Questo articolo è stato pubblicato sul sito di Rivista Impresa Sociale, parte del nostro network. Lo studio è stato realizzato nell’ambito del progetto “La finanza di impatto per una nuova generazione di imprenditorialità sociale” finanziato dal MIUR (SIF16_00073). Virginia Cecchini Manara ha ricevuto un contributo dalla Fondazione Caritro (bando 2017 per progetti di ricerca svolti da giovani ricercatori post-doc).


Introduzione

Il dibattito sulla finanza sociale in generale e sulla finanza d’impatto sociale in particolare si è sviluppato negli ultimi anni all’interno del mondo delle istituzioni finanziarie, dei policy makers e della comunità accademica. Gli Enti Terzo Settore, candidati a rappresentare il lato della domanda di questo tipo di finanza, hanno finora ricoperto un ruolo marginale in tale dibattito, dimostrando scarso interesse per il fenomeno, ovvero scarsa capacità di conoscerlo e comprenderlo. Le ragioni di questa assenza sono state lette attraverso diverse e contrastanti interpretazioni: carenza di know-how per affrontare strumenti finanziari complessi, avversione alle innovazioni, diffidenza verso strumenti tipicamente orientati al profitto, incapacità di costruire progetti investment ready o semplicemente disinteresse dovuto a scarsa esigenza di mezzi finanziari.

Questo studio nasce con l’obiettivo di dare voce alle imprese sociali per comprendere il loro punto di vista rispetto a strumenti finanziari innovativi che, nonostante un’ingente mobilitazione di capitali e alcune spinte politiche e legislative, nel nostro Paese stentano a decollare.

I risultati raccolti rappresentano le opinioni di un ristretto gruppo di enti produttivi del Terzo settore: circa il 40% delle cooperative sociali attive nella Provincia di Trento nel 2019, e costituiscono dunque solo un primo tentativo di esplorare le valutazioni degli operatori nei confronti della finanza sociale d’impatto. Riteniamo tuttavia interessante presentare i risultati di questa indagine per avviare una riflessione che tenga in considerazione le dinamiche interne delle organizzazioni su cui la finanza sociale e d’impatto intendono investire; una riflessione che consenta di esaminare il fenomeno in tutti i suoi aspetti, soprattutto per valutarne opportunità e rischi. Infatti, oltre alla questione delle esigenze di finanziamento degli Enti di Terzo Settore (e in particolare delle imprese sociali) e delle richieste dei potenziali finanziatori in termini di rendimento economico e di valutazione dell’impatto sociale, riteniamo doveroso interrogarsi sulla adeguatezza degli strumenti proposti alle realtà imprenditoriali del Terzo Settore, che sono caratterizzate da principi di governance condivisa, da vincoli nell’appropriazione dei profitti e da motivazioni ideali (o intrinseche) dei soggetti coinvolti, che ne garantiscono l’efficienza nella produzione di beni e servizi capaci di generare un impatto sociale positivo.

Siamo infatti convinti che il modo in cui il Terzo settore viene finanziato non sia neutrale rispetto agli incentivi e alle motivazioni degli stakeholder (in primis soci, manager, lavoratori e volontari). Nell’introdurre e disegnare strumenti finanziari occorre dunque tenere in considerazione le possibili ricadute in termini motivazionali e di partecipazione, per evitare il rischio di apportare capitali e flussi finanziari da un lato, distruggendo al contempo le ragioni di efficienza dell’economia sociale.

Per questo motivo, a parere di chi scrive, i risultati preliminari e sicuramente parziali raccolti in questa indagine possono essere utili per orientare il dibattito ed essere replicati su scala più ampia. Si tratta dunque di un primo passo volto a esplorare la conoscenza e la percezione degli effetti di questa “nuova” finanza da parte del lato della “domanda”, che finora si è dimostrata disinteressata o restia alla crescente offerta di strumenti finanziari innovativi, secondo alcuni a causa di una carenza di competenze che ne determina il basso livello di investment readiness (Tiresia Social Impact Outlook: Tiresia, 2018), secondo altri perché le imprese sociali non riscontrano problemi di carenza di mezzi finanziari (Borzaga, Fontanari, 2020; Lyons, Baldoch, 2014).

La nostra lettura propone una terza interpretazione: anche quando le imprese sociali sarebbero interessate ad ampliare il ventaglio di strumenti finanziari a loro disposizione, esse restano diffidenti perché intravvedono il rischio di alterare equilibri consolidati in termini di governance inclusiva e partecipativa, e di prevalenza degli obiettivi sociali rispetto alla generazione di profitti economici.

Di conseguenza, la difficoltà delle imprese sociali ad accedere a questi strumenti induce a riflettere non tanto sull’inadeguatezza strutturale delle imprese del Terzo settore, quanto sull’appropriatezza di un approccio “calato dall’alto”, in cui l’offerta finanziaria viene definita ex ante, e le imprese sociali devono adattarsi per rientrare nei parametri di finanziamento: è infatti evidente come, nonostante la disponibilità di diversi schemi e meccanismi finanziari, persista una scarsa comprensione del “tipo di capitale appropriato” per l’impresa sociale (Nicholls et al., 2015).

Nei prossimi paragrafi si analizzerà il ruolo degli strumenti di finanza ad impatto sociale all’interno del Terzo settore, cercando di metterne in luce anche i limiti, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti motivazionali degli operatori coinvolti; verranno poi descritte la metodologia di ricerca empirica e il campione; infine si presentano i risultati dell’indagine e le conclusioni.

Strumenti finanziari per l’impresa sociale e il Terzo Settore

Il Terzo Settore in Italia è in una costante fase espansiva (350.492 organizzazioni che impiegano 844.775 dipendenti e oltre 5,5 milioni di volontari; rispetto al 2016 il loro numero è cresciuto del 2,1% e i dipendenti del 3,9 %), con le cooperative sociali che rappresentano un sottoinsieme pari al 4,5% delle unità operative e il 52,6% della variabile occupazionale (ISTAT, 2019).

Gli strumenti finanziari che il Terzo settore ha oggi a disposizione sono numerosi e variegati1, sia per l’introduzione di schemi provenienti da esperienze di Paesi anglosassoni, sia per le novità introdotte dalla Riforma del 2016, in cui il legislatore italiano ha ampliato lo spettro degli strumenti di credito utilizzabili dagli Enti del Terzo Settore, fornendo strumenti innovativi alternativi che vanno ad affiancarsi alle forme di credito tradizionali, dando formalmente corso a quella che viene più comunemente definita finanza a impatto sociale.

Nel Rapporto Italiano della Social Impact Investment Task Force (2014) la finanza a impatto sociale è definita come “quella finanza che sostiene investimenti legati ad obiettivi sociali misurabili in grado, allo stesso tempo, di generare un ritorno economico per gli investitori”. I requisiti di questo fenomeno si rintracciano quindi nella intenzionalità di generare benefici sociali, nella loro misurabilità e nel rendimento economico da assicurare all’investitore.

Altri autori (in particolare Musella, 2020) hanno messo in guardia dal rischio che, in assenza di vincoli e di un ruolo attivo del regolatore e delle comunità, la ricerca di un ritorno economico si trasformi in speculazione finanziaria.

Nel disegnare questo studio siamo partiti dalla convinzione che, date le peculiarità del Terzo settore (che sotto molti punti di vista si presenta diverso sia da quello pubblico sia da quello privato for profit), sia indispensabile valutare in via preliminare gli effetti che queste nuove forme di approvvigionamento finanziario possono avere sulle diverse dimensioni dell’organizzazione, tra le quali in particolar modo le motivazioni degli operatori coinvolti, la loro effettiva possibilità di partecipare al processo decisionale e i rapporti con i principali portatori di interesse con i quali le organizzazioni interagiscono nel quotidiano. Infatti, in questo contesto un ruolo cardine è sicuramente svolto dalle motivazioni intrinseche dei soggetti che vi apportano capitale e lavoro, orientate alla missione e sostenute da forme di partecipazione attiva e diffusa e forme di governo inclusivo e multi-stakeholder.

La letteratura economica ha infatti evidenziato come motivazioni di questo tipo possano essere compromesse da interventi esterni aventi forma di incentivi economici e regole che possono essere percepiti come minacce all’autodeterminazione (Frey 1997 e Titmuss 2018). Come discusso da Baggio et al. (2018), l’introduzione nel Terzo settore di alcuni strumenti finanziari innovativi richiede dunque una valutazione preliminare del loro impatto su dimensioni motivazionali e organizzative rilevanti per un’efficace ed efficiente produzione di servizi di welfare.

I diversi strumenti finanziari non sono solo caratterizzati da rendimenti attesi e profili di rischio diversificati, ma differiscono anche per il modo in cui si procede alla misurazione dei risultati e per il diverso grado di coinvolgimento nella governance dell’organizzazione. Baggio et al. (2019) identificano alcuni profili critici relativi agli strumenti di finanza d’impatto: il problema delle metriche, del profitto e della governance.

Quanto alle metriche, l’introduzione di schemi di valutazione può determinare spiazzamento (crowding out) delle motivazioni intrinseche nei servizi di natura sociale, in particolare quando: le misure di controllo vengono imposte dall’esterno; vi è asimmetria informativa e di conseguenza la qualità non è osservabile dall’esterno e qualsiasi misura scelta risulta essere una proxy potenzialmente poco rappresentativa del reale servizio fornito, anche perché gli indicatori quantitativi non misurano la qualità delle prestazioni; i servizi sono altamente personalizzati e con molteplici dimensioni; il processo produttivo è complesso e incorpora rischio.

Rispetto al problema del profitto, poiché i beni/servizi prodotti dall’impresa sociale sono tipicamente diversi dai beni scambiati sul mercato, l’inserimento di elementi di profitto potrebbe da un lato indirizzare verso attività remunerative, escludendo alcuni settori o alcuni beneficiari, dall’altro spiazzare le motivazioni ideali dei lavoratori e dei donatori.

Infine, per quanto riguarda il tema della governance, strumenti finanziari che comportino l’investimento di ingenti capitali possono comportare un legittimo ingresso nella proprietà e nel controllo dell’ente da parte dei finanziatori, ma questo oltre che poter essere incompatibile con la forma giuridica della maggior parte delle imprese sociali (che sono cooperative sociali, rette dalla regola “una testa un voto”), potrebbe in generale diminuire la partecipazione nella governance delle altre categorie di stakeholder, determinando un effetto di spiazzamento per mancanza di partecipazione, autonomia, voice, autogoverno.

Di conseguenza, un impatto negativo è più probabile per quell’insieme di strumenti disegnati in modo che gli stakeholder diversi dal finanziatore restino esclusi dalla scelta degli scopi (mission) e dai metodi di misurazione in base ai quali è valutato l’operato dell’organizzazione; oppure quando le richieste dei finanziatori non sono in linea con la mission costitutiva dell’organizzazione, o quando il livello di controllo esterno, esercitato ad esempio attraverso l’imposizione di standard, monitoraggio, valutazione e feedback è particolarmente elevato. Ci si può dunque attendere un potenziale impatto negativo sulle motivazioni da strumenti che prevedono l’ingresso nella compagine sociale di investitori caratterizzati da scarsa partecipazione e condivisione degli scopi costitutivi (come l’equity crowdfunding) oppure da strumenti come i Social Impact Bond, quando gli impegni assunti nei contratti e le scelte riguardanti la misurazione dell’impatto sociale non siano frutto di un accordo partecipativo tra le parti coinvolte.

La metodologia di ricerca e il campione

L’indagine condotta si pone l’obiettivo di rilevare le opinioni degli operatori di alcune imprese sociali operanti nella Provincia Autonoma di Trento rispetto a un sottoinsieme di strumenti finanziari innovativi. A tal fine è stato predisposto un questionario suddiviso in quattro sezioni.

La prima sezione è dedicata alla raccolta di dati quali la ragione sociale, il numero di soci (persone fisiche, persone giuridiche ed eventuali soci sovventori) e il numero di dipendenti.

La seconda sezione è relativa al rapporto tra creazione di impatto sociale e rendimento economico: termini centrali, come abbiamo visto, per la definizione di finanza d’impatto. Se da un lato è logico aspettarsi che le imprese sociali, data la loro natura imprenditoriale, non percepiscano un netto contrasto tra finanza in genere e mission sociale, esiste d’altra parte il rischio che l’inserimento di elementi di profitto in un settore rivolto alla produzione di benefici sociali possa condurre a esiti indesiderati, indirizzando le scelte strategiche verso attività più remunerative, con l’esclusione di determinati settori o beneficiari, oppure inducendo una focalizzazione su schemi di comportamento orientati al profitto che possono erodere le motivazioni pro-sociali tipiche di questi contesti. Per verificare la percezione di questa relazione, il questionario prevede domande a risposta multipla in cui si chiede all’intervistato di esprimere un’opinione sulla relazione tra redditività economica e impatto sociale delle attività svolte dalle imprese. In particolare, è richiesto di esprimere la propria opinione su due livelli: rispetto alle specificità della propria organizzazione e rispetto al mondo delle imprese sociali in generale. Sono state proposte quattro possibili alternative per stabilire il nesso tra le due variabili: vanno di pari passo, sono indipendenti, sono in netto contrasto, dipende di volta in volta.

La terza sezione, anch’essa a risposta multipla, è volta a valutare la conoscenza, l’utilizzo e l’interesse da parte degli operatori del Terzo settore di nove strumenti di finanziamento: credito tradizionale, credito mutualistico, microcredito, cinque per mille, crowdfunding, equity crowdfunding, social lending, titoli di solidarietà e social impact bond. Le domande sono precedute da una descrizione dello strumento.

Infine, l’ultima sezione chiede di esprimere un’opinione relativa all’impatto (positivo, nullo o negativo) dell’introduzione di quattro specifici strumenti finanziari all’interno delle dinamiche dell’impresa – social lending, equity crowdfunding, social impact bond e fondi di investimento impact – su diverse dimensioni della propria organizzazione, quali per esempio la qualità dei beni e servizi offerti, i processi decisionali o le motivazioni di lavoratori e volontari.

Il questionario è stato sottoposto in formato elettronico e inoltrato tramite un link all’indirizzo istituzionale di posta elettronica delle singole imprese sociali, corredandolo di istruzioni e di una breve descrizione del progetto di ricerca. La modalità online è stata adottata con una duplice finalità: da una parte l’intenzione è stata quella di favorire la propensione alla compilazione da parte degli operatori coinvolti presentando un’interfaccia più snella rispetto ai canonici questionari cartacei; dall’altra parte il form online ha consentito una raccolta dei dati pressoché istantanea.

Utilizzando la banca dati Aida Bureau Van Dijk, sono state inizialmente identificate 83 imprese sociali attive nel 2019 con sede legale e operativa in provincia di Trento e nella cui ragione sociale figurava la denominazione “cooperativa sociale”. Delle 83 imprese interpellate, 34 hanno risposto in maniera quasi completa al questionario, per un tasso di risposta di poco superiore al 40%.

L’analisi dei dati è meramente descrittiva ed è svolta trattando tutte le risposte fornite all’interno di un unico aggregato. L’esigua numerosità delle risposte raccolte, infatti, non consente di svolgere un’analisi statistica più approfondita volta a suddividere le osservazioni in categorie più specifiche, quali per esempio la dimensione dell’impresa o l’ambito operativo o sociale di quest’ultima.

Le imprese intervistate hanno in media 65 soci, con un minimo pari a 4 e un massimo pari a 432, presentano in media 1 socio dalla personalità giuridica, mentre in media 8 sono i soci cosiddetti sovventori. Tuttavia, se si restringe l’ambito alle sole cooperative (21 di numero) che dichiarano la presenza di soci sovventori all’interno della propria compagine sociale, il numero medio di questi ultimi sale a 12 (su una media di circa 56 soci totali): questo ultimo dato mostra come i soci sovventori, laddove presenti, occupano una porzione sociale consistente, superiore al 21% delle quote sociali.

Le imprese che hanno attivamente partecipato al questionario hanno in media 69 dipendenti2, con un minimo di 4 ed un massimo di 338. Tuttavia, la distribuzione di questa variabile è fortemente asimmetrica, in quanto il 60% circa delle imprese rispondenti presenta meno di 50 dipendenti. Inoltre, se si escludono le sette cooperative che dichiarano più di cento dipendenti, la media di fatto si dimezza, passando da 69 a 34.

Risultati

L’analisi che segue si basa sulle risposte fornite dalle imprese alle tre sezioni dedicate agli strumenti finanziari innovativi ad impatto sociale.

Per quanto riguarda il nesso tra risultati economici e impatto sociale dell’attività svolta (Figura 1), sul totale delle opinioni aggregate per categoria di risposta, poco più del 44% pensa che le due variabili siano strutturalmente correlate in senso positivo, mentre quasi il 46% pensa che il nesso sia specifico caso per caso, mostrando una chiara polarizzazione delle opinioni degli operatori coinvolti. Questa dicotomia risulta essere equivalente su entrambi i livelli considerati: rispetto alla propria organizzazione e in una prospettiva più ampia. Un residuale 10% ritiene invece che la correlazione tra le due dimensioni sia sostanzialmente nulla. Infine, nessun operatore giudica la generazione di profitto sistematicamente incompatibile con risvolti di interesse sociale.


Figura 1. Opinione sul nesso tra risultati economici e impatto sociale

Rispetto all’utilizzo e all’interesse ad approfondire la conoscenza di nove strumenti finanziari, oggetto delle domande della terza sezione del questionario, dalla Figura 2 emerge immediatamente un’ottima conoscenza degli strumenti di finanziamento più comuni, quali il credito tradizionale, il credito mutualistico, il microcredito e il cinque per mille: considerato l’insieme dei quattro strumenti appena menzionati, circa il 92% degli operatori interpellati dichiara di conoscerli e il 40% di utilizzarli attivamente.


Figura 2. Conoscenza, utilizzo e interesse per i diversi strumenti finanziari.


Nota: la dimensione delle bolle è proporzionale al numero di intervistati che hanno scelto quella risposta.


Spostando invece l’attenzione sugli strumenti meno tradizionali e più innovativi si possono fare tre considerazioni maggiormente rilevanti, e tendenzialmente in linea con i dati nazionali rilevati dall’Osservatorio UBI Banca su Finanza e sul Terzo Settore (UBI Banca, 2020):

  • il 38% degli operatori intervistati dichiara di conoscere strumenti di finanziamento innovativi quali equity crowdfunding, social lending, titoli di solidarietà e social impact bond3;
  • tra coloro che affermano di non conoscere questi strumenti finanziari considerati in un unico aggregato (62% del totale), quasi tre quarti di questi ultimi (circa il 70%) si dichiarano allo stesso tempo interessati ad acquisire una maggiore consapevolezza del loro funzionamento;
  • emerge infine il totale mancato ricorso, da parte delle cooperative sociali coinvolte nell’indagine, a strumenti innovativi quali equity crowdfunding, social lending, titoli di solidarietà e social impact bond4. Accanto a queste osservazioni principali riguardanti gli strumenti considerati, è possibile fornire ulteriori spunti di riflessione. Ad esempio, quasi un quintodegli operatori coinvolti (5 su 27 che hanno fornito una risposta) si dichiara totalmente disinteressato alla conoscenza e all’utilizzo di qualunque degli strumenti finanziari innovativi elencati, mentre considerando l’insieme degli strumenti proposti, ben due terzi degli operatori affermano di essere complessivamente interessati a queste forme di finanziamento alternative agli strumenti più tradizionali.

L’ultima sezione del questionario è dedicata ad esplorare l’opinione degli operatori del Terzo settore riguardo al possibile impatto di quattro specifici strumenti che sono poco diffusi sul mercato italiano e che presentano profili di maggior influenza sugli equilibri interni e organizzativi:

  • social lending (prestito tra privati), un servizio grazie al quale privati e aziende ricevono prestiti direttamente da altri privati e aziende, senza rivolgersi a una banca o finanziaria. L’incontro tra richiedente e finanziatori avviene su internet, attraverso piattaforme online specializzate;
  • equity crowdfunding, il processo con cui più persone (folla o crowd) concedono somme di denaro (funding) per finanziare un progetto o un’iniziativa utilizzando siti internet (piattaforme o portali). Se la raccolta si conclude con successo, i finanziatori diventano soci a tutti gli effetti (con diritto di voto) dell’organizzazione;
  • social impact bond (SIB), uno strumento finalizzato a raccogliere capitali privati per promuovere politiche pubbliche innovative nel campo dei servizi sociali. La base di partenza è un accordo-contratto tra i vari portatori di interessi: la Pubblica Amministrazione, il fornitore del servizio (l’impresa sociale) e gli investitori. L’investitore anticipa il capitale e ottiene un rendimento, a condizione che l’impresa ottenga determinati risultati di impatto sociale. Il raggiungimento dell’impatto è determinato da un valutatore indipendente. Se l’impatto sociale misurabile non è raggiunto, le risorse non saranno più messe a disposizione per i periodi successivi. L’investitore può inoltre offrire servizi aggiuntivi di assistenza per rafforzare le competenze organizzative ed economico-finanziarie;
  • fondi di investimento impact, forniscono finanziamenti alle imprese sociali, raccogliendo denaro sul mercato e ripagando gli investitori in base all’impatto sociale generato dall’impresa sociale, misurato con dati quantitativi. Forniscono all’impresa sociale servizi aggiuntivi di assistenza per rafforzare le competenze organizzative ed economico-finanziarie, e possono detenere partecipazioni di minoranza dell’impresa sociale tramite l’acquisto di quote sociali o azioni.

Per ciascuno di questi strumenti viene chiesto di valutare il possibile impatto generato su sei specifiche dimensioni della singola realtà organizzativa:

  • qualità dei beni e servizi offerti (Q)
  • capacità di finanziamento dell’impresa (F)
  • qualità del clima organizzativo (inteso come qualità dei rapporti interni) (C)
  • motivazione di volontari e lavoratori (M)
  • partecipazione dei soci cooperatori al processo decisionale (P)
  • partecipazione dei vari stakeholder alle decisioni organizzative (S).

Le risposte possono essere espresse su una scala costituita dai seguenti gradi: negativo, più negativo che positivo, nessun impatto, più positivo che negativo, positivo.

Il primo dato che risalta è che per quasi metà (45%) degli intervistati l’impatto generale dei quattro strumenti è giudicato sostanzialmente neutro (Figura 3; Tabella 1): secondo il giudizio di questi operatori nessuno degli strumenti finanziari proposti avrebbe alcun impatto su alcuna dimensione organizzativa. Il 31% dei rispondenti si attende un effetto complessivamente positivo, mentre il 24% si attende un effetto tutto sommato negativo.


Figura 3. Aspettativa di impatto degli strumenti finanziari innovativi su diverse dimensioni dell’impresa sociale.


Nota: Q=Qualità, F=Finanziamento, C=Clima, M=Motivazioni, P=Partecipazione, S=Stakeholder. La dimensione delle bolle è proporzionale al di intervistati che hanno scelto quella risposta.


Tabella 1. Aspettativa di impatto degli strumenti finanziari innovativi su diverse dimensioni dell’impresa sociale.



Al di là di questi risultati generali, vanno evidenziate un paio di peculiarità. L’impatto dell’insieme di tali strumenti sulle capacità di finanziamento delle imprese sociali viene valutato positivamente dal 58% degli operatori intervistati. L’equity crowdfunding pare generare preoccupazione riguardo alla sua influenza su diverse dimensioni dell’organizzazione, quali ad esempio il clima interno, le motivazioni degli operatori e i processi decisionali di soci e stakeholder in generale, e dunque viene valutato negativamente: il 45% dei giudizi sull’aggregato delle quattro dimensioni menzionate sono infatti negativi.

Infine, per quanto concerne l’impatto generale degli strumenti proposti sulle motivazioni di lavoratori e volontari dell’impresa, la valutazione di quest’ultimo pare seguire la distribuzione generale, con quasi la metà dei giudizi che si attendono un impatto pressoché nullo su questa specifica dimensione dell’organizzazione, e la restante metà che risulta equamente suddivisa tra impatto positivo e impatto negativo.

Conclusioni

In linea generale emerge un quadro che si può definire di attesa prudenziale da parte delle organizzazioni coinvolte. Infatti, dai dati non spicca una rincorsa all’utilizzo degli strumenti di finanza innovativi, quanto piuttosto un atteggiamento di cauta curiosità. Per quanto riguarda la specifica possibilità di far fronte alle esigenze di finanziamento la situazione è chiaramente statica: sotto questo profilo, mentre da una parte vi è un moderato interesse per gli strumenti di finanza innovativa messi a disposizione del legislatore, dall’altra risulta anche evidente la totale assenza di utilizzo di questi stessi strumenti. Infine, per quanto concerne le aspettative di impatto sulle diverse dimensioni organizzative dell’impresa prevale un giudizio generale neutrale, e per alcuni specifici strumenti tendenzialmente negativo.

In base a questi risultati, cosa si può dunque concludere circa le ragioni del mancato utilizzo dei cosiddetti strumenti finanziari innovativi da parte delle cooperative sociali analizzate nella prima parte di questo contributo? Le considerazioni che si possono fare non possono che tener conto congiuntamente del dato principale, cioè la sostanziale estraneità delle imprese sociali rispetto a questi strumenti (e la riconosciuta scarsa conoscenza ed esperienza degli stessi), e del dato relativo al giudizio di sostanziale neutralità (che significa in parte anche incertezza nell’esprimersi in un senso o nell’altro) circa gli impatti degli strumenti finanziari rispetto alle varie dimensioni di funzionamento delle organizzazioni – ad esempio qualità dei prodotti, clima organizzativo motivazioni degli operatori, partecipazione alla governance ecc.

Da un lato questi risultati sono compatibili con le posizioni degli autori che affermano che le imprese sociali non sono alla ricerca di ulteriori strumenti finanziari innovativi semplicemente perché riescono già a soddisfare tutti i propri fabbisogni finanziari con gli strumenti tradizionali (Borzaga e Fontanari, 2020) – a favore di questa tesi si pone altresì il dato sull’ampia presenza, all’interno della base sociale, di soci sovventori. In quest’ottica dunque, anche gli operatori che si sono esplicitamente dichiarati interessati alla conoscenza degli strumenti innovativi presentati, in realtà lo sarebbero solo a livello puramente nozionale, anche perché, a parere degli stessi, in ultima istanza gli strumenti innovativi proposti non apporterebbero alcun chiaro beneficio all’organizzazione.

Dall’altro lato, tuttavia, è anche lecito inferire che le imprese sociali non facciano riscorso ai suddetti strumenti perché non riconoscono, o non hanno abbastanza elementi per riconoscere, l’esistenza di una relazione causale tra maggior finanziamento dell’impresa, che gli strumenti acconsentirebbero, ed effetti positivi sull’efficacia dei processi produttivi dell’organizzazione – che si potrebbero per esempio osservare con un aumento della qualità dei servizi resi, o con un rafforzamento degli incentivi alla produttività da parte dei lavoratori grazie alla disponibilità di maggiori risorse finanziarie (organizzazioni meglio finanziate potrebbero garantire ai collaboratori trattamenti economici migliori e quindi maggiori incentivi materiali o estrinseci ad essere produttivi). Queste sono alcune delle ragioni che i sostenitori dei nuovi strumenti finanziari certamente porterebbero a favore della adozione di questi ultimi. Le imprese sociali intervistate non si aspettano una correlazione tra questi elementi e quindi, si può inferire, non ne traggono, almeno fin qui, una spinta al loro utilizzo.

Al contempo, la loro capacità di previsione circa effetti di crowding out o crowding in delle motivazioni intrinseche, specie quelle associate alla natura partecipativa delle organizzazioni e della loro governance, è scarsa o comunque le previsioni fatte sono assai prudenti, cioè neutre. Di conseguenza non si può inferire – se non nel caso particolare dell’equity crowdfunding – che il mancato ricorso agli strumenti finanziari proposti discenda dalla previsione di conseguenze di spiazzamento sulle motivazioni intrinseche.

Tuttavia, resta per altro vero che tali effetti sarebbero tipicamente “effetti inattesi” dovuti al cambiamento istituzionale e organizzativo che l’attuazione di tali strumenti potrebbe indurre (sia quando implicassero la partecipazione diretta degli investitori al controllo dell’impresa, sia quando l’adozione degli strumenti implicasse strutture contrattuali che inducono diversi obbiettivi, diversi metodi di misurazione e diversi incentivi degli operatori nella logica principale-agente). È infatti ovvio che nessun schema di finanziamento possa proporre esplicitamente e intenzionalmente lo spiazzamento delle motivazioni intrinseche. Allo stesso tempo il disegno di tali strumenti innovativi non richiama, nel modo con cui sono presentati e organizzati, l’attenzione su tali motivazioni. In altre parole, l’ambito del finanziamento e quello delle motivazioni intrinseche appaiono come due sfere separate.

La rilevazione degli effetti inattesi è infatti un’informazione che gli attori di una data situazione interattiva apprendono in genere ex post, in quanto riguarda le conseguenze non pianificate di un intervento avente altri scopi (normalmente scopi ritenuti “apprezzabili”). Non facendo ricorso agli strumenti di intervento in esame e non avendone esperienza, le imprese non sono perciò in grado di predirne gli effetti inattesi, cioè non hanno capacità prognostica a tale specifico riguardo. I soggetti intervistati, dimostrando di non voler esprimere valutazioni pregiudiziali a tale proposito, ci dicono semplicemente che non hanno esperienza di effetti inattesi di strumenti che non utilizzano.

Questo risultato complessivo offre un’indicazione rilevante (per altro, questa, non inattesa) al ricercatore ma anche al policy maker che vogliano apprezzare in anticipo le conseguenze organizzative, gli schemi di comportamento e gli outcome di cambiamenti istituzionali volti ad aprire nuovi canali di finanziamento delle impese sociali, che portano con sé nuovi attori dotati di capacità di influire sugli esiti dell’interazione con gli attori tradizionali dell’impresa sociale. Per avere ex ante informazioni di questo tipo è necessario andare molto più in profondità rispetto alle possibilità offerte da uno strumento di indagine come quello qui presentato. Più precisamente, occorre simulare gli effetti di tali cambiamenti attraverso esperimenti sia di laboratorio che, in seguito, sul campo, in cui i soggetti siano posti nella condizione di prendere decisioni circa attività produttive di beni e servizi di welfare a favore di beneficiari in diversi contesti interattivi che includano o meno la presenza di altri soggetti che possono ricevere o meno un’utilità monetaria (profitto) dal finanziamento delle suddette attività. Tutto questo osservando i comportamenti risultanti dall’adozione di differenti metodi e indicatori di misurazione dei risultati, in grado di dar conto in modo più o meno accurato o arbitrario delle conseguenze di benessere e degli impatti sociali e i quali abbiano effetto sulla remunerazione degli investitori e degli operatori. Effetti ai quali i soggetti rappresentativi degli attori dell’impresa sociale possono reagire strategicamente, e rispetto ai quali le loro preferenze possano essere “plastiche”. Simulazioni sperimentali di questo tipo potrebbero dare ex ante informazioni ben più rilevanti circa l’esistenza o meno di effetti inattesi del ricorso a strumenti finanziari innovativi, allo stato non praticati dalle cooperative sociali.

Bibliografia

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Note

1 Baggio et al. (2018) ne individuano 15: credito (tradizionale, mutualistico, microcredito); 5 per mille; fundraising; crowdfunding (donation based, reward based, equity); crowdlending o social lending; titoli di solidarietà; social bond; green bond; mini (green) bond; social impact bond (SIB); community bond; fondi d’investimento; fondi d’investimento filantropico; social incubator/acceleratori; social business angels.

2 Nel calcolo di questo parametro sono escluse tre imprese che non hanno riportato il dato.

3 Secondo il IX Rapporto UBI Banca (2020 – p. 17) nel 2019 il 44,4% delle cooperative sociali italiane è a conoscenza degli strumenti di finanza ad impatto sociale, con una crescita di 20 punti percentuali rispetto al 2016, tuttavia l’interesse generale al reale utilizzo di questi strumenti, anche se in crescita rispetto al 2018 rimane ancora basso (pp. 22-24).

4 In linea con il dato riportato sulle cooperative sociali di UBI Banca (2020 – pp. 53-56).

5 Questo dato sale a due terzi a livello nazionale generale (UBI Banca, 2020 – p. 23).