Percorsi di secondo welfare, insieme a Fondazione Monte dei Paschi di Siena, sta realizzando un ciclo di incontri laboratoriali rivolti agli stakeholder del territorio senese interessati al welfare aziendale territoriale. Durante questi incontri, che si propongono di accrescere la consapevolezza degli attori locali circa opportunità e rischi derivanti dal welfare di matrice occupazionale, sono presentate alcune esperienze interessanti che evidenziano come le reti e le azioni collaborative facilitino la diffusione del welfare tra le imprese e i dipendenti.
Tra i casi portati ad esempio c’è quello del distretto della concia di Arzignano, in provincia di Vicenza, dove dal 2017 le parti sociali del comparto conciario veneto hanno stipulato un accordo valido per gli oltre 13.000 addetti delle 190 aziende del territorio che si occupano di attività conciarie. Tale intesa prevede un premio welfare annuale per ogni lavoratore.
Il distretto per l’industria della concia di Arzignano
Come ha raccontato Alberto Selmo, responsabile di Femca Cisl Vicenza, il settore della concia di Arzignano è caratterizzato da una lunga storia di confronto e – talvolta – di conflittualità tra le parti sociali. Proprio in questo contesto, tra la fine degli anni ‘70 e l’inizio degli anni ‘80 nacque un forte movimento sindacale che chiedeva alle aziende di intervenire per creare migliori condizioni lavorative. Con il passare degli anni, sindacati e organizzazioni datoriali iniziarono a dialogare e stipularono accordi in questa direzione.
Questo percorso è sfociato, nel settembre del 2017, in un’intesa tra le parti sociali che ha introdotto un premio annuale pari a 1.200 euro da spendere in welfare aziendale o buoni pasto per ogni lavoratore assunto almeno da 12 mesi. Secondo Selmo, “si è trattato di un accordo molto importante perché mette insieme imprese molto diverse tra loro. Ci sono i grandi gruppi, con più di 800 dipendenti, e altre imprese strutturate e capaci di far fronte all’intero ciclo di conceria, ma ci sono anche terzisti che svolgono poche lavorazioni per committenti e aziende che si occupano solo del lato commerciale. Tutte queste organizzazioni insieme realizzano circa il 50% della produzione conciaria nazionale”.
“Purtroppo”, ha sottolineato Selmo, “non tutte le aziende hanno messo a disposizione dei propri collaboratori una piattaforma per spendere il premio in beni e servizi di welfare. Molte hanno optato per distribuire queste risorse tramite buoni pasto. Circa la metà delle aziende che ha deciso di destinare questo premio al welfare per i dipendenti sono realtà che che hanno più di 300 addetti; il 30% ne ha invece tra 50 e 100; solo il restante 20% meno di 50 dipendenti”.
Gli impatti del welfare per i lavoratori
Nel corso dei primi 4 anni di validità dell’accordo territoriale le organizzazioni che hanno scelto di investire nel welfare hanno iniziato a percepirne i primi benefici. Il primo è stato il progressivo incremento degli aderenti alla previdenza complementare: si tratta di un tema non scontato, soprattutto per i lavoratori più giovani.
Le novità più rilevanti si sono però viste nel corso dell’ultimo anno, a seguito della pandemia di Covid-19. Secondo i dati forniti da Selmo, nel 2020 circa il 60% di chi ne ha avuto la possibilità ha utilizzato almeno una volta il proprio premio welfare per acquistare o chiedere il rimborso di una prestazione medica; inoltre circa il 72% dei dipendenti che hanno accesso alla piattaforma ha richiesto una consultazione medica a distanza o di telemedicina.
Negli ultimi mesi in molti hanno poi utilizzato il budget welfare per accedere a servizi di assistenza psicologica, per rimborsare le rette degli asili nido, le spese legate all’istruzione dei figli e quelle per servizi di assistenza domiciliare destinati a familiari anziani o non autosufficienti.
I distretti industriali e le opportunità per il welfare aziendale
Come spesso evidenziamo, tra le criticità del welfare aziendale vi è il fatto che molte micro e piccole imprese hanno difficoltà a prevedere misure integrative per i propri collaboratori a causa di limiti economici e di altre risorse (temporali, organizzative, ecc.), come vi raccontavamo, ad esempio, qui, qui e qui. Per questo la nascita e lo sviluppo di reti e formule collaborative tra attori che operano a livello locale, in primis tra le aziende stesse, sono fondamentali per lo sviluppo di forme di welfare aziendale, anche a “trazione territoriale”.
In questa direzione un’opportunità può arrivare proprio dai distretti industriali. Come sottolineato da una vasta letteratura dedicata a questo tema (in merito ricordiamo i lavori di Giacomo Becattini e di Manuel Castells), i distretti hanno infatti enormi capacità economiche, organizzative e di innovazione. Grazie alla presenza di peculiarità sociali, storiche e ambientali, queste organizzazioni sociali facilitano l’elaborazione e la trasmissione delle informazioni.
Il loro punto di forza sta nella capacità di divenire delle vere e proprie reti territoriali, in grado di coinvolgere non solo le imprese e le parti sociali, ma anche gli altri stakeholder locali. Ciò può essere rafforzato e istituzionalizzato grazie alla contrattazione: come visto nel caso vicentino, i sindacati e le associazioni datoriali del territorio possono infatti ideare accordi finalizzati a innovare i rapporti lavorativi e capaci di incrementare il benessere dei lavoratori e lo sviluppo economico.
#FilieraCorta
Questo è articolo è parte del ciclo Storie di welfare aziendale “a filiera corta”, realizzato da Percorsi di secondo welfare con la collaborazione della Fondazione Monte dei Paschi di Siena.