Per mentorship si intende comunemente, riprendendo la definizione dal Cambridge Dictionary on-line, “the activity of giving a younger or less experienced person help and advice over a period of time, especially at work or school”, ovvero:
“L’attività di dare aiuto e consigli ad una persona più giovane o con meno esperienza, per un determinato periodo di tempo, in particolare in contesti lavorativi e scolastici”
Sono implicite in questa definizione, forse un po’ datata, alcune questioni che saranno al centro anche delle nostre osservazioni; in questa interazione si sottintende che:
- una delle due persone sia più giovane o con meno esperienza;
- che qualcuno che dispone di maggiori conoscenze supporti a qualcuno che non sa, sa meno o ha meno esperienza;
- fondamentalmente si tratta di una relazione è a senso unico: da chi sa a chi non sa.
Ma è necessariamente ed esclusivamente così?
Molteplici idee di mentorship
Le organizzazioni possono immaginare percorsi di introduzione e di realizzazione di opportunità di mentorship molto diverse. Già il solo considerare la mentorship un dispositivo organizzativo per facilitare l’inserimento di nuove figure, un’opportunità di condivisione di conoscenze e attualizzazione di competenze o, ancora, una forma di supporto nella mobilità interna e in uscita, non solo apre a centrature differenti ma anche ad articolazioni delle modalità di proposta e attuazione di mentorship molto diverse.
La rappresentazione canonica – che pure offre una guida generale e che in parte è quella condivisa in apertura di questo contributo – deve essere subito riconsiderata non appena la si collochi nei contesti reali, si considerino le intenzioni che muovono le organizzazioni e gli scopi che esse perseguono.
Le fasi di ideazione e di progettazione della mentorship in quanto azione pratica, strumento operativo e di attivazione relazionale consentono di dedicare un tempo ad indagare i propositi che accompagnano la motivazione generale, ovvero quella di attivare un nuovo modo per aiutare le persone ad inserirsi nelle consuetudini, nei saperi organizzativi e nello stesso tessuto sociale.
Allineamento, adattamento, innovazione
Approfondire e conoscere la varietà di propositi presenti nelle organizzazioni – ma non sempre esplicitati e talvolta addirittura inconsapevoli – è spesso, per un consulente esterno durante un intervento, un percorso fatto di ascolto continuo della cultura diffusa e presente, delle sotto-culture nel caso di organizzazioni medio-grandi, delle successive messe a fuoco in corso d’opera guardando, senza giudizio e con curiosità, alle scelte che traspaiono dagli agiti. La maggior parte delle organizzazioni guarda alla mentorship come ad un processo trasformativo ed innovativo, di per sé, ma in realtà la sua portata, in termini di cambiamento, dipende dall’intenzione o proposito che muove l’azione.
Infatti si può spaziare in un continuum di differenze evolutive che può snodarsi nei punti sintetizzati a seguire:
- Il mentore deve istruire e allineare il beneficiario, il mentee, alle procedure/regole, comportamenti e alle relazioni così come previste dall’organizzazione: ogni differenza e difformità va ricondotta allo standard, la comunicazione si muove prevalentemente nella direzione di conformare. L’organizzazione si attende, se non omologazione, certamente un buon grado di allineamento della nuova persona in ingresso. In questo passaggio anche il mentore “ripassa” le regole a cui occorre attenersi e implicitamente, ma di fatto, l’innovazione è bandita.
- il mentore deve orientare e accompagnare il mentee partendo, però, dalla propria esperienza nell’interpretazione delle regole/procedure, comportamenti e relazioni, la comunicazione si muove prevalentemente nella direzione mentore-mentee ma si dà valore al feedback. L’organizzazione si attende un adattamento disponibile e costruttivo; in questo passaggio il mentore ha l’occasione di riflettere sulle proprie conoscenze e sui propri apprendimenti, valorizzarli e rivisitarli. In questo caso non si parla ancora di innovazione ma si introduce un ammodernamento, se così lo vogliamo chiamare
- il mentore deve favorire un inserimento attivo del mentee, allo scopo di consentirgli di muoversi in modo consapevole nei significati, nelle procedure, comportamenti e relazioni organizzative; la comunicazione si muove in più direzioni, lo scambio ed il confronto sono parte integrante del processo, in cui le diversità, le divergenze, aprono a conversazioni portatrici, in potenza, di arricchimento e innovazione reciproca per mentore, mentee e per il contesto operativo. L’organizzazione si attende orientamento e scambio, visione critica, attivazione e innovazione. Il mentore lascia spazio anche al “non noto” permettendosi di interrogarsi e riflettere insieme al mentee.
Figura 1. Possibili esempi di obiettivi e azioni di mentorship rispetto allo stato organizzativo
Il differente proposito organizzativo, come si vede, può rendere la mentorship un elemento fortemente conservativo in cui l’organizzazione tende a ripetersi, oppure costituire una spinta innovativa in cui ogni “incontro”, che sia con un mentee, un cliente, un fornitore, un competitor, è oggetto di apprendimento e innovazione. E – in relazione al mandato ricevuto – anche il ruolo del mentore e le competenze che deve mettere a disposizione nella relazione con il mentee, cambiano a seconda del livello evolutivo in cui si inquadra il processo di mentorship. Al mentore può venire richiesto di mettere in gioco le sole competenze relazionali e comunicative o anche quelle di visione e consapevolezza organizzativa.
Apprendimento e sviluppo
Rispetto all’intenzione di custodire le tradizioni (processo conservativo), implementare forme di mentorship per introdurre novità organizzative (processo trasformativo) comporta un intreccio di ingredienti piuttosto diverso. In questo caso, in primo piano non viene posta la difesa dell’immagine pubblica che si vorrebbe confermata e non si chiede al mentee di sottostare ad un percorso di iniziazione. Quella che si avvia – con un ingaggio che si basa sulla fiducia – è una relazione fra la figura del mentore e la figura del mentee che ha per oggetto l’accompagnamento in un segmento delicato del percorso professionale: l’ingresso in una organizzazione produttiva, la conoscenza dei processi di lavoro, dei saperi e delle competenze tacite, della complessità di relazioni, strumenti, combinazioni operative.
La mentorship è qui immaginata come modalità di attivazione, come progetto per ossigenare, come spazio per ripensare, ricombinare, riordinare conoscenze e saperi, si configura come un momento formativo evoluto per chi vi è coinvolto anche in posizioni e ruoli differenti e per l’intera organizzazione. Secondo questa prospettiva, la mentorship nutre e sostiene anche la motivazione di chi vi partecipa, sia del mentore che del mentee, e talvolta anche degli altri “spettatori” presenti sulla scena organizzativa. Infatti la dimensione fiduciaria alla base di questo modo di intendere la mentorship non si limita ai soli protagonisti ma viene messa in circolo e riconosciuta come fattore coesivo diffuso.
La mentorship si manifesta così come percorso di ricognizione/perlustrazione dell’organizzazione, come un tracciato che promuove una cultura che guarda all’esplorazione come fattore di apprendimento. L’organizzazione ha una sua mappa, ma questa non è l’organizzazione, per questo anche se provvisti di questa utile traccia, occorre osservare, dubitare, registrare e condividere ciò che si è rilevato. Questo movimento e la dimensione fiduciaria già accennata, consentono di ospitare anche la possibilità d’errore, la possibilità di perdersi, principi senza i quali non può esistere una vera esplorazione e innovazione. L’organizzazione che lavori per obiettivi e investa sulla proattività delle persone piuttosto che affidare loro solo compiti e adempimenti, che lavori sul senso e sulla capacità di interrogarsi, che consenta l’errore come occasione di apprendimento, promuove elementi che sostengono una mentorship orientata all’innovazione.
In particolare l’idea della reverse mentorship (che si realizza quando il mentee porta nell’organizzazione nuove conoscenze e contributi) consente di tematizzare la tensione (e la disponibilità) verso l’apertura. Nell’ambito del percorso di mentorship possiamo osservare – e riconoscere – che non è il solo mentee a ricevere informazioni, supporti, indicazioni di orientamento e spunti di riflessione. Chi entra in un’organizzazione porta con sé conoscenze, esperienze, competenze che è utile riconoscere, per le quali è funzionale promuovere occasioni di incontro e di valorizzazione e porta con sé anche lo “sguardo del principiante” – di colui che non sa – che è capace ed è in qualche modo interessato ad interrogarsi per comprendere, che coltiva l’attitudine ad essere curioso e può sottrarsi alle routine interpretative e di agito proprie di quella specifica realtà. Questo sguardo può essere accolto e coltivato come una risorsa o spento in quanto “disturbo”.
Quando la mentorship accoglie queste potenzialità, si configura come uno scambio, un arricchimento reciproco (e dell’organizzazione tutta), un’apertura a condivisioni ricercate o inattese in ingresso, in socializzazioni di saperi messi a disposizione dalle nuove figure a vantaggio di chi già lavora nell’organizzazione. In questa prospettiva la mentorship è una costruzione partecipata, un’accoglienza e una messa a disposizione, un processo di crescita professionale di cui beneficiano le persone coinvolte, i gruppi di lavoro e l’organizzazione stessa. E’ una danza in cui la dissimmetria è mobile: si muove tra mentore e mentee, fra saperi, esperienze, poteri, ruolo, status e ipotesi generando intuizioni ed insight altrimenti difficilmente raggiungibili.
Mentorship, formazione, comunità di pratica
Quali supporti possono venire offerti alle persone ingaggiate – in veste di mentori e di mentee – in processi di accoglienza e affiancamento professionale? Come può l’organizzazione farsi essa stessa mentore di un processo diffuso e guidato?
Il percorso interno, che porta le persone ad attraversare diversi ruoli, per orientarsi e ambientarsi, ad individuare propensioni e competenze, a collocarsi in posizioni lavorative definite, viene facilitato da dispositivi organizzativi che contribuiscono a far comprendere le potenzialità attese attraverso la mentorship. Si tratta di un processo volto a condividere il senso operativo di un’organizzazione che accoglie nuovi membri, a calibrare le modalità concrete di attuazione riconoscendone diverse possibilità, a valorizzare aspetti di cui non si era consapevoli, ad apprendere e ad arricchire il senso di una mobilitazione organizzativa semplice ma incidente su relazioni e operatività.
La formazione e l’attivazione di comunità di pratica, possono dare supporto all’introduzione e al funzionamento di processi di mentorship. La formazione è un modo per tematizzare, conoscere, approfondire, discutere modalità e finalità di percorsi di mentorship. La formazione è, quindi, un modo conosciuto, misurato, per portare all’attenzione delle figure chiamate a svolgere interventi nella posizione di mentori, aspetti che necessariamenti vanno considerati per consentire una prima prefigurazione delle modalità da istituire. Insieme alla formazione, nel corso dell’esperienza è utile – e non oneroso – attivare uno scambio fra le persone coinvolte in posizione di mentori e in posizione di mentee.
Lo scambio sostiene il nascere spontaneo di nuovi frame di linguaggio condivisi, di conoscenze che consentono l’elaborazione di nuovi significati collettivi. Attraverso l’attivazione (o il riconoscimento) di comunità di pratiche, le concrete esperienze in corso di realizzazione possono essere fatte oggetto di confronto, di analisi, di messa a punto. In questo modo è l’organizzazione stessa che assume una posizione di supporto rispetto all’introduzione di una novità e ne accompagna – mantenendo i soggetti coinvolti in una posizione di responsabilità – l’attuazione.
Possibilità e prospettive
La metafora della tessitura si presta a molte declinazioni e qui consente di riprendere alcuni spunti.
Formazione come disegno imperfetto
La formazione alla mentorship, dalla sua ideazione e nel suo farsi progressivo – in particolare nell’esperienza che ha dato spunto alle nostre riflessioni – ha continuamente costruito collegamenti tra il contesto di operatività, il contesto organizzativo, quello formativo e la proposta di introdurre forme di un’articolazione possibile della mentorship. I contesti, immaginati, esperiti, resi presenti dai racconti e dalle esperienze hanno fatto da ordito all’ideazione e allo sviluppo del percorso: le proposte formative hanno continuamente cercato di collegare il tema oggetto della formazione con la realtà organizzativa, articolata e variegata anche in relazione alle diverse aree di operatività dell’organizzazione stessa, senza mettere da parte quelle parti irrazionali e imperfette che sono presenti, sempre, in tutte le realtà.
La formazione a cui abbiamo lavorato è stata una tessitura, un intrecciare la preparazione e la realizzazione del singolo incontro, il disegno del percorso, le testimonianze, i gruppi di lavoro, i ritorni e le riflessioni, con la vita dell’organizzazione, le sue rappresentazioni, gli elementi portati in primo – o in secondo piano – sulla scena formativa dalle persone che hanno partecipato agli incontri (e dagli assenti, poichè anche l’assenza lavora nelle dinamiche del gruppo).
La formazione è stata un procedere nel costruire una tela ricca di segni che componessero un disegno possibile, una tela segnata da imperfezioni e anche da tratti marcati e riconoscibili. In questo senso sono stati riaffermati, nelle azioni, i pilastri utili ad una mentorship generativa, quelli della fiducia, dell’accettazione dell’errore, della progettazione non lineare, dell’esplorazione, dell’ascolto continuo, della dissimmetria mobile, dei ruoli non rigidi di mentore e mentee anche nella stessa progettazione e attuazione formativa.
Mentorship come tessitura organizzativa
Sempre servendoci della metafora della tessitura, possiamo osservare un altro aspetto. Introdurre forme di mentorship strutturate (insieme ad altri interventi di cura, manutenzione e animazione organizzativa, ad esempio la promozione di comunità di pratiche interne o tra diverse realtà) significa alimentare forme di sviluppo e di rafforzamento dello stesso tessuto organizzativo. La mentorship è un modo per promuovere concretamente forme di collaborazione che mantengano nelle mani degli attori la capacità di scambiare conoscenze e sviluppare apprendimenti, di superare strutture o compartimentazioni, di aprire varchi che ricollegano le dimensioni produttive e quelle relazionali.
Nella mentorship non sono in gioco le sole professionalità, ma si incontrano le dimensioni personali, si sviluppano relazioni e contatti tra colleghi, si tesse la dimensione sociale, gruppale e collettiva del far parte di un’organizzazione (Lévy, 2005). L’introduzione di forme di scambio e di potenziamento professionale, che si servono dell’interazione tra mentore e mentee, sviluppa la dimensione della colleganza professionale rafforzando anche la sfera di informalità che rende lo scambio più profondo, autentico ed efficace.
La sperimentazione stessa di forme di mentorship è una tessitura progressiva aperta. Qualche volta la tela va portata avanti e qualche volta si procede non solo in modo accrescitivo, ma anche adattivo: fare, disfare e riprendere è esso stesso un processo trasformativo, come quel tessere conoscenze e competenze anche utilizzando – valorizzando e osservando criticamente – fili già utilizzati. E ogni tessitura non solo beneficia di un disegno (almeno di massima), ma anche di un momento dove l’opera che va producendosi viene considerata nel suo sviluppo. Un aspetto di questo tessere è anche ciò che un progetto volto a proporre, prospettare, sperimentare, introdurre forme di mentorship, produce.
Mentorship in una tela più ampia
Come possiamo rappresentare il valore, le opportunità concrete, che l’introduzione di forme di mentorship può portare nelle organizzazioni – le nostre “tele più ampie”? Ci sembra di poter osservare che specifiche forme strutturate di mentorship costituiscono spunti per promuovere innovazioni morbide nelle pubbliche amministrazioni, forme di cambiamento dialoganti, di adattamenti evolutivi e contingenti, approcci più lievi per indurre trasformazioni. E ciò perché non viene prevista una pressione verso un disegno predefinito, ma al contrario è richiesto a molti di essere attivatori di condivisioni professionali, promotori di scambi di pratiche.
Attraverso l’introduzione di mentorship strutturate viene promossa un’innovazione che crea movimenti che hanno solide linee di fondo, in cui le conoscenze tacite trovano spazio per essere espresse, e al tempo stesso promuovono la messa in circolo di conoscenze altrimenti confinate e non valorizzate. La sperimentazione di percorsi mentorship introduce schemi di azione strutturati verso innovazioni sostenibili nelle pubbliche amministrazioni e nelle organizzazioni, anche private. Attivare processi di mentorship apre la possibilità di andare incontro a trasformazioni che le organizzazioni possono accogliere e promuovere.
Attivare forme di mentorship strutturate – abbiamo avuto modo di osservarlo anche nel progetto che teniamo a riferimento in questo contributo – non solo mira ad una evoluzione nelle relazioni fra colleghi, attivando forme cooperazione in ingresso, ma induce a considerare altre forme di connessione organizzativa meno formalizzate che chiamano in causa l’impegno professionale individuale e dei gruppi di lavoro. Pensiamo in particolare alle possibilità di consolidamento di processi di mentorship che si aprono attivando comunità di pratiche in tema di ingressi, mobilità e avvicendamenti, comunità che tengano il focus sulla continuità operativa, sulla capacità delle organizzazioni di mettere a valore le competenze interne e metterle in circolo, svilupparle. Comunità di pratica che rispondono in modo adattivo all’esigenza di aggiornamento, di mantenimento e di cambiamento interni e di contesto, a fronte di fisiologiche mobilità interne, uscite e ingressi prendendosi così anche cura degli avvicendamenti.
Intrecci prospettici
Riconsiderando il confronto che ha animato la scrittura collettiva, il progetto che le ha sostenute (che ha coinvolto un ente pubblico) e le riflessioni che abbiamo sviluppato, notiamo la presenza dei diversi interlocutori con i quali abbiamo lavorato e che sono stati tessitori essi stessi.
In primo luogo le persone che hanno partecipato agli incontri di formazione che, con le loro interazioni, domande, difficoltà, osservazioni critiche e disponibilità, hanno alimentato lo sviluppo del percorso formativo. In questa veste le persone hanno sollecitato e sostenuto, in più occasioni, una sintesi, la messa a terra di un senso individuale e collettivo, hanno proposto traduzioni e contestualizzazioni nel proprio linguaggio organizzativo, che ricomponessero concetti, esperienze, spunti, presentati negli incontri in un testo di riferimento da riprendere e utilizzare per pensare e per agire.
Le figure che ricoprono ruoli di responsabilità apicali nell’organizzazione committente, che hanno il compito di coordinare e di dirigere, di tutelare gli obiettivi e gli scopi, ma che sempre più si trovano nella necessità di promuovere cambiamenti operativi e strategici, possono trovare spunti per guidare e valutare innovazioni non dispersive, per immaginare trasformazioni evolutive. Chi ha prefigurato l’utilità della proposta formativa e ne ha promosso la sperimentazione, ha messo in campo anche una certa dose di coraggio. Ci auguriamo possa trovare in queste note elementi di resoconto per considerare gli esiti di un percorso e per trarne elementi da utilizzare in nuove progettazioni che mettano a tema la condivisione delle competenze nelle organizzazioni avendo come obiettivo la diffusione veloce ed estesa di pratiche capaci di dare risposte alle domande che la società e le comunità locali esprimono.
E pensando alle molte organizzazioni alla ricerca di modalità capaci di valorizzare le competenze interne e renderle disponibili, ci sembra di vedere nella mentorship un dispositivo utile ad alimentare culture operative capaci di mettere a valore saperi e conoscenze e di promuovere responsabilità diffusa, riconoscendo le potenzialità che vengono dall’autonomia più che dal controllo, dalla tessitura piuttosto che dall’ortopedia.
La mentorship, in questa lettura generativa che abbiamo inteso sostenere, può diventare fattore strategico evolutivo in una direzione meno gerarchica e più dialogante sia al suo interno che, in un contesto più permeabile e aperto, anche e soprattutto con i propri clienti/utenti/cittadini.
Riferimenti
- AA.VV. (2005), Dizionario di Psicosociologia, voce “Organizzazione” di André Lévy, Cortina.
- Corneli, C. J. Danoff, C. Pierce, P. Ricaurte, and L. Snow MacDonald, eds. The Peeragogy Handbook. 3rd ed. Chicago, IL./Somerville, MA.: PubDomEd/Pierce Press, 2016.
- Laloux F. (2016), Reinventare le organizzazioni. Come creare organizzazioni ispirate al prossimo stadio della consapevolezza umana, Guerini Next.
- Prolman F. (2021), Mentoring Matters, ECIS, 31 March 2021.
- Schein E. H. (2010), Le forme dell’aiuto. Come costruire e sostenere relazioni efficaci, Cortina.
- Schein E. H. (2014), L’arte di fare domande. Quando ascoltare è meglio che parlare, Guerini e Associati.
- Thorén M.P. (2019), Agile People. Un approccio radicale per HR & manager (che crea dipendenti motivati), Guerini Next.
- Wenger E. (1998), Communities of Practice: Learning, Meaning, and Identity, New York, Cambridge University Press.
Questo contributo è parte del Focus tematico Collaborare e partecipare, che presenta idee, esperienze e proposte per riflettere sui temi della collaborazione e della partecipazione per facilitare cooperazione e coinvolgimento. Curato da Pares, il Focus è aperto a policy maker, community maker, agenti di sviluppo, imprenditori, attivisti e consulenti che vogliono condividere strumenti e apprendimenti, a partire da casi concreti. Qui sono consultabili tutti i contenuti del Focus.