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Da qualche settimana ci stiamo occupando del legame tra natalità e welfare e, dopo i nostri approfondimenti su cosa abbiano fatto Francia e Germania su questo fronte, abbiamo visto quanto l’Italia sia in una situazione critica: la popolazione italiana è molto anziana e i tassi di fecondità del nostro Paese sono sotto la media europea, ben al di sotto della soglia di ricambio generazionale. Il Governo si è impegnato quindi a implementare una serie di misure per incentivare le persone ad avere figli, il cosiddetto Family Act. Tra questi provvedimenti, quello che è già diventato operativo è l’Assegno Unico Universale. Proviamo a capire insieme come funziona e quali effetti potrà avere.

Denatalitalia

Questo articolo è parte della serie con cui Secondo Welfare vuole capire se e come si può affrontare il calo demografico italiano; anche guardando alle esperienze di altri Paesi.

La normativa di riferimento

Con la Legge delega 1° aprile 2021, n. 46, il Governo si è impegnato ad adottare, entro 12 mesi, uno o più decreti legislativi “volti a riordinare, semplificare e potenziare, anche in via progressiva, le misure a sostegno dei figli a carico attraverso l’assegno unico e universale”.

Le finalità della legge sono precise: prima fra tutte l’aumento della natalità, poi il sostegno alla genitorialità e la promozione dell’occupazione, soprattutto quella femminile. L’intento del Governo è stato anche quello di semplificare il complesso sistema di sostegni alla famiglia, che prevedeva un bonus economico alla nascita o all’adozione, l’assegno di natalità (bonus bebè), l’assegno al nucleo familiare con almeno tre figli, gli assegni familiari e le detrazioni fiscali per figli fino a 21 anni (mentre rimane valido il bonus asilo nido).

In questo quadro si colloca l’istituzione dell’Assegno Unico Universale, avvenuta con il Decreto legislativo 230 del 21 dicembre 2021. A partire dal 1° marzo 2022, le famiglie che ne hanno fatto richiesta hanno cominciato a ricevere i fondi.

La riforma sull’Assegno Unico Universale è il primo tassello del cosiddetto Family Act, un pacchetto di politiche per la famiglia e la conciliazione vita-lavoro, anche se è stato anticipato rispetto alla Legge 7 aprile 2022 n. 32  “Deleghe al governo per il sostegno e la valorizzazione della famiglia” che disciplina il pacchetto.

La razionalizzazione dei precedenti sostegni, pari a 13 milioni circa, unita a un ulteriore finanziamento di 6 miliardi, costituisce un fondo totale per l’Assegno pari a poco più di 18 miliardi. Come riportato dalla sociologa Chiara Saraceno, si tratta di “un investimento di tutto rispetto per aiutare, sia pure solo parzialmente, chi ha figli a sostenerne il costo lungo tutti gli anni della crescita, riducendo lo scarto, a parità di reddito formale, nel reddito effettivamente disponibile tra chi ha e chi non ha figli” (Saraceno 2022).

Che cosa prevede l’Assegno Unico Universale?

Come spiega il sito ufficiale della misura, l’Assegno Unico Universale è “un sostegno economico alle famiglie che hanno figli a carico a partire dal 7° mese di gravidanza fino al compimento dei 21 anni (al ricorrere di determinate condizioni) e senza limiti di età per i figli disabili”. Il cambiamento più importante rispetto alle misure precedenti consiste nel fatto che l’assegno è, appunto, uno solo e universale. Questo significa che è garantito a tutte le famiglie con figli a carico a prescindere dal reddito, anche se l’importo percepito è proporzionato sulla base della ricchezza del nucleo familiare.

I beneficiari sono le famiglie con:

  • uno o più figli minori a carico, per i nuovi nati a partire dal settimo mese di gravidanza;
  • uno o più figli maggiorenni a carico, fino al compimento dei 21 anni, se studiano, o lavorano ma hanno un reddito inferiore agli 8.000 euro annui, oppure sono disoccupati e registrati nei servizi pubblici per l’impiego, oppure svolgono il servizio civile universale;
  • uno o più figli con disabilità a carico, senza limiti di età.

L’importo mensile erogato varia da un massimo di 175 euro a figlio per le famiglie con un ISEE inferiore a 15.000 euro fino a un minimo di 50 euro a figlio per chi ha ISEE pari o sopra i 40mila euro, con alcune maggiorazioni per le famiglie con più di tre figli o con figli con disabilità (i dettagli sono nella tabella 1). Per i figli a carico sopra i 21 anni, non inclusi nella platea di beneficiari dell’Assegno, viene invece mantenuto il sistema di aiuti attuale (incluse le detrazioni Irpef per figli a carico).

 

Tabella 1. Importi mensili dell’Assegno Unico Universale e maggiorazioni – Fonte: MEF

Come cambia la platea dei beneficiari

Un recente report redatto dall’Ufficio parlamentare di bilancio fornisce una stima del numero di famiglie coinvolte e degli effetti distributivi dell’Assegno Unico Universale (ne abbiamo parlato qui).

Le famiglie interessate alla misura sono 7,2 milioni. Complessivamente, il vantaggio medio rispetto al sistema precedente è pari a 1.031 euro annui per nucleo familiare. Si prevede che il 74% della platea di famiglie avrà benefici dalla misura (i dettagli nella tabella 2). La maggior parte dei beneficiari potrà quindi disporre di più fondi di prima, il 18% otterrà più o meno la stessa cifra, mentre l’8% riceverà di meno.  Come ha spiegato Giovanni Gallo, assistant professor dell’Università di Modena e Reggio Emilia, nel corso del seminario “Dall’assegno unico per i figli al Family Act” della Fondazione Gorrieri, questo accade perché “per quanto sia stata aumentata la spesa, le misure sostituite erano molto variegate e quindi era difficile sostituirle in maniera completa. La coperta era, insomma, troppo corta”. Per le famiglie destinate a ricevere meno fondi sotto i 25.000 euro di ISEE, comunque, il decreto ha introdotto una maggiorazione transitoria della durata di tre anni, decrescente da un anno all’altro.

Il vantaggio medio per figlio parte da un minimo di 535 euro annui per i nuclei con un solo figlio e cresce all’aumentare del numero di figli. Circa l’80% delle nuove risorse distribuite, comunque, andrà alle famiglie con uno o due figli.

I nuclei che più guadagnano dall’Assegno sono quelli che prima non percepivano nessuna detrazione, cioè famiglie con lavoratori autonomi, titolari di impresa individuale e incapienti, con un beneficio medio annuo pari a circa 1.200 euro. Tuttavia, per gli ISEE compresi tra 46.000 e 85.000 euro sono i lavoratori dipendenti ad avere più vantaggio, perché il calcolo dell’ISEE penalizza i lavoratori in partita iva. Se invece guardiamo al beneficio medio annuo in base al numero di figli, il maggiore beneficio si riscontra per le famiglie con più di tre figli ed è pari a 1.192 euro.

L’Assegno Unico Universale prevede poi delle maggiorazioni per le famiglie bi-reddito fino a 40mila euro di ISEE, con un beneficio stimato più alto di 0,2 punti percentuali rispetto alle famiglie monoreddito.

 

Tabella 2. Effetti dell’introduzione dell’assegno unico – Fonte: Ufficio parlamentare di bilancio, report “L’Assegno unico universale: effetti distributivi e interazione con la riforma dell’Irpef”

I punti di forza e le criticità dell’Assegno Unico Universale

L’Assegno Unico Universale introduce un cambio di visione nelle politiche italiane per la famiglia, finora caratterizzate per la loro frammentazione e mancanza di sistematicità. Come spiega Chiara Saraceno, questo è molto importante perché la riforma promuove “una maggiore equità e inclusività, superando il frammentato e non sempre equo sistema di trasferimenti legati alla presenza di figli che si è via via accumulato nel nostro Paese, fatto di misure eterogenee per criteri di accesso e finalità e che spesso escludeva larghe fasce di popolazione, incluse le più povere” (Saraceno 2022). “In più, è una misura non categoriale e tendenzialmente universale, perché tutti possono usufruirne, anche se non è uguale in termini di quantità”, aggiunge Saraceno, parlando con Secondo welfare.

Il confronto con altri Paesi europei indica indubbiamente un miglioramento rispetto alla situazione precedente. Come mostrato durante il seminario della Fondazione Gorrieri, le famiglie con due o più figli ricevono una quota di trasferimenti sociali che, in proporzione rispetto al reddito medio, è maggiore rispetto al confronto con Germania, Spagna, Francia e Svezia (grafico 1). Bisogna però anche considerare che, sempre in media, le famiglie con almeno due figli in Italia sono più povere rispetto agli altri Paesi, perciò la quota in termini assoluti è più bassa. Confrontando sulla base del reddito familiare disponibile, si nota infatti che abbiamo superato la Spagna, ma non siamo ancora al livello degli altri Paesi (grafico 2). In effetti, come affermato da Chiara Saraceno e dal demografo Alessandro Rosina durante il seminario, la riforma dell’Assegno Unico Universale agisce piuttosto bene come politica per il contrasto alla povertà.

 

Grafico 1. Quota di trasferimenti sociali (pensioni escluse) su reddito familiare disponibile rispetto al numero di figli – Fonte: Fondazione Gorrieri, “Dall’assegno unico per i figli al Family Act”, elaborazioni su dati EU-SILC e IT-SILC.

 

Grafico 2. Quota di trasferimenti sociali (pensioni escluse) su reddito familiare disponibile rispetto alla composizione della ricchezza della popolazione – Fonte: Fondazione Gorrieri, “Dall’assegno unico per i figli al Family Act”, elaborazioni su dati EU-SILC e IT-SILC.

Sono invece diversi i dubbi riguardo la capacità della misura di invertire il trend in tema di natalità, teoricamente uno degli obiettivi principali della riforma.

Un primo tema da considerare è che la progressività dell’importo si contrappone all’universalità della misura e potrebbe generare un effetto disincentivante nei confronti dell’occupazione femminile (che, come abbiamo visto, è una condizione molto importante per aumentare le nascite). Questo perché, anche se la riforma prevede un bonus per le famiglie con due redditi, secondo Saraceno esso è insufficiente. “Ogni riferimento al reddito familiare pone la questione dell’aliquota marginale, per cui se si guadagna un po’ di più si può passare a uno scaglione superiore e, di conseguenza, il trade off può non essere incentivante. Paradossalmente questo problema si pone di più con le persone che hanno redditi più bassi, che sono proprio coloro a cui si rivolge la maggiorazione” ci ha spiegato Saraceno nel corso di un’intervista.

Facciamo un esempio. Una donna con basse qualifiche (quindi con un basso salario) e pesanti carichi familiari (poniamo il caso di 2-3 figli piccoli) riceve un assegno molto generoso e potrebbe quindi pensare che non valga la pena lavorare e sobbarcarsi la gestione dei figli allo stesso tempo: per lei potrebbe essere più vantaggioso stare a casa e occuparsi a tempo pieno dei figli. Nel caso in cui una donna decidesse di lavorare comunque si può incorrere in un altro problema: “il rischio può essere quello di incoraggiare il lavoro nero delle donne. Forse l’obiettivo di queste politiche pubbliche dovrebbe essere quello di sostenere la genitorialità non solo dei ceti più modesti, ma anche quella anche dei ceti medi scolarizzati che, col meccanismo attualmente proposto. Ne sarebbero ben poco toccati’” spiega Carla Facchini, professoressa di Sociologia della famiglia all’Università Milano Bicocca.

Un secondo ordine di problemi riguardante il contrasto alla denatalità è che l’Assegno Unico avvantaggia soprattutto chi ha già figli e non chi ne vuole fare. “Cancellando il bonus bebè e il premio alla nascita, viene meno l’attenzione per i nuovi nuclei familiari” è stata la riflessione di Rosina. Massimo Baldini, professore ordinario di Politica economica dell’Università di Modena e Reggio Emilia, concorda: “questa misura avvantaggia soprattutto le famiglie numerose e a basso reddito, mentre per aumentare il tasso di fecondità il passo sta nell’avere il primo figlio, o decidere di averne un secondo”.

Una questione fondamentale riguarda poi il fatto che non si può considerare l’Assegno Unico come unica misura per il sostegno alla natalità. Saraceno spiega infatti che “un’ampia letteratura internazionale ha segnalato come, nelle società contemporanee sviluppate, quello più efficace non consista tanto nei trasferimenti monetari quanto nelle misure di conciliazione famiglia-lavoro che facilitino l’occupazione femminile-materna e allo stesso tempo contribuiscano ad un riequilibrio nella divisione di genere delle responsabilità di cura. L’assegno, quindi, può giocare un ruolo di sostegno alle scelte positive di fecondità solo se inserito in un più ampio sistema di strumenti ed istituti” (Saraceno 2022). Proprio per questo, bisognerà aspettare di vedere come sarà implementato il Family Act nel suo complesso per capire quali effetti avrà sulla natalità.

Una prima risposta scarsa da parte delle famiglie

Un ultimo problema è quello del take-up, cioè della risposta della popolazione al cambiamento implementato dall’Assegno Unico Universale. Dall’avvio della riforma le cose non sono andate benissimo: a fine febbraio solo 3 famiglie su 10 avevano fatto domanda per la prestazione. Ad oggi, secondo l’INPS, sono arrivate poco più di due terzi di domande per i figli destinatari della misura (7,5 milioni su 11 milioni), comunque poche se si pensa che si poteva fare domanda dal 1° gennaio 2022.

Per Baldini, ciò può dipendere dal fatto che, per ottenere l’Assegno, sia obbligatoriamente necessario presentare l’ISEE anche per la quota base: “Ripresentare la dichiarazione ISEE tutti gli anni è un costo in termini di tempo per molte famiglie. Questo potrebbe ridurre il take-up, soprattutto per i redditi medio-alti, o per quelle famiglie che non hanno mai avuto bisogno di presentarlo, oppure ancora per evasori fiscali a reddito medio-basso”.

Secondo Saraceno, comunque, “il problema dell’accesso è fisiologico nelle prestazioni assistenziali, ci vuole un po’ di tempo prima che vadano a regime”. Bisogna insomma aspettare e vedere come andranno le domande nei prossimi mesi e anni.

 

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