Un articolo pubblicato su LaVoce.info ripercorre i risultati del paper “The role of telework for productivity during and post-COVID-19” dedicato al ruolo dello smart working nel post-pandemia. Il documento riporta gli esiti di uno studio realizzato attraverso un questionario rivolto a lavoratori e imprese di 25 Paesi al fine di inquadrare esperienze e aspettative generate dallo smart working, con particolare attenzione per le sue relazioni con la produttività del lavoro.
Stando a quanto riportato da Chiara Criscuolo, Francesco Losma e Giuseppe Nicoletti, le opinioni di datori di lavoro e dipendenti convergono nell’attribuire allo smart working un ruolo di crescente importanza. Tuttavia, le imprese prevedono di rendere possibili forme di smart working solo per circa il 40% dei lavoratori. Questi ultimi si aspettano invece che il 70% della forza lavoro potrà fare smart working nel periodo post-pandemico. C’è però una forte differenza tra settori produttivi. Se in quelli ad alta intensità tecnologica (IT, finanza, consulenza, etc.), i datori di lavoro pianificano forme di lavoro a distanza per più del 70% dei loro dipendenti, la quota scende a meno del 30% nelle costruzioni e nel manifatturiero, dove il potenziale di lavoro a distanza è minore.
Di seguito l’indagine indica che il 60% dei datori di lavoro sia convinto che lo smart working a lavorare di più e in maniera più produttiva. Il 45% vede nella possibilità di reclutare talenti da un bacino più ampio il terzo grande vantaggio dello smart working. Secondo l’87% dei dipendenti il più grande beneficio del lavoro agile sta nella possibilità di evitare il tragitto giornaliero verso il luogo di lavoro. A pari merito troviamo anche la possibilità di conciliare il lavoro con altri impegni familiari. Sul terzo gradino del podio, l’82% degli intervistati nota la flessibilità nell’organizzazione del proprio calendario giornaliero.