Più o meno tutte le forze politiche, in vista delle elezioni del 25 settembre, stanno cercando di occupare il maggiore spazio possibile all’interno di una sorta di triangolo previdenziale-assistenziale che ai suoi vertici ha: nello stop alla legge Fornero con la cosiddetta Quota 41, nell’irrobustimento degli assegni pensionistici fino a giungere al tetto dei 1.000 euro per i pensionati più poveri e dalla difesa del Reddito di cittadinanza. I partiti hanno grande interesse per questo triangolo perché il bacino elettorale direttamente interessato oscilla attorno agli 8 milioni di elettori.
Puntare su queste misure però “ha una controindicazione che viene accuratamente tenuta nascosta” spiega Marco Rogari sul Sole 24 Ore, cioè “il consistente appesantimento della spesa pubblica, che sarebbe non inferiore ai 25 miliardi già il primo anno“.
Un conto abbastanza salato che potrebbe trasformarsi in un nuovo fardello per i conti pubblici, già in sofferenza per le ricadute della crisi energetica e del conflitto russo-ucraino e sempre alle prese con la palla al piede del nostro pesante debito pubblico. “Che tra l’altro sarebbe destinato ad aggiungersi all’attesa impennata, dovuta soprattutto alla corsa dell’inflazione, del 7% della spesa pensionistica (circa 24 miliardi), indicata per il 2023 con chiarezza nelle ultime previsioni di finanza pubblica“.