Il Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza il 1° marzo scorso ha presentato una proposta per riformare il sistema nazionale di pubblica assistenza, basato su un governo unitario di Stato, Regioni e Comuni, e che prenda in carico il riconoscimento del ruolo degli assistenti familiari attraverso una solida rete di servizi che rispondono alle esigenze (sempre più) crescenti delle persone non autosufficienti.
La proposta afferma la necessità di mettere in campo interventi integrati ed appropriati che rafforzino la rete territoriale della domiciliarità: l’obiettivo è supportare il caregiver con maggiore chiarezza rispetto alle risorse e agli interventi che riguardano la condizione assistenziale.
In Italia, ricordiamo, sono oltre 2 milioni gli i caregiver familiari che quotidianamente si prendono cura dei propri cari e circa 5 milioni coloro che svolgono funzioni di supporto.
Vivere da caregiver: l’assistenza familiare informale in Italia
Si diventa caregiver quando la malattia di una persona cara infrange la sua e la tua vita. Quando il dolore dell’altro richiede empatia, vicinanza, sostegno, quando il bisogno dell’altro sollecita in modo crescente il nostro aiuto per affrontare la vita quotidiana nei suoi diversi aspetti (funzionali e non).
Vivi da caregiver quando ogni giorno affronti i mille problemi connessi alla priorità dell’altro, quando accantoni le tue esigenze, i tuoi progetti e le tue speranze si tramutano in una sola speranza: che tutto ciò che fai dia all’altro opportunità di avere qualità e desiderio di vita.
E mentre ogni giorno, e per anni, tutto questo diventa il tuo perimetro, perdi anche amici, relazioni, lavoro, in un isolamento che riduce la cura a qualcosa che ti appartiene visceralmente, mentre chi è fuori da tutto questo la nega o la riduce paradossalmente a commiserazione o stigma.
E bussa alla porta, ogni giorno, non solo l’esigenza di affrontare dolore, fatica fisica e emotiva, stress organizzativo, paura di non farcela, di non essere all’altezza, ma anche di non avere risorse economiche sufficienti per fare fronte da un lato a spese crescenti connesse alla cura, dall’altro alla sottrazione di entrate dovute ad un progressivo o a volte traumatico abbandono del lavoro. E poi correre da uno sportello all’altro, da un ambulatorio all’altro, investendo tempo, energie in risposte spesso difficili da comprendere, da organizzare, da accompagnare, da conciliare con la propria vita….
Avere al centro la cura dell’altro porta spesso anche a subire, in termini di propria salute, gli effetti dilaganti dello stress cronico. Tutto questo può accadere nella vita di ogni essere umano che porge la mano e il cuore alla fragilità dell’altro.
Nel nostro Paese i caregiver sono tanti: oltre 2 milioni quelli che possiamo definire caregiver primari e oltre 5 milioni quelli che svolgono funzioni di supporto. Sono perlopiù donne e sono ragazzi, giovani adulti, persone adulte e persone anziane: una umanità sovente invisibile ai più. Invisibile perché la cura è circoscritta alla dimensione privata, perché l’assenza di riconoscimento e di diritti consente di non vedere, di non mettere in campo adeguati sostegni.
Sostegni per fare cosa? Per dare a chi ha bisogno di assistenza e a chi se ne prende cura per ragioni affettive una dimensione sociale di pari opportunità, di riconoscimento e valore alla relazione di cura, di ruolo, di sostenibilità.
La cura come bene pubblico: la proposta del Patto per un nuovo welfare
La proposta per l’introduzione di un Sistema Nazionale Assistenza Anziani elaborata dal Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza ha posto al centro la persona bisognosa di aiuto, ma è altresì mirata a favorire e sostenere chi si prende cura, riconoscendo, a chi riceve e a chi presta cura, diritti ed eguaglianza di accesso ai servizi, privilegiando la domiciliarità e la prossimità. La cura come bene pubblico alimentato da una cultura di comunità e da responsabilità e impegno individuale e familiare. Questo approccio è stato costitutivo nel lavoro del Patto a partire dalla capacità di creare condizioni di ascolto e confronto tra gran parte delle organizzazioni della società civile che rappresentano gli anziani e i loro familiari e nell’aver favorito il superamento di specificità e appartenenze.
Ma quale è la proposta? In primo luogo un sistema nazionale di pubblica assistenza basato sul governo unitario Stato-Regioni-Comuni, sul riconoscimento del ruolo di chi si prende cura, su servizi che rispondono al mutare delle esigenze assistenziali e che sostengono la domiciliarità con interventi integrati ed appropriati. Ciò significa:
- la costituzione di una rete (nazionale-regionale-territoriale) per l’assistenza integrata alle persone anziane non autosufficienti e un punto unico di accesso (all’interno delle cosiddette Case della Comunità) che fornisca informazione, primo orientamento, attivi la valutazione per l’accesso ai servizi (evitando la peregrinazione tra una molteplicità di sportelli, la richiesta ripetuta di documentazione, …);
- l’uniformità degli strumenti valutativi e la complementarietà nella definizione dei bisogni tra servizi centralizzati e di ambito locale (es. tra INPS , servizi sociali e sanitari territoriali) nella definizione delle misure di accesso di competenza nazionale indennità di accompagnamento, (agevolazioni fiscali, congedi e permessi lavorativi, …) e nella identificazione – con il coinvolgimento attivo del caregiver familiare – del piano assistenziale e dei conseguenti interventi locali socioassistenziali, sociosanitari in ambito domiciliare o semiresidenziale o residenziale, l’identificazione di un referente nei servizi per fare fronte in modo condiviso alle esigenze connesse all’evolversi dei bisogni assistenziali;
- la possibilità di optare, a fronte dell’accesso dell’assistito a misure nazionali di accompagnamento (che nella proposta del Patto diventano finalmente graduate rispetto al bisogno assistenziale), tra un trasferimento economico o un equivalente – di importo maggiorato – in servizi.
In sintesi per il caregiver tutto ciò significa avere maggiore chiarezza sulle risorse e gli interventi che supportano la condizione assistenziale, poter definire le scelte che si hanno di fronte in quanto familiare che si prende cura, sapere a chi rivolgersi per dare risposte appropriate al mutare dei bisogni propri rispetto a chi riceve cura (vedi, ad esempio, assistito affetto da patologie degenerative, mutare della condizione di salute del caregiver, del suo carico assistenziale verso altri componenti della famiglia, ecc.).
La proposta tiene conto altresì di un dato oggettivo: oltre un milione di familiari si avvalgono del supporto diretto di un’assistente familiare. Ma oggi troppo spesso il familiare non sa a chi rivolgersi per ricercare la cosiddetta “badante”, si basa sul passaparola, su modalità informali (grigie o nere) di inserimento lavorativo e si barcamena tra diritti-doveri, qualità di prestazioni/competenze non conosciute e fortemente differenziate rispetto ai territori.
La proposta del Patto si concentra su una chiarezza di profilo professionale (nazionale), di un percorso formativo modulare (arricchire le competenze in corrispondenza al mutare dei bisogni dell’assistito), su servizi a supporto dell’incrocio tra domanda e offerta di lavoro di cura, su agevolazioni fiscali che premino la regolarità contrattuale, su servizi complementari per la continuità assistenziale a fronte del dovuto riposo giornaliero e settimanale dell’assistente familiare convivente.
Riflessioni conclusive: sostenere in modo diretto il familiare che si prende cura di una persona cara anziana e non autosufficiente
Il riconoscimento della funzione di cura del caregiver familiare e l’obiettivo di salvaguardarne le condizioni materiali e il benessere psico-sociale sono trasversali a tutta la proposta, nella piena consapevolezza che ove c’è una persona non autosufficiente, il benessere, la qualità di vita e di relazioni dell’assistito sono – di norma- in primo luogo presidiate dal familiare. Un familiare che, come già evidenziato, svolge e sostiene nel tempo un ruolo complesso, doloroso, perlopiù insostituibile.
E allora dimostrare nei fatti che degli impatti di tale funzione e della sua sostenibilità la società vuole farsi carico, significa – nella proposta del Patto – valutarne i bisogni, definire i livelli essenziali (universalistici) di prestazioni sociali e sanitarie per il caregiver (come l’educazione e l’addestramento alla cura, il sollievo programmato, la sostituzione in casi di emergenza come ad es. il ricovero ospedaliero, il sostegno psicologico) e integrare tali prestazioni con interventi coordinati a livello regionale e locale di accompagnamento (informazione, ascolto, gruppi di Auto Mutuo Aiuto….). Ma a fianco di ciò, in coerenza con il dettato dei pilastri sociali dell’Unione Europea, favorire un’equa divisione delle responsabilità di cura tra i generi, conciliare la vita e i tempi per la cura con i tempi di lavoro (vedi lavoro agile, congedi, permessi). E poi, a fianco degli attuali anticipi pensionistici come l’APE Social, offrire tutele previdenziali coerenti con l’impegno assistenziale svolto, attraverso il riconoscimento di contributi figurativi che consentano di accedere alla pensione, ma che consentano anche a chi -per ragioni assistenziali- non ha maturato adeguati contributi il diritto ad una pensione dignitosa.
Per la messa a terra della proposta il Patto sottolinea l’esigenza:
- di un adeguato finanziamento pubblico che garantisca a tutti i cittadini che ne hanno diritto i livelli essenziali sociali e sanitari;
- la ridefinizione dei contributi degli utenti al costo dei servizi fruiti, non inclusi nei livelli essenziali;
- l’attivazione (come in tanti altri Paesi europei) di un pilastro integrativo derivante dalla contrattazione collettiva.
La proposta del Patto apre la possibilità di un confronto che vede per la prima volta in campo una cinquantina di soggetti espressione della società civile che “dal basso” sollecitano le istituzioni a dare corpo ad una riforma di portata storica per il Paese: confidiamo che i caregiver comprendano a pieno il valore di tale proposta e la sostengano per garantire nel tempo valore e dignità di cura per i propri cari e per sé.