L’Ashoka Fellow Sara Horowitz, come scrive nel suo recente saggio “Mutualism: Building the Next Economy from the Ground Up”, non è l’unica Sara Horowitz nella sua famiglia. La prima Sara arrivò, con il figlio tredicenne Israel, negli Stati Uniti ad inizio ‘900 da una zona rurale al confine tra Russia e Polonia. La prima Sara trovò occupazione nel settore tessile, mentre Israel, nonno della seconda Sara, divenne un leader sindacale dell’International Ladies Garment Workers Union. L’ILGWU rappresentava i lavoratori e le lavoratrici del tessile, giocando un ruolo fondamentale nelle lotte sindacali tra gli anni ‘20 e gli anni ‘30. In un primo momento, ILGWU raccoglieva le istanze della manodopera migrante, soprattutto ebrei dell’Europa orientale ed italiani. L’antifascista Luigi Antonini fu una figura chiave dell’ILGWU, prima scrivendo sulle pagine del periodico “L’Operaia”, che si rivolgeva alle migranti italiane con lo scopo di sindacalizzarle e, poi, come editore della rivista del sindacato “Giustizia”. A partire dagli anni ‘20, l’ILGWU iniziò a promuovere la partecipazione delle donne afroamericane. E fu in qui che la lavoratrice tessile Floria Pinkney divenne la prima donna afroamericana ha rivestire un ruolo apicale in un sindacato.
La seconda Sara, pur non avendo conosciuto il nonno Israel, è cresciuta nello spazio accogliente dell’ILGWU, una rete di protezione tessuta per accompagnare le lavoratrici ed i lavoratori lungo la vita. Quest’esperienza di mutualismo familiare è stata fondamentale nella scelta della seconda Sara di dar vita nel 1995 a Freelancers Union, un’organizzazione nata per offrire ai freelance, non rappresentati dalle organizzazioni sindacali, protezione nel tempo dell’incertezza. I lavoratori freelance sono circa 57 milioni negli Stati Uniti, oltre 30 milioni in Europa e 4,6 milioni in Italia. Oggi, Freelancers Union riunisce oltre 500 mila associati, che attraverso i servizi offerti accedono all’assicurazione sanitaria, alle cure dentistiche, alla protezione dei propri cari.
La seconda Sara, come detto, ha scritto recentemente il saggio “Mutualism“, individuando tre dimensioni che caratterizzano l’esperienza del mutualismo:
- un finalità sociale che risponde ad un bisogno/problema;
- un meccanismo economico che garantisce la sostenibilità finanziaria;
- una prospettiva di lungo periodo, in grado di ricomprendere una dimensione intergenerazionale
Nel rispondere ad un bisogno/problema, il mutualismo si configura come una comunità di interesse, originata da rapporti di natura fiduciaria. Riprendendo la distinzione di Putnam tra capitale sociale inclusivo – bridging – e capitale sociale esclusivo – bonding –, Horowitz sostiene che il mutualismo dovrebbe ancorarsi all’approccio del bridging.
In merito alla dimensione finanziaria, le organizzazioni mutualistiche debbono creare valore in misura maggiore delle spese da sostenere. Secondo Horowitz non è necessario immaginare soluzioni ambiziose o innovative, bensì avere un meccanismo ben oliato. Freelancers Union, ad esempio, ottiene i suoi ricavi attraverso la vendita dei prodotti assicurativi agli associati, con una modalità non dissimile da quelle dei broker. L’efficacia del sistema dei ricavi garantisce sia la sostenibilità dell’organizzazione che la sua indipendenza. Infine, le organizzazioni mutualistiche debbono assumere un sguardo profondo, programmare non su base annuale bensì generazionale. Passare, quindi, dalla solitudine della leadership carismatica, che lega il proprio destino all’organizzazione, ad una visione di leadership diffusa in grado di mobilitare ed ingaggiare le diverse istanze organizzative in una storia collettiva.
Al fine di garantire la “longue durée” dell’intrapresa mutualistica, l’accesso alla finanza risulta essere un fattore critico. Le organizzazioni mutualistiche, anche alla luce dell’esperienza di Freelancers Union, necessitano di capitale paziente, eppure Horowitz sostiene che l’offerta di questa forma di supporto finanziario sia molto limitata. In tal senso, le organizzazioni utilizzano in via prevalente l’autofinanziamento, attingendo agli avanzi di gestione, oppure attraverso il ricorso al credito, spesso finalizzato all’acquisto di beni immobili. In una certa misura, esiste una tensione evidente tra le aspettative dell’investitore e gli obiettivi di lungo periodo dell’organizzazione mutualistica. Nel 2017, Freelancers Union decise di sviluppare una piattaforma tecnologica: Trupo. Sara assunse il ruolo di CEO della neonata startup ed iniziò ad interloquire con degli investitori ad impatto.
Il risultato non fu soddisfacente: gli investitori ad impatto, interessati a dimostrare la possibilità di ottenere rendimenti paragonabili al venture capital investendo in imprese con una missione sociale, sono focalizzati sulla massimizzazione dei rendimenti nel breve periodo. Le stesse B Corporation, pur enfatizzando il benessere organizzativo, la mitigazione delle esternalità ed il rapporto con i portatori di interesse si centrano sulla creazione di valore. Sebbene svolgano un ruolo prezioso, prosegue Horowitz, non possiedono la capacità trasformativa delle organizzazioni mutualistiche radicate nelle comunità. Abbiamo bisogno di scelte coraggiose, non è sufficiente destinare pochi decimali degli asset investiti provenienti dal risparmio previdenziale o assicurativo nelle comunità, quasi fosse un modesto lavacro per i peccati commessi. La sfida è alta: creare nuove piattaforme di scambio non estrattive, mercati che agiscano sulla risoluzione dei problemi/bisogni e non sulla massimizzazione dei profitti. In tal senso, risulta strategico creare filiere che possano incubare e accelerare i processi comunitari.
Echoing Green ed Ashoka, attraverso il supporto che offrono ai rispettivi fellows (sia di natura finanziaria che di capacity), rappresentano, secondo Horowitz, delle esperienze virtuose su cui modellizzare l’incubazione/accelerazione dei talenti mutualistici. Di fronte ai poderosi cambiamenti sociali, tecnologici ed economici che ci rendono più fragili e fiaccano le nostre relazioni, la risposta dell’autrice è costruire mutualismo. Un’innovazione vecchia come l’uomo, partendo dal basso, dalla comprensione dei bisogni, connettendosi agli altri, creando occasioni di incontro. L’obiettivo di lungo periodo è scalare le organizzazioni, non in termini incrementali, ma dando vita ad ecosistemi mutualistici in grado di garantire benessere in una prospettiva intergenerazionale.
Chissà quale suggerimento darebbe la prima Sara alla seconda, forse di fare ciò che abbiamo sempre fatto: socializzare bisogni e risposte.