In vista delle elezioni europee del prossimo 26 maggio il Corriere della Sera ha lanciato Cento Giorni in Europa, una serie di reportage sui Paesi membri della UE (e non solo) di cui vi abbiamo già raccontato segnalandovi il report sulla Svezia e il suo modello di conciliazione e quello sul sistema universitario danese. Francesco Battistini ha scritto uno degli ultimi approfondimenti pubblicati, dedicato alla Romania e alla drammatica situazione delle donne che vengono nel nostro Paese per curare gli anziani. Quelle che comunemente chiamiamo badanti.
Battistini racconta che all’Istituto psichiatrico Socola di Iasi ogni anno vengono ricorverate circa duecento di queste donne. Sono depresse, inappetenti, insonni, schizofreniche, ansiose, impanicate, allucinate, ossessionate. Spesso aspiranti suicide. Sono le donne che prendiamo in casa per accudire i familiari anziani. Che crediamo di conoscere. E che diventano invece vite a perdere quando tornano in Romania.
Il loro disturbo ha un nome scientifico che ci provoca, in quanto maggiori importatori europei d’affetto a pagamento: «Sindrome Italia». Uno stress diagnosticato e chiamato così per la prima volta da due psichiatri di Kiev: nel 2005, avevano osservato sintomi comuni a molte ucraine e romene e moldave, ma pure filippine o sudamericane. Tutte emigrate per anni ad assistere anziani nell’Europa ricca, lontane da figli e mariti.
Più che una malattia, la “Sindrome Italia” è un fenomeno medico-sociale, spiega Petronela Nechita, primaria psichiatra della clinica di Iasi:
«C’entrano la mancanza prolungata di sonno, il distacco dalla famiglia, l’aver delegato la maternità a nonni, mariti, vicini di casa… Abbiamo molta casistica. S’è aggravata quando le romene dal Meridione, dove lavoravano nei campi ed erano pagate meno, si sono spostate ad assistere gli anziani del Nord Italia: tra le nostre pazienti ci sono soprattutto quelle che rifiutavano i giorni di riposo e le ore libere per guadagnare meglio, distrutte da ritmi massacranti. Nessuno può curare da solo un demente o una persona non autosufficiente: 24 ore al giorno, senza mai una sosta. Col fardello mentale di quel che ci si è lasciati alle spalle. Anch’io e lei ci ammaleremmo».
Al ritorno in Romania, la terapia può durare anche cinque anni e di rado la passa la mutua: 240 euro ogni dodici mesi, uno stipendio medio. Un terzo delle ricoverate tenta almeno una volta il suicidio, e spesso ci riesce. Ma le vittime della sindorme sono molto più numerose delle donne che ne sono affette: li 750mila figli che le badanti lasciano in Romania, i cosiddetti orfani bianchi.
I disagi dei left behind sono diversi. Rabbia, ansia, difficoltà d’apprendimento: «C’è chi ha la madre via, e se ne vergogna. Chi vive coi nonni, e sono troppo anziani. Chi coi vicini, troppo estranei. Chi è rimasto proprio solo. I genitori a volte se ne vanno in Italia e non delegano la potestà: spariscono per mesi, non contattano mai la scuola. Magari cambiano scheda telefonica e i figli non hanno neanche un numero da chiamare».
Il tema segnalato dal Corriere è certamene complesso e spinoso. InnovaCAre – progetto di ricerca multidisciplinare su invecchiamento, Long Term Care e innovazione sociale realizzato dall’Università degli Studi di Milano e dall’Università Vita-Salute San Raffaele – ha tra i propri filoni di analisi anche la dimensione sociologica del fenomeno migratorio e dell’assistenza informale. Il tema è oggetto del working paper "Donne immigrate e lavoro di cura: un welfare invisibile ma bisognoso di innovazione sociale" attualmente in fase di pubblicazione, di cui è tuttavia disponibile l’executive summary.
Sindrome Italia, nella clinica delle nostre badanti
Francesco Battistini, Corriere della Sera