In Italia crescono le fattorie sociali che accompagnano la produzione agricola con attività di carattere sociale, in un’ottica di multifunzionalità. Si tratta di progetti che offrono forme alternative di welfare partecipativo, territoriale e di prossimità e che aprono nuovi spazi per le imprese agricole, soprattutto nelle zone più isolate. A dimostrazione di come anche le attività produttive, in questo caso agricole e zootecniche, possano generare benessere sociale.
Che cosa sono?
Una "fattoria sociale" è un’impresa che svolge l’attività produttiva in modo integrato con l’offerta di servizi culturali, educativi, assistenziali, formativi e occupazionali a vantaggio di soggetti deboli o a rischio di marginalizzazione – ma non solo – in collaborazione con istituzioni pubbliche e terzo settore.
Sebbene siano “ufficialmente” nate negli anni ‘90 in Olanda come social-care farms, in realtà esperienze simili avevano già cominciato a diffondersi nel nostro paese nella metà degli anni ‘70 sulla scia di importanti riforme avvenute in campo-socio sanitario – come la legge Basaglia – che hanno promosso una nuova consapevolezza su tematiche sociali quali il disagio mentale, la tossicodipendenza e la condizione carceraria. Le fattorie sociali vengono infatti ritenute così efficaci perché implementano percorsi di riabilitazione e inserimento lavorativo in grado di riconoscere dignità alle persone coinvolte e tener conto delle esigenze delle loro famiglie.
Le fattorie sociali possono prendere la forma del privato-sociale (cooperative sociali di tipo A e B); dell’azienda agricola privata, a conduzione famigliare o cooperativa; di associazioni di volontariato e di famiglie con famigliari a rischio, Fondazioni, neo e vecchie comunità rurali, case-famiglia o strutture socio-sanitarie che prevedono attività in ambito agro-rurale.
I principali tipi di attività che le fattorie sociali svolgono sono formazione e inserimento lavorativo di persone socialmente marginali e/o a scarsa capacità contrattuale, come detenuti ed ex detenuti, disoccupati di lungo corso, minori in condizione di disagio, persone sottoposte a varie dipendenze e schiavitù (alcolisti, tossicodipendenti, prostitute) o soggette a discriminazioni e pregiudizi (immigrati, rom ecc.); riabilitazione e cura, rivolta a persone con disabilità psico-fisica; attività ludico-ricreative rivolte a ragazzi (asili verdi e campi estivi) e ad anziani ed adulti (orti sociali e orti urbani, forme di accoglienza temporanea e non). Nelle figure 1 e 2 sono riportati i dati sui servizi offerti e sulle tipologie di soggetti accolti.
Figura 1 – Fattorie sociali per servizi offerti.
Fonte: AIAB 2011
Figura 2- Fattorie sociali per tipologia di soggetti svantaggiati accolti.
Fonte: AIAB 2011
I vantaggi: cura, benessere e sviluppo
Le fattorie sociali favoriscono innanzitutto l’inclusione di chi vi lavora, attribuendo così al mondo agricolo anche un valore sociale. Alcuni fattori risultano particolarmente efficaci per il perseguimento di questo obiettivo: il rapporto con la natura tipico dell’attività agricola – soprattutto con la materia viva, vegetale e animale – induce processi positivi di autostima e di recupero di sé. Prendendosi cura di altri organismi le persone sviluppano infatti la capacità di gestire emotività e senso di responsabilità, essenziali per ricostruire la propria identità ed autonomia (pensiamo alle pratiche di ortoterapia, pet therapy, ecc.). Inoltre, la maggiore flessibilità dell’organizzazione del lavoro, sia in termini di orario, di mansioni e di variabilità nel corso della giornata lavorativa e delle stagioni, sono un aspetto importante per chi non può garantire una disponibilità totale; l’ambiente di lavoro aperto e meno costrittivo risulta più “accogliente” per chi si sta ricollocando nel mondo del lavoro. Infine, la vendita diretta dei prodotti agricoli incrementa l’autostima e permette, attraverso lo scambio, di stabilire relazioni con l’ambiente esterno.
L’Agricoltura Sociale offre, inoltre, nuove opportunità di sviluppo per il mondo agricolo, anch’esso come tutti alle prese con la crisi, e al tempo stesso propone un nuovo modello di sviluppo rurale all’insegna della sostenibilità, stabilendo un circolo virtuoso tra inclusione di soggetti svantaggiati, maggiori e più efficaci servizi alle persone, buona occupazione e sviluppo sostenibile.
Infine, le fattorie sociali possono migliorare la capacità di attrazione e la reputazione di un sistema locale, soprattutto nei territori più degradati o dove le opportunità di lavoro sono limitate – ad esempio al Sud.
Fattorie e welfare
Per gli aspetti sopra descritti, sempre più spesso si parla delle fattorie sociali come possibili forme di welfare partecipativo, territoriale e di prossimità.
Esse offrono infatti servizi socio-sanitari, formativi, ricreativi, di coesione sociale e di inserimento lavorativo per soggetti contrattualmente deboli, a costi sostenibili, con forti contenuti inclusivi e con effetti potenzialmente virtuosi sullo sviluppo delle comunità locali. In questo contesto l’agricoltura sociale può rappresentare una risposta efficace e finanziariamente «sostenibile» rispetto alle vecchie e nuove esigenze di protezione/coesione sociale della popolazione, anche in aree territoriali più svantaggiate, come quelle rurali e montane, dove i servizi di tipo “classico” sono pressoché impossibili da mantenere e sostenere. Ad esempio, negli ultimi tempi è stato rilevato un boom delle fattorie sociali in Sicilia: nel 2007 erano solo 9, nell’ultima rilevazione del 2012 risultano 43.
Ciò porterebbe un vantaggio per gli enti pubblici, in termini di risparmio sulle strutture assistenziali; per le azienda agricole, a cui viene offerta la possibilità di valorizzare risorse inutilizzate e nuovi spazi di attività; per i soggetti a bassa contrattualità, a cui viene offerto uno spazio di cura/potenziamento personale e inclusione sociale.
“Stato dell’arte”
Secondo un’indagine svolta da AIAB (Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica) nel 2010 le aziende bio-sociali in Italia ammontavano a 221, con una crescita considerevole rispetto alla precedente mappatura realizzata nel 2007, che ne individuò 107. Il trend positivo è testimoniato dal fatto che ben il 33% del totale delle realtà censite è sorto nell’ultimo quinquennio (2005-2010), come rilevato da una analisi più dettagliata svolta su un campione di 36 aziende. Relativamente alla forma giuridica delle imprese si regista il primato della cooperazione sociale che rappresenta il 57,4% del totale del campione, mentre l’imprenditoria agricola privata costituisce il 28,7%, seguita da Onlus, associazioni varie, associazioni di promozione sociale (il terzo settore) con il 9,8% e cooperative agricole (4,2%).
Nonostante i vantaggi presentati, non mancano elementi di criticità, in primis la mancanza di risorse economiche, politiche pubbliche di sostegno, competenze professionali e procedure codificate che facilitino il rapporto con le istituzioni e i referenti delle politiche di welfare. In particolare il quadro normativo sembra ancora confuso. Le prime forme di agricoltura sociale hanno trovato un riferimento normativo nella legge 381/91, dove si precisa che le cooperative sociali possono svolgere attività agricole; tuttavia il termine agricoltura sociale non trova, al momento, un riferimento giuridico normativo univoco sul piano nazionale. Solo recentemente, alcune Regioni hanno deliberato in proposito prevedendo, nei Piani di Sviluppo Rurale regionale, misure ad essa dedicate.
Riferimenti
Bioreport 2011 – L’agricoltura biologica in Italia, AIAB
Le fattorie sociali in Italia, Alfonso Pascale
Fattorie sociali, ecco le migliori d’Italia, Maurizio Regosa, VITA.it