Dal 1975 la cooperativa sociale Comin realizza interventi educativi a favore di bambini e famiglie in difficoltà attraverso comunità di accoglienza, promozione dell’affido familiare, assistenza educativa a casa e a scuola, sviluppo di comunità; in tempi più recenti ha ampliato l’ambito di intervento realizzando servizi agli anziani.
Con il supporto di Pares, Comin ha promosso un laboratorio di scrittura collaborativa digitale rivolto alle figure di coordinamento. Insieme allo sviluppo di competenze digitali, il laboratorio ha previsto la costituzione di sei gruppi di scrittura su questioni cardine per la cooperativa. Questo è il sesto articolo esito della scrittura collaborativa. Gli altri sono: – Nessuna scuola è un’isola |
‘’Ovunque tu vai e ovunque tu sei, fiorisci con grazia’’.
Ispirandosi a questo proverbio giapponese, l’equipe affido Comin lavora ogni giorno per accompagnare i minori e le famiglie affidatarie nel miglior modo possibile, nel rispetto delle loro storie e del contesto in cui si trovano. In questo articolo, ispirandoci alle storie incontrate nel nostro lavoro, vogliamo raccontare l’esperienza dell’affido familiare assumendo i punti di vista dei diversi attori che le compongono. Provando ad interpretarne i vissuti, nelle varie fasi del percorso di affido e nei diversi progetti di accoglienza.
Quando il desiderio del viaggio prende voce (il primo contatto)
Oggi Elisa incontra le operatrici dell’equipe Affido Comin e racconta che lei e Giorgio già da qualche anno pensano alla possibilità di accogliere un bambino nella loro famiglia. Sentono di avere lo spazio e le energie per aprire la loro casa. Forse è arrivato il momento giusto per dare voce a questo desiderio e prendersi il tempo per pensarci davvero. Le operatrici accolgono il racconto di Elisa e le presentano i diversi progetti. Si comincia a tracciare la strada del loro viaggio verso l’affido. L’invito a partecipare al percorso formativo è il prossimo passo.
La preparazione del viaggio (la formazione)
Lucia e Claudio stasera inizieranno il percorso formativo per diventare famiglia affidataria. Sono emozionati di cominciare questo viaggio, di conoscere altre famiglie che come loro desiderano aiutare dei bambini in difficoltà, offrendo il calore della propria casa, amore e attenzioni. Alcune famiglie ne hanno parlato anche con i loro figli che sono incuriositi. Le coppie che partecipano alla formazione hanno tante domande nel cuore, sull’affido, ma soprattutto sulle storie dei bambini: da dove arrivano? Vivono in comunità? Che rapporti hanno con i loro genitori? Sanno che di solito sono seguiti dai Servizi Sociali e dal Tribunale, si aspettano di capire meglio i ruoli di tutte le figure coinvolte e cosa succede quando il bambino va in affido. Molti pensano anche sia un’occasione per la coppia, per mettersi in gioco e riscoprirsi. Chissà come ne usciranno…
Sarà il viaggio per noi? (la valutazione)
‘’Perchè volete prendere in affido un bambino?’’. Una domanda tanto semplice quanto impegnativa. Davanti a noi una psicoterapeuta e un’assistente sociale. ’’L’accoglienza, l’affetto, riuscire a dare amore ad un bambino non tuo – vi prego un maschio, che in casa ho quattro femmine, penso – sono da sempre nostri valori di riferimento’’, dicevamo un pelino tronfi e sicuri di noi. Ma in un ‘’amen’’ tutte le nostre sicurezze e certezze sono messe in discussione. Ci facciamo domande su domande: ”Sarà la scelta giusta?’’, ‘’come la prenderanno le nostre figlie?’’, ‘’abbiamo la forza per davvero?’’. Ci rendiamo conto che siamo dentro una cosa grossa, forse più grande di noi. ‘’Ne saremo all’altezza?’’. Le operatrici ci dicono di sì e noi ci fidiamo. Ci lanciamo, siamo decisi ad iniziare questa esperienza con la pancia, ma anche con la testa, o meglio, la testa riusciremo a tenerla ferma con l’aiuto di chi ci accompagnerà. L’affido alla fine parte e, indovinate un po’, è una bambina!
Prepariamo il bagaglio (l’attesa)
Giacomo è in comunità da due anni e da qualche mese aspetta che sia individuata una famiglia affidataria per lui. Suo fratello è già stato accolto da una famiglia e da qualche mese ha cominciato la sua esperienza di affido. L’attesa in comunità per Giacomo non è sempre facile. É stato preparato dagli operatori all’idea che anche lui possa essere accolto presso una famiglia. Giacomo sa che la sua mamma e il suo papà per il momento non sono in grado di occuparsi di lui, ma che può avere un’altra mamma e un altro papà che temporaneamente si prenderanno cura di lui, accogliendolo nella loro casa. Giacomo in comunità ha creato delle relazioni importanti, si fida degli educatori, riesce a parlare con loro delle sue emozioni, ma vorrebbe una famiglia e una casa per sé. “Quando sarà il mio turno?” Oggi l’assistente sociale insieme alla coordinatrice della comunità dove è accolto vogliono parlargli e lui spera che possano dirgli che hanno trovato la famiglia giusta per lui. Intanto, ad alcune decine di chilometri di distanza, Federica e Giacomo sono molto emozionati: l’equipe affido li ha appena contattati per proporre loro un abbinamento con un bimbo che si trova in comunità.
Pronti? Via! (l’abbinamento)
Di strada ne avevo fatta tanta, a piedi, sui camion, su un barcone, per terra e per mare. Pensavo che la Sicilia fosse la mia Terraferma, dove finalmente trovare casa. E infatti ci sono stato un po’, tra una comunità e l’altra.
Finché un giorno mi chiedono: “Tu che vuoi fare?”.
“Oltre al calciatore? Il cuoco!” rispondo convinto.
“E ci andresti al Nord, in una famiglia?”.
Quel “perché no!” è stato l’inizio del viaggio verso una nuova Terraferma, la casa di Giovanni e Stefania.
Certo, ma io stavo in Sicilia e loro vicino a Milano! Fortuna che l’equipe del Progetto Terreferme sapeva lavorare insieme e fidarsi, anche a distanza: in Lombardia preparavano le famiglie e in Sicilia conoscevano noi ragazzi e poi, insieme, sceglievano gli abbinamenti. Proprio per questi mille e passa chilometri di distanza, e grazie alla tecnologia, ci siamo conosciuti in modo un po’ “speciale”, come alla tv: prima ci siamo scambiati una foto (io ovviamente ne ho messa una davanti a una Porsche), poi un video, in cui ho scoperto che abitavano in un posto bellissimo in campagna e alla fine ci hanno fatto in contemporanea un’intervista con le stesse domande (alcune buffe e facili, altre più difficili…) finché finalmente loro sono arrivati a Palermo e ci siamo incontrati davanti a un’indimenticabile vassoio di arancine!
La luna di miele (l’avvio)
Quando sono entrato in macchina per la prima volta con loro, con Giovanni e Laura dico, i miei nuovi genitori, che mi hanno accolto nella loro casa, ero emozionato e avevo anche un po’ di paura. Mi sono fatto coraggio però, perché gli educatori della comunità mi avevano tranquillizzato e alla fine mi sono abbandonato. Ero anche contento per essere arrivato in quella casa, perché c’era un cane piccolo e un gatto che voleva le coccole. Il primo giorno abbiamo fatto merenda. Giovanni e Laura sapevano che mi piaceva la pizza ai wurstel e sul tavolo in cucina me ne hanno fatta trovare una montagna. C’era anche la coca cola, solo per me, che non dovevo più dividere con i miei amici della comunità. Ogni tanto mi sento solo, mi arrabbio e lancio le cose. Ma Laura e Giovanni mi abbracciano e mi tranquillizzano, io piango forte e mi calmo dopo un po’. Si vede che mi vogliono bene.
Tra gioie e fatiche (il cammino quotidiano)
Io glielo dicevo a mio figlio che non si dovevano impegnare in questa cosa! Un bambino così piccolo, un problema già così grosso sulle spalle, e loro due, Luca e mia nuora, la Roberta, con una sacco di cose da fare, il lavoro, i loro figli, i miei nipotini. Ora, così dall’oggi al domani, ho un nipote in più, che non assomiglia per niente ai miei. Certo, è di colore, però è così bello, con quelle guance che morderei. Adesso devo fare gli straordinari, sempre pronta e disponibile, solo che ho quasi 70 anni e non sono mica più quella di una volta. Ma vedo che Luca e la Roberta si danno da fare, cercano di stare dietro a tutto, fanno del loro meglio e con il piccolino sono bravissimi, come se fosse figlio loro. Quando piange, – e come piange! – si dimena e sembra proprio soffrire. Loro lo cullano e lo tranquillizzano. Soprattutto la Robi lo tiene stretto a sé. Il pannolino non mi ricordavo neanche più come si usava e non vi dico quanti ne consuma! Però è una gioia vederlo dormire sereno dopo la pappa, sembra che abbia trovato pace, ed io faccio volentieri gli straordinari!
I saluti (la chiusura dell’affido)
Non era la prima volta che mamma e papà portavano a casa un piccolino: il primo era rimasto con noi 2 settimane, neanche il tempo di abituarsi; la seconda invece più di un anno e si chiamava addirittura come me!
Leon però è stata tutta un’altra storia: me lo sono trovata in soggiorno, nella carrozzina, appena tornata da scuola, la prima media è una bella sfida. Mamma e papà erano andati a prenderlo in ospedale con un’educatrice, addirittura fuori regione, appena in tempo: il giorno dopo siamo entrati in zona rossa! Piccolissimo – la piccola di casa sono sempre stata io – con un brufolo gigante vicino all’ombelico. Sonnecchiava con un faccino che, per quanto piccolino, si capiva che era furbetto e grintoso. Il tempo con Leon è volato, anche se di notte dormiva ben poco, e io mai come con lui mi sono sentita grande a coccolarlo, trovargli nomignoli, giocare con lui.
Un giorno ci hanno detto che Leon sarebbe andato in adozione. Non sono riuscita a convincere mamma e papà a tenerlo con noi. Piangevo al solo pensiero che “Bottoncino” non rotolasse più sul tappeto del soggiorno o tappezzasse di pappa le pareti della cucina. Avevo fatto i peggiori pensieri su questi due, tornata da scuola li ho trovati sul tappeto in soggiorno con Leon, mamma e papà! Erano super sorridenti, teneri con Leon, napoletani con la battuta pronta e, soprattutto, lei aveva i vestiti coi colori perfettamente abbinati, erano quelli giusti! L’educatrice ha scritto una storia con mamma e papà, che ha regalato a lui e a noi, insieme a una pagnotta. La storia del piccolo Opossum accolto tra i canguri; anche se sono grande mi piace ancora addormentarmi leggendo di lui e di noi.
Quel che resta del viaggio (testimonianze)
Eccomi qui, ci sono anche io! Sono il valore aggiunto, la marcia in più di ogni affido, il paracadute, o meglio: la RETE! Ogni famiglia affidataria ne è un nodo fondamentale. Ce ne sono in ogni territorio, si incontrano periodicamente e aiutano gli affidatari a condividere fatiche, scoperte, emozioni, a nutrirsi delle esperienze degli altri, a relativizzare e attraversare le fatiche, a sentirsi tutti sulla stessa barca! Potete trovarne tante altre qui.
“Nel tempo, una cosa ho imparato: la strategia non è lasciare la presa, ma allentare la corda. Tenerla si, ma non tesa, mollare un po’” Luciana Littizzetto
Da oltre 20 anni Comin forma e accompagna le famiglie affidatarie: tanti piccoli semi di accoglienza che hanno fatto rifiorire la vita di altrettanti bambini.
Alcuni video per approfondire
- Pronta accoglienza
- La maratona e l’affido a confronto
- Ho scelto la pronta accoglienza
- L’affido: un ricordo, una storia
- Intervista doppia Terreferme
Questo contributo è parte del Focus tematico Collaborare e partecipare, che presenta idee, esperienze e proposte per riflettere sui temi della collaborazione e della partecipazione per facilitare cooperazione e coinvolgimento. Curato da Pares, il Focus è aperto a policy maker, community maker, agenti di sviluppo, imprenditori, attivisti e consulenti che vogliono condividere strumenti e apprendimenti, a partire da casi concreti. Qui sono consultabili tutti i contenuti del Focus.