Nel 107esimo episodio della sua rubrica “Ultimo banco” sul Corriere della Sera, Alessandro D’Avenia pone una semplice, quanto dirimente, domanda: la scuola serve ancora? L’autore parte infatti da due recenti casi di cronaca per mostrare come oggi la scuola abbia tradito le sue origini, come mezzo di emancipazione ed educazione alla vita.
Senso di smarrimento, disaffezione e rassegnazione sono, purtroppo, i sentimenti più diffusi, confermati anche da diversi dati. Secondo la commissione ministeriale sul benessere/malessere a scuola, nel 2017 oltre il 60% degli studenti intervistati affermava di stare male stabilmente all’interno delle mura scolastiche. Al contempo i docenti risultano essere la classe lavorativa più soggetta a burnout, mentre una ricerca del 2001 affermava che il 73% di loro risultava affetto da patologie psichiatriche.
Per l’autore, le cause di queste criticità sistematiche, presenti ben prima della pandemia, sono ricercarsi nel modello di scuola promosso negli ultimi decenni. Nello specifico, la cultura prestazionale della meritocrazia, la perdita di punti di riferimento, e l’abbandono a loro stessi di studenti, docenti e genitori. All’interno di questo panorama, il Covid ha contributo ad amplificare e accelerare un fenomeno già in atto.
Tuttavia, la soluzione qui proposta non è “chiudere le scuole”, o ridurne, ancora di più, le potenzialità. Bensì, rendere la scuola quel luogo in grado di fornire l’educazione e gli strumenti che permettano il pieno sviluppo della vita umana.