Secondo gli ultimi dati resi disponibili dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, aggiornati a lunedì 11 marzo, a pochi giorni dall’avvio della raccolta delle domande di accesso al Reddito di Cittadinanza (RdC) iniziata il 6 marzo, i richiedenti sono stati complessivamente 141.109. Di questi 120.036 si sono rivolti agli uffici postali e 21.073 hanno presentato domanda online. Se consideriamo l’enorme attenzione mediatica che l’avvio del RdC ha ricevuto e la massiccia campagna informativa realizzata dal Governo, si tratta di numeri inferiori rispetto a quelli che ci si poteva aspettare. Con Cristiano Gori, docente presso l’Università di Trento e ideatore e responsabile scientifico dell’Alleanza contro la Povertà in Italia, abbiamo provato a fare alcune ipotesi su come mai non ci sia stato un vero e proprio “assalto” al RdC.
Come mai, in questa prima settimana, sono state presentate meno domande del previsto?
Premesso che le richieste non sono state poche e che è impossibile trarre conclusioni dopo un periodo così breve, si possono avanzare alcune ipotesi. La partenza del RdC è oggetto di forte attenzione mediatica. Credo che il timore di finire particolarmente “sotto osservazione” possa aver indotto alcuni a non presentare subito la richiesta. Nelle parole di un operatore: “molti non sono andati a fare domanda perché temevano di incontrare – alle Poste o ai Caf – qualcuno della televisione”. Penso che questo timore abbia allontanato alcuni non in povertà ma che potrebbero cercare di ottenere comunque la misura, ad esempio chi ha un’occupazione irregolare, per paura di essere individuati. Nondimeno, credo che ciò abbia scoraggiato altri che pur essendo effettivamente poveri non vogliono essere riconosciuti o etichettati come tali. Ma si tratta di effetti, a mio parere, destinati ad affievolirsi con il progressivo ridursi dell’attenzione mediatica intorno all’avviamento del RdC. Inoltre, alcuni potenziali utenti privi di una certificazione Isee valida non hanno ancora fatto in tempo a riceverla: si tratta, di nuovo, di un aspetto che con il passare delle settimane diventerà meno rilevante.
Al di là di queste situazioni contingenti, ci sono dei limiti legati al disegno del Reddito di Cittadinanza che ostacolano la raccolta delle domande?
Sì, temo che molti poveri non siano messi nelle condizioni adeguate per presentare la domanda. Non sono infatti previsti luoghi dove le persone siano informate per capire se rientrano tra i beneficiari del Reddito, quali sono i passaggi da compiere al fine di inoltrare la richiesta e come compilare la relativa modulistica. Il Reddito di Inclusione (REI) assegnava queste funzioni di informazione, consulenza ed orientamento ad appositi sportelli presso i Comuni, i Punti unici di accesso, dove si poteva anche fare la domanda. Nel Reddito di Cittadinanza, quest’ultima può essere presentata solo alle Poste e ai Caf. E non sono più previsti gli sportelli per informazione, consulenza ed orientamento presso i Comuni. A livello locale, però, solo i Comuni possono svolgere tali funzioni. Sono loro il punto di riferimento per la popolazione nel territorio, non certo le Poste. Il Governo sinora ha molto lavorato allo scopo di far conoscere l’esistenza del RdC all’intera popolazione, attraverso incisive campagne informative e mediatiche. Non ha, tuttavia, promosso una strategia ugualmente efficace per mettere le persone interessate effettivamente in condizione di presentare la domanda.
Perché, a differenza di quanto avveniva con il REI, il Governo non ha attributo un ruolo ai Comuni nell’accesso al Reddito di Cittadinanza?
Vi sono due interpretazioni. Primo, la percezione dei servizi comunali come “luogo per gli ultimi”. Il Movimento Cinque Stelle ha sempre sostenuto che presentare le domande presso i Comuni faccia sentire i richiedenti dei marginali, li stigmatizzi e quindi li allontani. Dunque, se si vuole raggiungere una fascia più ampia possibile di popolazione non bisogna prevedere un passaggio dai Comuni. Sullo sfondo c’è l’antica diatriba tra chi vede nel welfare comunale una risposta per una parte ampia della comunità – è l’impostazione, ad esempio, della legge 328/2000 – e chi esclusivamente per i più svantaggiati. Seconda interpretazione: si tratta di una strategia di consenso. Se faccio la domanda al Comune, il suo riconosciuto ruolo può indurmi a pensare che io riceva il beneficio grazie alle scelte dell’amministrazione comunale. Se presento la richiesta ai Caf o alle Poste, invece, la mia percezione è che la misura arrivi dal governo nazionale. Da questo punto di vista, il precedente del RdC è la Carta Acquisti introdotta nel 2008 dal Governo Berlusconi, che prevedeva – appunto – la presentazione delle domande alle Poste.
Cosa accadrà nel lungo periodo se non verranno apportate modifiche alle procedure di raccolta delle domande?
Sovente numerose persone aventi diritto a una misura contro la povertà non ne fanno domanda; si tratta di un fenomeno ben noto anche a livello internazionale e che emerge, ad esempio, dai rapporti pubblicati dall’Eurofound. Questo può accadere per non subire controlli sulle loro effettive disponibilità economiche, per non mettersi in gioco in un progetto di inclusione o per vergogna. Molto spesso, tuttavia, è perché non sanno come affrontare i diversi passaggi richiesti. Oggi, in Italia, si rischia il ricorso a soluzioni non opportune, come avvenuto in Grecia con la misura nazionale contro la povertà introdotta nel 2017 (il Reddito di Solidarietà Sociale). In quel Paese, in assenza di adeguati servizi pubblici di informazione e orientamento, tali funzioni sono state di fatto privatizzate in misura significativa. Il 40% di coloro i quali hanno inoltrato la richiesta del beneficio ha pagato privatamente una persona, esterna ai servizi del welfare, per aiutarlo nel farlo; si tratta di singoli che svolgono questa attività nel mercato sommerso, senza alcun inquadramento regolare (si veda qui per approfondire). Vi sono già segnali – seppure ancora a livello anedottico – dell’emergere di simili modalità in alcune aree del nostro Paese.
Sono possibili miglioramenti?
Anche se il testo di legge attualmente in discussione al Parlamento non lo prevede, alcuni Comuni hanno deciso – come scelta propria – di garantire funzioni di informazione, consulenza o orientamento, anche per il Reddito di Cittadinanza. Al momento, si tratta prevalentemente di realtà appartenenti alle aree più avanzate e credo che altre ne seguiranno. In assenza di una prescrizione in tal senso da parte della normativa nazionale, tuttavia, rimarrà un quadro a macchia di leopardo. Il timore, inoltre, è che queste funzioni non siano svolte proprio nei Comuni delle aree più deboli, cioè quelli dove maggiore è la popolazione che potrebbe ricevere il RdC. Serve una strategia per mettere i poveri nelle condizioni migliori per fare domanda, così da poter effettivamente fruire del loro diritto alla misura. Per questo motivo, l’Alleanza contro la povertà ha chiesto di inserire nella norma sul Reddito di Cittadinanza la previsione di “Punti di informazione per il RdC” presso i Comuni. Non si tratta di introdurre un nuovo servizio ma esclusivamente di mantenere in vita i Punti unici di accesso comunali già previsti dal REI, che continuerebbero a svolgere le funzioni di informazione, orientamento e consulenza, senza – a differenza di quanto avveniva in precedenza – ricevere le domande (dunque compatibilmente con l’impianto già operativo del RdC, che non lo prevede). Questa richiesta è coerente anche con la logica, sempre sostenuta dall’Alleanza, di non disperdere il lavoro compiuto nei territori con il REI.