Come era prevedibile, dopo la pandemia si è ridotto il numero di lavoratori agili. Se infatti lo scorso anno erano oltre 4 milioni, nel 2022 sono circa 3,6 milioni le persone che svolgono parte della loro attività lavorativa al di fuori della sede aziendale. A dirlo è l’Osservatorio sullo smart working del Politecnico di Milano, che lo scorso 20 ottobre ha presentato i dati relativi all’anno in corso,durante il convegno “Smart Working: Il lavoro del futuro al bivio”.
La crescita delle grandi imprese e i passi indietro di PA e PMI
Secondo l’Osservatorio si registra un calo degli smart worker soprattutto nelle Pubbliche Amministrazioni (-33% rispetto al 2021); anche nelle piccole e medie imprese il trend è negativo (-19%). Si rileva invece una leggera (+4%) ma costante crescita nelle grandi imprese che, con 1,84 milioni di lavoratori, contano circa metà degli smart worker complessivi.
Il lavoro agile è infatti presente nel 91% delle grandi imprese italiane (era l’81% nel 2021), mediamente con 9,5 giorni di lavoro da remoto al mese.
La frenata delle PMI e delle Amministrazioni pubbliche sembra essere invece attribuibile a una cultura organizzativa che – secondo i ricercatori dell’Osservatorio – privilegia il controllo e percepisce lo smart working come una soluzione di emergenza. Inoltre nelle PA a pesare sono state anche le disposizioni governative che hanno spinto a riportare in presenza la prestazione di lavoro (ve ne avevamo parlato qui).
L’impatto dello smart working sulle imprese
Ma come mai le aziende fanno smart working? Secondo i dati diffusi dall’Osservatorio del Politecnico di Milano, la principale ragione è il miglioramento del benessere organizzativo (81% delle grandi imprese; 67% delle PA); segue poi il work-life balance (78% tra le grandi imprese; 75% tra le PA). Le altre motivazioni che spingono le imprese riguardano la possibilità di attrarre nuovi talenti, il raggiungimento dei risultati e l’aumento della produttività aziendale.
Spicca dunque una visione del lavoro agile come policy aziendale per “mettere al centro” dell’organizzazione la persona e i suoi bisogni. Come vi abbiamo raccontato anche qui, in molte aziende sembra esserci una rinnovata attenzione verso i bisogni e le necessità dei lavoratori e delle lavoratrici, tanto che il loro benessere (ma anche quello delle loro famiglie) diviene parte integrante del rapporto (e del contratto) di lavoro.
Questo legame tra benessere – lavorativo e personale – e possibilità di lavorare in modo smart è sottolineato anche dall’Osservatorio del Politecnico. Che tuttavia sottolinea come il semplice ricorso allo smart working da solo non basti. La sola possibilità di lavorare da remoto, se non accompagnata da un’opportuna revisione del modello organizzativo, non dà infatti benefici ai lavoratori in termini di benessere ed engagement. Per avere un impatto sul benessere – psicologico, relazionale e familiare – il lavoro da remoto deve essere inserito in una cornice più ampia di flessibilità e revisione dei processi produttivi e organizzativi.
“La diffusione delle iniziative di smart working negli ultimi due anni ha portato numerose organizzazioni e persone a confrontarsi con un modo di lavorare radicalmente diverso rispetto a quello adottato prima della pandemia”, ha spiegato Mariano Corso, Responsabile scientifico dell’Osservatorio. “Spesso, tuttavia, l’applicazione delle nuove modalità di lavoro si è concretizzata con l’introduzione del solo lavoro da remoto, che ha consentito di gestire le emergenze e supportare il work-life balance delle persone, ma che non rappresenta un ripensamento del modello di organizzazione del lavoro. È il momento di riflettere su cosa sia il ‘vero smart working’: deve essere l’occasione per attuare un cambiamento più profondo, incentrato sul lavoro per obiettivi e una digitalizzazione intelligente delle attività”.
Le prospettive per il futuro: i trend dello smart working nel 2023
Oltre a offrire dati sull’andamento dello smart working nell’ultimo biennio, l’Osservatorio offre alcune previsioni per l’anno che verrà; a riguardo per il 2023 si prevede un consolidamento dei modelli di smart working, soprattutto nelle grandi realtà e nel settore pubblico. Una delle ragioni dovrebbe riguardare il recente aumento dei costi energetici.
Come ha affermato Fiorella Crespi, Direttrice dell’Osservatorio Smart Working, “nel complesso lo smart working comporta una generale riduzione dei costi sia per i lavoratori sia per le aziende che lo adottano”. Infatti consentire ai dipendenti di svolgere le proprie attività lavorative fuori della sede per 2 giorni a settimana permetterebbe di ottimizzare l’utilizzo degli spazi e ridurre i consumi, con un risparmio potenziale di circa 500 euro l’anno per ciascuna postazione.
“In questo momento di grave tensione su costi energetici e inflazione, tale risparmio potrebbe essere impiegato per fronteggiare la crisi e sostenere la redditività aziendale e il potere d’acquisto dei lavoratori”, ha spiegato ancora Crespi. “Le organizzazioni potrebbero valutare di restituire ai lavoratori una parte del risparmio ottenuto ma”, ha specificato la direttrice, “nella nostra rilevazione oggi solo il 13% delle aziende del campione prevede per i lavoratori che lavorano da remoto dei bonus o rimborsi che non siano buoni pasto”.
Ripensare gli spazi aziendali
Il report aggiunge un dato interessante: se al ricorso allo smart working si dovesse associare la decisione di ridurre gli spazi della sede del 30%, il risparmio potrebbe aumentare fino a 2.500 euro l’anno a lavoratore. Anche per questo motivo, come vi abbiamo raccontato, in un numero crescente di aziende gli spazi del lavoro si stanno trasformando.
L’esperienza forzata del lavoro lontano dall’ufficio e la volontà di favorire il rientro, anche se parziale, delle persone nelle sedi ha accresciuto nelle organizzazioni la consapevolezza di dover realizzare azioni sugli spazi per creare ambienti che motivino e diano un senso al lavoro in ufficio, supportando in modo efficace le attività che più si prestano a essere svolte in questo contesto.
Un ripensamento degli spazi che sappia tener conto del diverso modo di lavorare delle persone rispetto al pre-pandemia è fondamentale per favorire il rientro in ufficio che, nel 68% delle grandi imprese e nel 45% delle PA, ha incontrato resistenze da parte delle persone.
Anche per questo, secondo l’Osservatorio il 52% delle grandi imprese, il 30% delle PMI e il 25% della PA ha già effettuato degli interventi di modifica degli ambienti o lo sta facendo in questi mesi. In prospettiva futura, queste iniziative sono previste o in fase di valutazione nel 26% delle grandi imprese, nel 21% delle PA e nel 14% delle PMI.
Data la sempre maggiore flessibilità del lavoro, le aziende saranno quindi portate a ridisegnare gli spazi non solo in base al numero di persone, ma anche a seconda delle funzioni e attività che i dipendenti devono svolgere. Gli spazi aziendali saranno sempre più finalizzati a favorire la collaborazione e l’interazione tra colleghi. L’ufficio dovrà essere impostato in modo tale da essere un ambiente di socializzazione e relazione: dovrà divenire perciò un luogo in cui promuovere l’identità aziendale e il senso di appartenenza.
Proprio su questo tema Secondo Welfare sta preparando alcuni approfondimenti, allo scopo di capire come le grandi organizzazioni si stanno muovendo e quali sono gli approcci teorici e pratici che stanno adottando.