Easy Welfare, provider di welfare aziendale recentemente acquisito da Edenred, attraverso il proprio Osservatorio ha divulgato i dati riguardanti l’andamento delle scelte di imprese e lavoratori in materia di welfare aziendale per l’anno 2018. Grazie a queste stime è possibile analizzare come cambino le scelte dei dipendenti, specialmente in base all’età, al genere e all’importo destinato ai servizi di welfare.
In questo approfondimento, allo scopo di comprendere meglio le caratteristiche che questo fenomeno assume nel nostro Paese, vi presentiamo le principali evidenze che emergono dai dati di Easy Welfare, che fanno riferimento ad un campione di 591 imprese clienti del provider.
Le imprese che fanno welfare
Il primo dato interessante da considerare riguarda la diffusione del welfare aziendale nei diversi settori produttivi. A tal riguardo, il comparto di gran lunga più rappresentato è quello dell’industria e della manifattura (42%). Tale dato è influenzato principalmente dalle misure introdotte nel Contratto Collettivo del settore, che ha previsto l’attivazione di piani di flexible benefit per un valore pari a 100 euro nel 2017, 150 euro nel 2018 e 200 nel 2019. A seguire si trovano i settori del commercio (11%), dei servizi bancari e assicurativi (8%), della gestione di software e media (8%) e dei servizi di consulenza aziendali (8%). Poco distanti vi sono le realtà del ramo immobiliare e dell’edilizia (4%), dell’energia (3%), dei trasporti (3%) e dell’istruzione e la ricerca (2%); risultano residuali gli altri (figura 1).
Figura 1. Il welfare nelle imprese per settore produttivo
Per quanto riguarda la dimensione aziendale, come emerge anche in altri approfondimenti sul tema, le piccole imprese sembrano avere maggiori difficoltà ad implementare misure di welfare aziendale (vuoi saperne di più?). Rispetto al tessuto industriale italiano – composto per circa il 98,3% da piccole imprese entro i 50 dipendenti, per l’1,4% da medie imprese che contano dai 50 ai 249 addetti e solo per lo 0,2% da imprese di grandi dimensioni con oltre 250 dipendenti – per Easy Welfare le piccole imprese rappresentano solo il 23% del totale delle realtà clienti (figura 2). Questo suggerisce quindi che, ad oggi, l’adozione di misure di welfare attraverso il supporto di un operatore esterno sia ancora una strada percorsa principalmente da medie e grandi imprese.
Figura 2. Imprese che adottano misure di welfare per classe dimensionale
A riprova di questa evidenza, le imprese del settore correlato ai servizi finanziari, costituito per la maggior parte da grandi gruppi bancari e assicurativi, raccolgono oltre il 21% di tutti i lavoratori del campione considerato pur costituendo solo il 9% delle imprese del campione d’analisi. Allo stesso tempo, il settore industria e manifattura, pur rappresentando il 42% delle imprese analizzate, interessa il 34% dei dipendenti complessivi.
Il “premio” welfare e la composizione del campione
L’indagine permette di conoscere anche l’importo che ogni impresa stanzia per i servizi e i benefit di welfare in favore dei lavoratori. Secondo i dati presentati, a fronte di un importo medio – calcolato cioè sulla base del campione complessivo dei beneficiari – di 780 euro a lavoratore (+20% rispetto al 2017), sembrano emergere delle differenze in base al settore economico.
Le imprese che investono maggiormente nel welfare aziendale sono quelle del comparto pubblico, le quali destinano ai servizi per i propri dipendenti una quota che supera i 2.000 euro per lavoratore; seguono poi le realtà del settore bancario e assicurativo e della ristorazione (tra i 1.000 e i 2.000 euro). Quelle del settore del trasporto, dell’immobiliare e della gestione di software realizzano in media piani di welfare inferiori ai 500 euro. Le realtà di tutti gli altri settori stanziano invece una quota compresa tra i 500 e i 1.000 euro (figura 3): il settore “industria e manifattura”, il più corposo nel campione complessivo, registra per il 2018 un credito welfare medio pro-capite pari a circa 700 euro.
Figura 3. Importo medio dei benefit di welfare in base al settore produttivo
In relazione al campione di lavoratori considerati, l’analisi rileva una maggiore presenza maschile: 67% circa contro il 33% circa di presenza femminile. Tale stima è nettamente superiore alla media occupazionale definita nel 2018 dall’Istat che, fatto 100 il totale dei lavoratori italiani, rileva che circa il 60% sono uomini e il 40% donne. Tale gender gap è un buona parte dovuto dalla maggior presenza di imprese che appartengono a settori in cui c’è una maggior presenza maschile, come il comparto industriale. Ad ogni modo, non si evidenzia alcuna differenza rilevante se si confronta il credito medio di welfare degli uomini con quello delle donne. Maggiori discrepanze ci sono, per ovvie ragioni, tra classi d’età: più il lavoratore sale d’età e quindi, si presuppone, anche di anzianità aziendale, più il premio sarà elevato (figura 4).
Figura 4. Premio welfare per genere e classe d’età
Le “fonti” del welfare aziendale
In circa il 76% dei casi le prestazioni di welfare sono definite all’interno di un accordo (o regolamento) aziendale oppure erogate unilateralmente senza il coinvolgimento dei sindacati. Nel 37% è invece introdotto attraverso il CCNL e nel 35% per mezzo della conversione del Premio di Risultato. Dato che tali “fonti” di finanziamento del welfare non si escludono, è interessante osservare anche in che modo queste possono combinarsi (figura 5).
Figura 5. Le “fonti” del welfare aziendale
Per quanto riguarda il Premio di Risultato, è interessante notare che la quota di lavoratori che scegli di convertirlo – in tutto o in parte – in budget welfare risulta molto bassa: solo il 18% di coloro che ne hanno diritto sceglie infatti la conversione. C’è da dire che, allo stesso tempo, il 50% di coloro che hanno fatto questa scelta hanno deciso di convertire la totalità del proprio premio.
Le scelte dei lavoratori e delle lavoratrici in materia di welfare
Per quel che riguarda la scelta dei servizi, le prestazioni più apprezzate riguardano l’area dell’istruzione dei figli (32%), la previdenza complementare (19%) e la sanità integrativa (9%). Seguono i fringe benefit (18%) e le prestazioni relative all’area ricreativa e al tempo libero (17%). Sono residuali le aree che si riferiscono all’assistenza ai familiari non autosufficienti e ai disabili (1%), alla concessione di mutui e finanziamenti a tasso agevolato (1%) e al trasporto casa-lavoro (3%). Approfondendo tali dinamiche, appare chiaro che queste scelte dipendono soprattutto da due variabili: la disponibilità di spesa e l’età dei beneficiari. Per quanto riguarda il budget welfare disponibile, questo influisce soprattutto a causa del limite dei 258,23 euro relativo ai fringe benefit: all’aumentare del credito disponibile, infatti, i lavoratori tendono a spendere di più per istruzione, previdenza complementare e sanità integrativa (figura 6).
Figura 6. Le scelte dei lavoratori in base al “budget” welfare
In riferimento all’età sembrano esserci invece dei picchi di consumo del credito welfare per i rimborsi in materia di istruzione e educazione dei figli tra coloro che hanno tra i 35 e i 59 anni (dal 31% al 40% circa della spesa complessiva per queste fasce d’età) e un aumento sostanzioso dei versamenti verso enti o casse di previdenza complementare per coloro che hanno più di 55 anni (dal 30% al 45% circa). I lavoratori più giovani (al di sotto dei 35 anni) tendono invece a prediligere le prestazioni relative all’area ricreativa e del wellness (figura 7).
Figura 7. Le scelte dei lavoratori in base all’età
Alcune considerazioni
I dati diffusi dal provider Easy Welfare permettono di fare alcune considerazioni interessanti. Da un alto appare evidente un aumento delle imprese e dei lavoratori coperti da strumenti integrativi. Inoltre, nel corso dell’ultimo anno si è registrato un aumento del budget medio che ogni lavoratore può spendere per prestazioni e misure previste dalla normativa, il che consente di avere margini di manovra maggiori e, in molti casi, di poter acquistare servizi riguardanti la sfera sociale.
Dall’altro lato, è doveroso sottolineare come anche da tali dati emergono alcune rilevanti forme di differenziazione tra le imprese che spesso abbiamo sottolineato. In particolare, sembra esserci una forte difficoltà per le micro e piccole imprese nell’introdurre queste prestazioni di welfare. Come emerge anche dall’analisi qui presentata, però, in questa direzione la contrattazione nazionale (cioè i cosiddetti CCNL) può essere uno strumento utile per fornire un “input” alle PMI che non possono o non vogliono – per motivi culturali o organizzativi – offrire strumenti di welfare ai propri dipendenti.
Riferimenti