Periodicamente Secondo Welfare cura un’inchiesta per Buone Notizie del Corriere della Sera, in cui si approfondiscono i cambiamenti sociali in atto in Italia e le loro conseguenze sul sistema di welfare. Sul numero del 26 aprile 2022 abbiamo affrontato il tema della digitalizzazione della scuola. Nell’articolo che segue Paolo Riva analizza gli effetti della Didattica a distanza durante la pandemia e gli orizzonti di sviluppo della cosiddetta Didattica digitale integrata. Qui invece Chiara Agostini riflette su come il digitale, se applicato correttamente, può evitare di amplificare le disuguaglianze sociali.
Dalla Dad alla Ddi. Le sigle sono simili, ma le idee che vi stanno dietro sono completamente diverse. E assolutamente cruciali per il futuro della scuola italiana che, se riuscisse a dimenticare la prima e investire sulla seconda, potrebbe cambiare molto. In meglio.
La Dad è la didattica a distanza, largamente applicata per la pandemia e molto criticata per i suoi effetti. Da quando è stata adottata, il numero di studenti che non raggiungono le competenze di base in italiano e matematica è aumentato. Inoltre, ha detto il Presidente del Consiglio Draghi, «la Dad crea disuguaglianze».
La Ddi, invece, è la didattica digitale integrata, definita dal Ministero dell’Istruzione come una «metodologia innovativa di insegnamento-apprendimento». È nettamente meno diffusa della Dad, ma in alcuni istituti è già realtà.
Un nuovo modo di fare scuola
L’istituto Savoia Benincasa di Ancona è uno di questi. «A scuola, il digitale ci abbraccia», dice Jacopo Giuggioloni, studente del quarto anno e rappresentante d’istituto. Il liceo ha spazi moderni, pc e connessioni internet in ogni aula, ma soprattutto modi di fare scuola nuovi. Fisica viene capita con esperimenti ripresi in video e analizzati insieme, fotogramma dopo fotogramma. Filosofia viene affrontata con dei dibattiti, legando le idee dei pensatori all’attualità. «Abbiamo appena studiato così Locke e Hobbes ed è stato appassionante», spiega Giuggioloni.
Il Savoia Benincasa è tra i ventidue istituti che nel 2014 hanno fondato il movimento Avanguardie educative: oggi sono oltre 1.300 in tutta Italia e il loro obiettivo è «trasformare il modello trasmissivo della scuola». «Nella visione del Movimento – spiega la ricercatrice di Percorsi di secondo welfare Ester Bonomi – il ricorso agli strumenti digitali potenzia, arricchisce e integra l’attività didattica, stimolando l’apprendimento attivo e contribuendo a rafforzare le competenze trasversali». La tecnologia, quindi, è un mezzo, non un fine.
Per quanto in grande crescita, i numeri di Avanguardie educative però rimangono minoritari. «Il punto è capire come le realtà d’eccellenza possono contaminare tutte le altre scuole» ragiona Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione nazionale presidi. Con la pandemia, si sono fatti passi avanti e sono state stanziate nuove risorse, ma, secondo Giannelli, «non bastano. Bisogno continuare».
«Sul digitale il ritardo c’è», aggiunge la segretaria generale della Cisl scuola Ivana Barbacci. A suo parere, mancano innanzitutto strumenti e infrastrutture. «Il passaggio dalle lavagne di ardesia alle Lim, le lavagne interattive multimediali, è stato difficile per carenza di risorse. So di Lim acquistate dai genitori», dice. «Un altro esempio è il registro elettronico. Tutte le scuole ce l’hanno, ma se non hai internet in classe, finisce che il professore lo compila a casa», con perdite di tempo e benefici inferiori.
PNRR e formazione
In questo senso, il PNRR, il piano nazionale di ripresa e resilienza finanziato dai fondi Ue post pandemia, dovrebbe aiutare. Da un lato, prevede 2,1 miliardi di euro per cablare 40mila edifici scolastici e trasformare 100mila classi in «ambienti di apprendimento connessi». Dall’altro, stanzia 800 milioni per la formazione sulla transizione digitale di 650mila docenti e membri del personale scolastico. Anche questo è un tema fondamentale. A maggior ragione in un Paese in cui le competenze digitali, come testimoniano i dati Desi 2021, sono basse e molto al di sotto della media europea, pure tra i giovani.
«I docenti – riprende Giannelli – non sono mai stati oggetto di un’attività di aggiornamento adeguata». «Manca l’organicità dell’offerta formativa per gli insegnanti, per consentire loro di acquisire nuove metodologie didattiche, anche digitali», aggiunge Barbacci. Per questo, entro il 2026, è fondamentale che i fondi del PNRR siano spesi al meglio. Il rischio, altrimenti, è che tutto sia lasciato alla buona volontà del singolo docente e che a risentirne siano gli alunni, soprattutto quelli che già facevano fatica. E che, magari, finiscono per lasciare gli studi o per concluderli male.
Evitare che il digitale generi altre disuguaglianze
Nel nostro Paese, infatti, tra 2019 e 2021, il tasso di dispersione scolastica totale è salito dal ventuno al ventidue per cento, con un particolare aumento di coloro che hanno ottenuto un titolo di studio, ma con competenze di base inadeguate. Nuovi metodi di insegnamento e nuove tecnologie, quindi, sono importanti anche in quest’ottica.
«Il digitale può aiutare a contrastare la povertà educativa, ma ad alcune condizioni», riflette Marco Rossi Doria, presidente dell’impresa sociale Con i Bambini, nata per concretizzare in progetti sul territorio le risorse del Fondo per il contrasto alla povertà educativa minorile. «La prima condizione – continua Doria – è che tutti gli alunni e tutte le alunne abbiano a disposizione una connessione internet e strumenti sia hardware sia software aggiornati».
E questo, come si è visto durante la pandemia, non è per nulla scontato. «La seconda condizione sono dei luoghi di accompagnamento educativo al di fuori delle scuole, come quelli promossi da Con i bambini. Sono spazi digitalizzati, con computer e connessioni, ma soprattutto figure che accompagnano i ragazzi e ne monitorano l’apprendimento, compreso quello digitale».
#OltreLaDad
È la serie di Secondo Welfare che, partendo dai dati e dalle voci dei protagonisti della scuola, vuole capire quale sarà il futuro della didattica digitale oltre l’emergenza pandemica. Scopri la serie.
Questo articolo è stato pubblicato su Buone Notizie del Corriere della Sera il 26 aprile 2022 ed è qui riprodotto previo consenso dell’autore.