Con l’aggravarsi della crisi economica sono molte le esperienze, soprattutto nel mondo del volontariato, che cercano di affrontare il problema della povertà e dell’esclusione sociale. Tra queste c’è anche l’Emporio di Parma, che dal 2010 cerca di assistere le persone in difficoltà economica e sociale con modalità per molti aspetti innovative. Abbiamo incontrato Sandro Coccoi, coordinatore del progetto Lotta alla povertà di Forum Solidarietà di Parma e Giacomo Vezzani, vicepresidente dell’associazione CentoperUno Onlus, che si occupa della gestione dell’Emporio.
Come e perché nasce Emporio? Quali sono stati i soggetti promotori?
Il progetto nasce nel 2009 grazie all’input di un bando regionale del Co.Ge Emilia Romagna e della Fondazione Cariparma. Il bando per la lotta alla povertà era articolato in quattro parti: alimentazione, relazioni, lavoro, casa. Ventiquattro associazioni del nostro territorio si sono unite con l’obiettivo di istituire un emporio, sul modello di quello già esistente a Prato – quest’ultimo però sviluppato in ambito Caritas. Dopo un anno di lavoro, quindici di loro si sono consorziate in un’unica associazione di rete, CentoperUno Onlus, dando vita a Emporio. L’obiettivo è di contrastare le povertà vecchie e nuove (noi identifichiamo i “nuovi poveri” soprattutto come coloro che si ritrovano poveri per la prima volta) in sinergia con le realtà del pubblico e del privato.
Com’è finanziato Emporio?
All’inizio il progetto ha visto un importante contributo da parte del Comitato di Gestione dei fondi per il Volontariato, utilizzato soprattutto per sostenere lo start up. Attualmente (bilancio 2012) i finanziamenti principali provengono dalla Fondazione Cariparma, che già nel 2010 scelse di donare il premio San Giovanni (premio per il volontariato) alle associazioni che si occupavano di povertà – dandoci così una prima importante spinta per l’avvio di Emporio – e ha poi continuato ad investire un proprio capitolo di spesa sul tema delle povertà, finanziandoci fino a tutto il 2013. Il suo contributo attualmente pesa per il 46%, gli enti pubblici (Provincia e Comune di Parma) finanziano circa il 17%, la Coop Consumatori Nord Est finanzia circa l’8% (negli anni precedenti il finanziamento è stato di molto superiore) attraverso fondi raccolti con i punti spesa donati dai soci e continua a supportarci principalmente con la fornitura di prodotti freschi attraverso il progetto Social Market. A questi contributi si aggiungono quelli delle aziende donatrici e dei donatori privati che sostengono per ben il 29% le attività del progetto.
Chi sono le famiglie che si rivolgono a Emporio?
Emporio aiuta oggi 700 famiglie, cioè circa 2.500 persone. Di queste, il 70%-75% sono stranieri ma, attenzione, parliamo di stranieri che vivono qui in media da 13 anni (a volte addirittura da 25-30 anni), che hanno figli nati e cresciuti in Italia. Si tratta di persone che erano ben inserite nel nostro tessuto sociale e produttivo. Molti erano riusciti, infatti, a raggiungere un discreto benessere e buone posizioni lavorative, che però hanno perso con l’arrivo della crisi economica.
Gli Italiani sono invece soprattutto anziani o persone singole, quasi sempre già note ai servizi sociali, che hanno alle spalle lunghi percorsi di sofferenza e quindi caratterizzate da “povertà storiche”. Tra loro infatti la percentuale di “nuovi poveri” che si rivolgono a noi è più ridotta. Questo perché gli italiani hanno generalmente una rete di sostegno più piccola, ma molto forte, quella della famiglia, e prima di arrivare a Emporio esitano molto, poiché provano ancora un certo sentimento di vergogna. Gli extracomunitari, invece, hanno una rete più ampia (sono in contatto tra loro), ma molto più debole (non hanno famiglie alle spalle o risparmi su cui contare).
Come avviene la selezione dei beneficiari? Ritenete che l’ISEE sia uno strumento efficace?
Cerchiamo di raccogliere dati in grado di fotografare al meglio e il più oggettivamente possibile la povertà delle persone. Oltre alla presentazione dell’ISEE, ai richiedenti viene proposto un colloquio di accoglienza che permette ai volontari di compilare un questionario di indagine complesso che si articola in diversi elementi (durata disoccupazione, nucleo familiare, aiuti di altri enti, ecc.) ai quali viene assegnato un valore per favorire le famiglie più numerose. Questi dati vengono inseriti in un database ed elaborati così da produrre una graduatoria. È possibile assegnare un “codice rosso” quando sopraggiungono gravi problemi di salute, casi di violenza, pluriennale attesa di nuclei molto piccoli (poiché di solito si dà precedenza ai nuclei più numerosi).
L’ISEE è uno strumento ormai inefficace, in quanto non tiene conto di importanti fattori quali ad esempio la disoccupazione – che viene registrata, ma senza che sia ad essa assegnato un valore numerico – che invece qui ha un peso molto alto (punteggio progressivo da disoccupazione recente a lunga durata). Avevamo il Quoziente Parma, che è stato abolito per gli alti costi amministrativi, ma che di fatto qui si continua ad applicare perché è migliorativo. Anzi, possiamo dire di applicare un “quoziente Emporio”, che prevede i criteri aggiuntivi prima descritti.
Come si articola l’attività di Emporio?
Emporio si articola lungo tre settori di attività: market solidale, sportello di orientamento e informazione, sviluppo di comunità.
Abbiamo quindi un mercato dove gli utenti acquistano prodotti grazie ad una tessera caricata con un ammontare di punti proporzionato al numero di componenti del nucleo familiare (non ci sono prezzi, ma punti). La possibilità di fare la spesa come in un vero supermercato restituisce dignità ai beneficiari, che in questo modo si sentono persone “più normali” e dà loro l’autonomia di acquistare i prodotti in base alle reali necessità, aspetto che lo rende uno strumento più efficace rispetto alla distribuzione di alimenti una tantum. Il rifornimento dei prodotti viene fatto attraverso le associazioni addette al recupero e alla raccolta dei generi alimentari, l’AGEA e le aziende donatrici. Cerchiamo di essere molto trasparenti verso l’esterno e verso le aziende donatrici: siamo sempre in grado di tracciare il percorso di destinazione delle nostre merci, sia quando vengono acquistate dalle famiglie che quando ridistribuiamo le nostre eccedenze ad altri enti, come la Caritas o l’emporio di Prato. Così facendo acquisiamo maggiore credibilità e, di conseguenza, sostegno.
Grazie al nostro sportello, indirizziamo gli utenti ai servizi esistenti sul territorio, che spesso non conoscono, ma diamo loro anche un’occasione per raccontarsi e metabolizzare il disagio. C’è uno stretto legame povertà-salute e povertà-violenza, e quindi è importante fornire anche un sostegno socio-sanitario.
Cerchiamo, infine, di sviluppare la comunità, l’inclusione sociale. Anche la povertà delle relazioni è molto grave. Le famiglie ci dicono che Emporio è stato utile perché, ancora prima che dare loro cibo, ha restituito loro la dignità e le ha fatte inserire meglio nella comunità in cui vivevano. Per questo organizziamo anche momenti aggregativi, corsi di lingua, ecc.
Avete previsto anche dei percorsi di reinserimento lavorativo?
Ci stiamo lavorando. Dall’autunno è iniziata una nuova sperimentazione per riattivare le famiglie al lavoro. Si tratta di selezionare quelle che hanno una propensione maggiore (in sostanza quelle che non hanno problemi cronici ma sono “congelate” dalla crisi), offrendo formazione specifica, orientamento e sostegno per attivare piccole imprese, grazie anche al progetto di microcredito di Parma.
Un’idea è di costituire un’impresa multi-service di 8-10 persone che si occupino di mansioni come idraulica, riparazioni, dove Emporio farà da “mediatore” tra domanda e offerta. Organizzeremo, inoltre, un corso di sartoria con una cooperativa sociale che ha già macchinari e contatti con diversi negozi. Abbiamo il vantaggio che rispetto ai centri per l’impiego conosciamo già i soggetti e possiamo lavorare sulle relazioni, sia con gli utenti che con le imprese.
Ci sono anche pochi, ma molto significativi, casi di beneficiari assunti da aziende donatrici di Emporio. Stiamo pensando di coinvolgere le imprese anche in questa direzione, quindi è importante essere trasparenti e mantenere dei buoni contatti. Se l’azienda ha fiducia, si fidelizza, è una risorsa importante.
Ma a volte è lo stesso Emporio a diventare un luogo di reinserimento. Collaboriamo infatti col Tribunale dei Minori, che ci manda adolescenti con pendenze giudiziarie, accogliamo borse lavoro, c’è una persona agli arresti domiciliari. Attraverso il lavoro che svolgono qui imparano ad assumersi delle responsabilità, a gestire il tempo e le mansioni lavorative quotidiane e, un domani, potranno anche essere garantiti da noi. Ci sono, infine, le tirocinanti dell’Università di Parma, corso di laurea in Scienze sociali.
In quali altri modi cercate di “riattivare” le persone che si rivolgono a voi? Avete previsto dei contro-doveri?
Si cerca di superare una logica assistenziale spronando le persone a attivarsi e aiutandole a diventare autonome. Innanzitutto l’aiuto è temporaneo, ha durata di un anno e il rinnovo viene consentito solo in casi di estremo bisogno. Chiediamo inoltre l’iscrizione ai CPI, la frequenza di corsi di formazione, perché non vogliamo che la persona sia passivamente in stato di disoccupazione. Non chiediamo, però, loro di “ricambiare” il nostro aiuto lavorando in Emporio, in quanto si rischia che, lavorando qui, si sentano in diritto di pretendere di più.
Cerchiamo anche di educare al consumo, facendo “pagare più punti” per i beni meno utili.
Quali meccanismi impiegate per verificare lo stato reale di bisogno ed evitare comportamenti opportunistici?
Al momento della richiesta di aiuto cerchiamo di verificare al meglio le risorse di cui dispongono (o che mancano) i richiedenti. In seguito cerchiamo di monitorare il più possibile i comportamenti e le condizioni economiche dei beneficiari guardando, ad esempio, come si vestono e quando ci sono delle incongruenze si indaga. Inoltre tra loro si conoscono e ci comunicano se qualcuno ha un’altra fonte di reddito. Ma sono segnalazioni che rientrano quasi sempre. Tra l’altro pensiamo che non sia giusto, quando qualcuno trova un lavoro, revocare l’aiuto immediatamente. Preferiamo che le persone si rimettano in pista e raggiungano un minimo di sicurezza piuttosto che rischino di ritrovarsi presto nella situazione precedente. In generale comunque la percentuale di chi dichiara condizioni false è davvero bassa (15 su circa 700).
Quali pensate siano gli aspetti virtuosi di questa iniziativa?
Emporio è un’esperienza nuova, e come tale non è condizionata dal passato, è libera di sperimentare percorsi diversi, senza filtri dall’alto. Il valore del volontariato laico risiede nel fatto che è molto democratico, cioè favorisce il coinvolgimento di soggetti che possono provenire da qualsiasi ambiente. I nostri volontari vanno dai 16 agli 85 anni e hanno caratteristiche molto eterogenee. Siamo stati in grado di smuovere nuove risorse: tra i volontari, che sono circa 50, sono pochi quelli provenienti dalle associazioni fondatrici, gli altri sono quasi tutti “nuovi”.
Emporio fa parte anche di Spazio Comune e rientrerà anche tra i Community Lab dell’Emilia Romagna, che ricercano esperienze innovative di welfare.
Quali sono invece le difficoltà che avete incontrato?
Spesso facciamo fatica ad essere ascoltati e coinvolti. Emporio non è sempre visto come un’esperienza da accogliere e sostenere, soprattutto perché è laico e forse mette in ombra le organizzazioni che tradizionalmente si occupano di questi problemi, in particolare quelle religiose. Il sostegno alle povertà c’è da decenni e il modello dominante è quello Caritas, lodevole per molti aspetti, ma non più sufficiente per dare una risposta efficace ad una povertà e società che cambiano: oggi è necessario innovarsi, confrontarsi. Invece non siamo ancora riusciti a fare un tavolo comune, un “tavolo della fame”. Ci sono collaborazioni, per esempio ci scambiamo eventuali eccedenze, però non c’è una vera partnership. Questo disperde le energie, soprattutto in una realtà relativamente piccola. Passi in avanti sono stati fatti, ma se dovessimo darci un voto ancora non raggiungeremmo la sufficienza.
Emporio può essere per certi spetti sussidiario al welfare, per questo ha da subito cercato la collaborazione con i servizi sociali, ma anche qui il rapporto non è sempre facile e dipende troppo dagli interlocutori che ci troviamo di fronte. A volte ci considerano solo come un “pronto intervento” per indigenti e non hanno con noi dei rapporti strutturati. Consideriamo tra l’altro il momento che sta attraversando la città: il welfare in questo momento è schiacciato dal debito pubblico locale e dalle poche risorse trasferite dallo Stato centrale; anche l’avvicendamento degli amministratori non ha aiutato. Dobbiamo invece imparare a ricollegarci e non solo per risolvere i problemi, ma anche per progettare insieme. L’Emilia Romagna ha servizi sociali molto capaci e generosi, anche in termini economici, ma abituati a gestire da soli le difficoltà delle persone. Ora è necessario lavorare in rete, proprio perché le risorse sono scarse.
C’è poi un problema burocratico, legato alla privacy, che ci impedisce l’accesso ai dati riguardanti i richiedenti, che per noi sarebbero importanti per capire chi è già assistito e in che misura.
Passi avanti si stanno comunque facendo: ad esempio a marzo verrà creato un database locale – speriamo su scala provinciale – che metterà a sistema le informazioni sugli utenti di Caritas, Emporio ed altri soggetti del territorio, evidenziando così eventuali sovrapposizioni per favorire un aiuto più efficace, oltre che la razionalizzazione della spesa.
Quali sono le prospettive di Emporio? Pensate che, anche se supereremo la crisi, questa esperienza potrà continuare?
In due anni è mezzo Emporio è cresciuto molto ed è andato a riempire una nicchia vuota: il 40% dei nostri utenti infatti non è conosciuto dai servizi sociali. Si tratta quindi di soggetti che non hanno altro aiuto al di fuori del nostro. Anche il contesto socio-economico si è molto aggravato, qui meno che in Italia, ma il 2-3% della popolazione sono sempre 4-6 mila persone. Abbiamo altre 500 famiglie in attesa, di cui alcune con un ISEE pari a 1.800-2.000 euro, a volte a zero. Da chi non arriva a fine mese siamo passati a chi il mese neanche riesce a cominciarlo. Ma la crisi ha reso il nostro lavoro più difficile non solo perché ha aumentato il numero di bisognosi, ma anche perché ci sta togliendo risorse. Ha colpito infatti anche le nostre aziende donatrici storiche, che non sono più in grado di garantirci la fornitura costante dei prodotti – nonostante ci troviamo nella “Food Valley”. Anche l’Unione Europea pare che taglierà per il 2014 i fondi per l’AGEA. Se prima avevamo aziende e istituzioni solide che ci garantivano (ricordiamo che Emporio è finanziato anche da enti pubblici e da Fondazione Cariparma), adesso il futuro è più incerto.
In questo quadro bisogna ripensare al progetto con modalità nuove. Il futuro passa quindi soprattutto per il radicamento sul territorio, per il coinvolgimento delle comunità e degli individui. Servono attori nuovi, approcci diversi che possano rendere Emporio autonomo. Per esempio il 40% dei Parmigiani che sta ancora bene potrebbe “adottare” il 3-4% di chi vive in sofferenza (sono già attive sul sito di Emporio le iniziative “Adotta una famiglia” e “Compra una spesa online”). A questo scopo c’è bisogno di più visibilità e informazione, per mostrare alla gente i disagi e le povertà che ancora non hanno visto e far conoscere loro le nostre iniziative, far capire come lavoriamo, cosicché decidano di partecipare e sostenerci.
Riferimenti
I nostri approfondimenti sui temi della povertà e dell’esclusione sociale
Il Banco Alimentare: "Condividere i bisogni per condividere il senso della vita"
Il Trapezio: vulnerabilità e progetti di autonomia