Dopo la pandemia e la guerra in Ucraina, sembrava fosse arrivata la volta anche della crisi energetica. E invece, almeno per ora, così non è. Stiamo parlando dell’uso dei fondi della politica di coesione Ue che, negli ultimi due anni, sono stati impiegati in più di un’occasione per far fronte alle emergenze che l’Europa si è trovata davanti. La Commissione Ue ne aveva proposto l’uso anche per mitigare le conseguenze del caro energia, ma un voto del Parlamento Europeo la scorsa settimana ha bloccato l’iniziativa, che ora non è chiaro se e come verrà portata avanti.
Fondi non spesi
La politica di coesione è una delle fette più significative del bilancio Ue e, come abbiamo spiegato col progetto A Brave New Europe, ha l’obiettivo di ridurre le differenze fra i territori e garantire le stesse opportunità a tutti i cittadini europei. Questa politica si concretizza in diversi fondi (per l’Italia il FESR – Fondo europeo di sviluppo regionale e il FSE – Fondo sociale europeo) e, come tutto il bilancio comunitario, si articola in programmi di sette anni. L’ultimo a concludersi è stato quello 2014-2020, ma, anche a causa della pandemia, i contributi economici destinati ai vari Stati possono essere spesi fino a fine 2023. Ad oggi, quindi, tutti i Paesi Ue devono ancora spendere parte della loro dotazione per il periodo 2014-2020.
È in relazione a questi fondi che, alcune settimane fa, è arrivata la proposta della Commissione Ue e della commissione competente del Parlamento Europeo. Un comunicato del 18 ottobre annunciava che “Younous Omarjee, presidente del Comitato per lo sviluppo regionale (REGI) ed Elisa Ferreira, commissaria europea per la Coesione e le riforme, hanno annunciato oggi che fino al 10% delle dotazioni nazionali dei fondi di coesione del periodo di programmazione 2014-2020 potrebbe essere destinato alla lotta contro la povertà energetica con il 100% dei finanziamenti UE”,
Complessivamente e teoricamente, come spiegheremo poi, le due istituzioni stimavano che l’intervento avrebbe potuto raggiungere un massimo di “40 miliardi di euro di possibili finanziamenti diretti alle PMI e alle famiglie” e promettevano che l’iniziativa sarebbe stata “tradotta in emendamenti alla proposta REPowerEU, che mira ad aiutare gli Stati membri a diventare indipendenti dai combustibili fossili russi” e sul quale era previsto ad inizio novembre un voto della plenaria del Parlamento Ue.
Quanti miliardi per l’Italia?
Nell’attesa che l’Europarlamento si esprimesse, però, si sono iniziati a fare i conti, per capire quanto ciascun Stato potesse effettivamente mettere a disposizione di famiglie e imprese. E a come potesse farlo, dato che la scelta organizzativa spetta poi a ogni Paese, in maniera autonoma. “Qualora la proposta venisse confermata” ha spiegato a Secondo Welfare Nicola De Michelis “l’Italia potrebbe attingere, al massimo, a circa 4,8 miliardi di euro. Si tratterebbe, infatti, del 10% dei circa 34 miliardi di fondi strutturali (FSE e FESR 2014-2020) cui vanno sommati i 14 di REACT-EU (il programma della politica di coesione lanciato nel 2020 per fronteggiare la pandemia, ndr)”. De Michelis è un funzionario di grande esperienza della Commissione Ue in forza proprio alla direzione generale Regio, responsabile per la politica di coesione.
“Sui 34 miliardi non c’è molto margine: ne è stato già speso circa il 70% e il restante 30 non sono quattrini che stanno lì per aria: la maggior parte è già stata impegnata in diversi modi. Molti poi sono fondi regionali e quindi diventa difficile utilizzarli per uno schema nazionale di supporto a famiglie e imprese”, ragiona De Michelis. A suo parere, per l’Italia, i fondi da utilizzare per combattere il caro energia nel modo più semplice ed efficace, “sono quelli di REACT-EU” perché “essendo stati appena stanziati, sono stati spesi ancora poco e sono tutte risorse nazionali”.
Per De Michelis, andrebbero spese “mettendo in piedi degli schemi a sportello, attraverso una struttura semplice, rendicontabile e verificabile. In sé non è complicato, ma spesso l’Italia si complica la vita per via della sua amministrazione un po’ fragile”, aggiunge.
La posizione dell’Europarlamento
Proprio in quest’ottica sembra essersi messo al lavoro Raffaele Fitto, nuovo Ministro per gli Affari Europei, il Sud, le Politiche di Coesione e il PNRR.
A inizio novembre, riporta il Sole 24 Ore, Fitto “ha scritto ai presidenti delle Regioni chiedendo a stretto giro una ricognizione aggiornata sull’utilizzo delle risorse destinate alle politiche di coesione, dai fondi strutturali europei (FESR e FSE) ai fondi nazionali (FSC e fondo di rotazione) della programmazione 2014-2020. Le risposte dovranno arrivare entro il 21 novembre”. Secondo il quotidiano di Confindustria, “il Ministro, anche attraverso l’Agenzia per la Coesione, vuole verificare quanti soldi possono essere prelevati dai programmi di regioni e ministeri per destinarli alle famiglie vulnerabili e alle micro, piccole e medie imprese per far fronte al caro energia”.
Nel frattempo, la plenaria del Parlamento UE ha votato a favore di REPowerEU che, secondo gli europarlamentari, dovrebbe essere finanziato “anche consentendo la flessibilità nell’uso dei fondi non spesi, in particolare quelli residui dal bilancio 2014-2020” e i fondi della politica di coesione sembrerebbero essere tra questi.
Nulla però è ancora definitivo. Le trattative per REPowerEU proseguono e ora il Parlamento UE dovrà trovare un’intesa con il Consiglio, che aveva già votato la sua posizione ad inizio ottobre. I negoziati tra le due istituzioni sono iniziati martedì 15 novembre e dovrebbero concludersi idealmente nel mese di dicembre. Quale che sia il loro esito, però, alcuni interrogativi rimangono sul tavolo.
Una crisi dopo l’altra
I fondi della politica di coesione sono già stati usati per affrontare la pandemia e poi per accogliere i milioni di profughi in fuga dalla guerra in Ucraina. Se finissero per essere utilizzati anche per REPowerEU si tratterebbe della terza emergenza in meno di tre anni, col rischio di allontanare i fondi dal loro scopo originale, quello di combattere le disuguaglianze.
La Commissaria Ferreira ha fatto la proposta di usare i fondi per il caro energia ma, al tempo stesso, ha messo in guardia sul fatto che queste “crisi” possano “uccidere” i fondi di coesione.
Secondo De Michelis, la politica di coesione “sta prendendo una direzione congiunturale”. “Il bilancio comunitario è fissato di sette anni in sette anni e, di fatto, le risorse disponibili sono quelle” e quindi i fondi di coesione sono stati usati per affrontare le emergenze vissute in questi anni perché non c’erano alternative. Questa parentesi, però, secondo il funzionario, va “chiusa”. “Il mestiere della coesione è un altro e per il prossimo bilancio europeo dovremo porci la questione. La dimensione strutturale della politica di coesione è più fragile. Per le emergenze servono altri strumenti”, conclude De Michelis.