L’11 marzo si è tenuto il convegno, promosso dalla Città Metropolitana di Bologna “Il contrasto alla povertà dal livello nazionale al locale: sfide per la programmazione”. Nel corso dell’incontro è stato presentato il Report che analizza l’impatto delle misure di contrasto alla povertà implementate nel contesto emiliano-romagnolo prima e durante la pandemia da Covid-19.
All’evento hanno partecipato: Massimo Baldini, Andrea Barigazzi e Giovanni Gallo, ricercatori dell’Università di Modena-Reggio Emilia e curatori del Report; Cristiano Gori, docente dell’Università di Trento; Alessandro Martelli, docente dell’Unviersità di Bologna; Mariaraffaella Ferri, Vicensindaca della Città metropolitana di Bologna; Francesco Bertoni e Maria Chiara Patuelli, Funzionari della Città Metropolitana di Bologna; Giuliano Barigazzi, Presidente della Conferenza Territoriale Sociale e Sanitaria Metropolitana di Bologna; Elly Schlein, Vicepresidente e Assessora al contrasto alle disuguaglianze e transizione ecologica della Regione Emilia-Romagna; Laura Venturi, Dirigente Area Sviluppo Sociale della Città Metropolitana di Bologna.
Nel corso del convegno sono emerse riflessioni sui recenti sviluppi della povertà, sulle misure atte a contrastarle e sulle problematiche relative all’accesso ai servizi di inclusione sociale, guardando anche oltre le specificità proprie del contesto emiliano-romagnolo. Di seguito riportiamo alcune delle riflessioni fatte da Massimo Baldini, Giovanni Gallo, Cristiano Gori e Alessandro Martelli sulla situazione del nostro Paese a livello nazionale; per l’analisi della povertà e degli strumenti di contrasto in Emilia Romagna si rimanda invece ai materiali presentati, disponibili qui.
Il calo progressivo del reddito della classe medio-bassa
Fra il 2008 e il 2016, i dati EU-SILC mostrano che in Italia è in atto un trend negativo nelle variazioni percentuali dei redditi disponibili equivalenti che interessa tutte le fasce di reddito. All’interno di questo trend generale, la fascia di reddito bassa, con un calo del 40% del reddito disponibile, è stata la più colpita; segue, la fascia medio-bassa, il cui reddito disponibile ha subito un calo di circa il 10%. Quest’ultimo dato è in discontinuità rispetto alla Germania e la Francia, nelle quali la classe medio-bassa ha registrato un incremento dei redditi, rispettivamente fino all’8% e fino al 3% (Figura 1).
Figura 1. Variazione del reddito disponibile equivalente per decili, 2008-2016
La fascia di età più colpita è quella dai 40 ai 59 anni
I dati sulla composizione delle persone in grave povertà in Italia mostrano come, tra il 2004 e il 2016, la fascia di età più colpita in termini percenutali sia stata quella dai 40 ai 59 anni, con un aumento nel 2016 di circa il 10% rispetto al 2004 (Figura 2).
Figura 2 La composizione dell’insieme delle persone in grave povertà in Italia
Resta elevata la povertà relativa tra i minori
Seppur in leggero calo rispetto all’anno precedente, nel 2019 resta elevato il numero di minori 0-17 e di giovani 18-39 in condizioni di grave povertà, rispettivamente circa il 23% e il 28% nel 2015-2016 (Figura 3).
Figura 3. Incidenza della povertà di reddito tra le persone (linea fissa 60% del reddito mediano 200)
La povertà relativa è cresciuta in misura maggiore tra i minori, mentre è stata molto più contenuta tra gli over 65. L’evidente gap generazionale si aggiunge al divario tra minori italiani e stranieri: il tasso di povertà relativa è più alto di circa del 20% tra i giovani tra i 0-17 anni e in famiglie con persona di riferimento nata all’estero (Figura 4).
Figura 4. Tasso di povertà relativo
Il calo del risparmio delle famiglie
Fino alla crisi pandemica, le famiglie italiane hanno potuto mantenere stabile la condizione di benessere diminuendo i tassi di risparmio, in calo di circa 10 punti percentuali rispetto a metà anni ‘90 (dati OECD). Al calo dei tassi di risparmio è seguito il decremento dei tassi di natalità, con forti ripercussioni sull’assetto demografico del nostro paese. Il trend è inverso in Francia e Germania, dove i tassi di risparmio sono in lieve aumento e superano quelli italiani (Figura 5).
Figura 5. Tassi di risparmi delle famiglie (OECD data)
La pandemia da Covid-19 e il mercato occupazionale
La crisi economica causata dal Covid-19 ha causato un ulteriore incremento delle disuguaglianze e della povertà. Secondo Baldini, alcune categorie – tra cui i lavoratori del settore privato, i precari, gli occupati con contratto a termine, i lavoratori del sommerso, e gli occupati nel settore dei servizi alle persone – sono maggiormente penalizzate, rispetto, ad esempio, ai lavoratori della grande e media distribuzione, ai dipendenti pubblici, ai pensionati.
Se si guarda agli andamenti del mercato del lavoro, si evince come la pandemia abbia ulteriormente contribuito ad ampliare il divario generazionale. Il tasso di occupazione è infatti diminuito tra i giovani di età compresa fra i 15 e i 24 anni; è rimasto stabile per i giovani tra i 25 e i 34 anni, mentre ha registrato un lieve aumento per la fascia d’età 55-64 anni (Figura 6).
Figura 6. Indice numero occupati per età in Italia (dicembre 2019)
La povertà si acuisce, ma non cambia volto
Alla luce degli effetti distributivi della crisi economica legata all’emergenza sanitaria, Baldini ha chiuso il suo intervento descrivendo un quadro ancora più negativo (“piove sul bagnato”). I nuovi poveri sono coloro che, anche prima della crisi sanitaria, subivano una condizione di fragilità economica, lavorativa e sociale. In linea con ciò, Gori ha evidenziato che il profilo dei poveri non ha subito grandi variazioni rispetto alla crisi del 2008. La progressiva flessibilizzazione del mercato del lavoro ha contribuito all’aumento del numero di lavoratori atipici, precari e irregolari. Ne consegue che, il mercato del lavoro non protegge adeguatamente né sul versante dell’offerta (i lavoratori) nè sul versante della domanda (imprese). A conferma di ciò, il tasso di povertà tra le famiglie con persona di riferimento occupata è in forte aumento. Inoltre, l’incremento del tasso di povertà non è più un problema esclusivo del Mezzogiorno. Seppur l’indice di povertà nelle regioni meridionali resta comunque più alto, la crescita più significativa è al Nord. Si rimanda qui per le ultime stime ISTAT sui tassi di povertà.
Secondo Gori, in questa fase storica possiamo identificare due elementi di novità che caratterizzano la povertà: la rapidità della caduta e la persistenza in tale condizione. In altre parole, la caduta in povertà è più rapida e, allo stesso tempo, le probabilità di uscirne si sono progressivamente ridotte. Per queste ragioni, secondo Gori, l’intervento pubblico dovrà porsi come principale obiettivo la prevenzione della caduta.
Gli effetti delle misure di contrasto alla povertà: hanno funzionato? Le stime sui dati ISTAT
Baldini, Gallo e Barigazzi hanno poi presentato alcune simulazioni volte a misurare l’impatto delle principali politiche redistributive – Reddito di Cittadinanza e Reddito di Emergenza – implementate dal Governo prima e durante la crisi pandemica. Alla maggiore incidenza della povertà – relativa e assoluta – è corrisposta una maggiore concentrazione degli aiuti del governo a sostegno dei redditi, i quali hanno contribuito a prevenire o a superare la soglia di povertà per un discreto numero di persone. Gli esperti in questo senso hanno dichiarato che se nel 2020 la povertà relativa è aumentata solo di due punti percentuali, passando dal 21% al 23%, è proprio per la presenza di questo genere di interventi. Se non ci fossero stati la crescita, stimano, sarebbe stata di almeno 9 punti, arrivando al 30%.
Ripensare le politiche di contrasto alla povertà
Nonostante questo, sia Gori che Baldini hanno evidenziato la necessità di riformare il RdC per renderlo maggiormente inclusivo. In particolare, Gori ha individuato due funzioni principali delle politiche di contrasto alla povertà: promozione e protezione.
La protezione delinea l’insieme degli interventi a supporto dell’individuo e del mantenimento di una condizione di vita dignitosa e queste misure si traducono prevalentemente in trasferimenti monetari. La promozione, invece, riguarda il lavoro dei servizi sociali, necessario affinché – a discapito dei vincoli sociali – la traiettoria individuale di un soggetto in condizioni socioeconomiche vulnerabili possa cambiare positivamente; questo si traduce in servizi in-kind (non monetari) attraverso l’intervento sinergico degli enti territoriali. Tuttavia, la tensione tra promozione e protezione è esacerbata dalla pressione istituzionale dovuta allo stato emergenziale attuale. Tale per cui, se da una parte si percepisce la necessità di dover garantire il reddito disponibile al maggior numero di persone possibile, d’altra parte si teme di intaccare il lavoro realizzato dai servizi territoriali a supporto della promozione.
Includere gli esclusi: il ruolo dei servizi sociali territoriali
Secondo Gori sarà fondamentale costruire dei servizi accoglienti, adatti a un’utenza che, prima della pandemia, non prospettava il deterioramento delle proprie condizioni economiche.
La sfida dei servizi sociali sarà, dunque, quella di rafforzare le competenze volte a cogliere le peculiarità del passaggio da uno stato di “at-risk-of-poverty” ad uno di “poverty”. I servizi sociali dispongono delle competenze utili sia a realizzare interventi in linea con i bisogni dei cittadini, sia ad analizzare le necessità e i bisogni dell’utenza su base territoriale.
In particolare, l’assistente sociale ha un ruolo polivalente e dispone degli strumenti per individuare quella componente della popolazione esclusa dagli interventi nazionali e verso cui ci si deve rivolgere, attraverso l’implementazione di misure locali.
Tuttavia, anche a livello locale, è necessario che si raggiunga un punto di equilibrio tra l’erogazione di servizi in-kind (non mentari) e in-cash (monetari). Proprio tale bilanciamento riflette la tensione tra i servizi di supporto alla promozione e alla protezione dell’utente beneficiario. Con uno sguardo al futuro, Gori ha posto l’attenzione sui Progetti Utili alla Collettività come strumento utile per promuovere l’inclusione dei beneficiari. La crisi in atto è il momento per innescare il cambiamento.