il prossimo anno, a meno che nella Manovra non ci siano modifiche rispetto al testo trasmesso al Parlamento, è quindi duplice.
Il primo, più immediato, è che il risparmio di 700 milioni di euro circa previsto per il 2023 finisca per essere fatto sulla pelle di alcuni tra i più fragili percettori del Reddito di Cittadinanza, considerati occupabili ma, nei fatti, in molti casi meno in grado di trovare un lavoro rispetto a coloro i quali sono non occupabili solo per il proprio stato di famiglia.
Il secondo, sul medio termine, è che la norma transitoria sia la base sbilenca e mal congegnata, per usare le parole di Gori, sulla quale costruire l’intera riforma di una misura nazionale di sostegno a tutte le persone in povertà di cui l’Italia continua ad avere un gran bisogno.