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Il 3 dicembre 2018 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la Legge n. 132/2018 di conversione del Decreto Legge 113/2018 recante “Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’Interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’Amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata” entrato in vigore lo scorso 5 ottobre. Quali conseguenze avrà questo provvedimento sul sistema italiano di accoglienza, che ridisegna profondamente, e sui processi di integrazione? L’avvocato Francesca Prunotto ricostruisce i contenuti principali del provvedimento e propone alcune riflessioni critiche sui suoi possibili effetti. 


Che cosa prevede il Decreto

Il decreto, noto anche come Decreto Salvini o Decreto Sicurezza, è composto da 40 articoli e si occupa di sicurezza urbana, lotta al terrorismo e alla mafia, ma soprattutto di immigrazione e protezione internazionale, tematica sulla quale è destinato ad incidere in maniera sostanziale.

Oltre a prevedere l’abolizione della protezione umanitaria e il ridimensionamento del Sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR), il Decreto prevede l’estensione, da 90 a 180 giorni, del trattenimento nei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr); più fondi per i rimpatri; la possibilità in alcuni casi di revocare la cittadinanza acquisita per naturalizzazione o matrimonio; l’estensione della lista dei reati che comportano la revoca dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria; la previsione di una lista di Paesi sicuri che comportano, oltre a un’accelerazione della procedura di esame della domanda, anche una “presunzione iuris tantum di manifesta infondatezza dell’istanza (così come definita dalla Circolare applicativa), e l’esclusione dal registro anagrafico per i richiedenti asilo.

Lo scorso 18 dicembre è stata inoltre pubblicata su sito del Ministero dell’Interno, la Circolare applicativa che individua quale obiettivo del Decreto Sicurezza quello di “riportare, nel medio periodo, l’intero sistema nazionale a una gestione ordinata e sostenibile, basata su canali di ingresso e sul rimpatrio degli immigrati in condizione di soggiorno irregolare, esposti al rischio di marginalità sociale e di coinvolgimento in attività illegali”, nonché di ridisegnare il sistema di asilo italiano per assicurare la “celerità dell’esame delle relative istanze” e l’“effettiva tutela delle persone che necessitano della protezione internazionale”.

Le possibili conseguenze del Decreto sul sistema italiano di accoglienza

Il testo del Decreto è stato, ed è, però oggetto di critiche su più fronti. Vediamo quali.

Innanzitutto, si sono ipotizzati profili di incostituzionalità sia per ciò che riguarda lo strumento utilizzato, difettando i requisiti di straordinarietà ed urgenza costituzionalmente previsti per la decretazione d’urgenza, sia per i contenuti e, particolarmente, per la prevista possibilità di revoca della cittadinanza italiana che comporterebbe una grave violazione del principio di uguaglianza rispetto a chi l’ha acquisita per nascita. Proprio su questi argomenti si basa la controversa decisione, assunta nelle ultime settimane da alcuni Sindaci, di sospendere l’applicazione del Decreto e la proposta, avanzata dal Presidente dell’Associazione nazionale comuni italiani (Anci), di attivare al più presto "un tavolo di confronto in sede ministeriale per definire le modalità di attuazione e i necessari correttivi a una norma che così com’è non tutela i diritti delle persone". 

Si sono poi fortemente criticate l’abolizione dell’istituto della protezione umanitaria e le modifiche apportate al sistema di accoglienza dei migranti sul territorio, ovvero alle disposizioni concernenti il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR), che porteranno con alta probabilità a un forte aumento del numero degli irregolari presenti sul territorio, e a un rallentamento del processo di integrazione di molti.
 

L’abolizione del permesso di soggiorno per motivi umanitari

Il Decreto Legge 113/2018 ha infatti abrogato la norma che consentiva il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari nei casi in cui la Commissione territoriale, pur non accogliendo la domanda di protezione internazionale (status di rifugiato o protezione sussidiaria), ritenesse sussistenti gravi motivi di carattere umanitario, anche derivanti da obblighi costituzionali o internazionali.

Nella Circolare esplicativa diffusa lo scorso 18 dicembre, il Ministero dell’Interno giustifica l’abolizione della protezione umanitaria con l’uso strumentale che nel corso degli anni ne sarebbe stato fatto. Si legge, infatti, che sebbene originariamente fosse “concepita quale misura residuale del sistema nazionale di protezione, rivolta a persone in condizioni di vulnerabilità ed esposte nel proprio Paese a violazione dei diritti fondamentali, la stessa era divenuta una figura dai contorni indistinti, oggetto di applicazione disarmonica sul territorio”, che avrebbe prodotto “una proliferazione di istanze già in origine visibilmente non meritevoli di accoglimento, con intasamento dell’ordinaria attività delle Commissioni territoriali preposte all’esame delle stesse”.

Non si può però dimenticare che nel corso degli anni il permesso di soggiorno per motivi “umanitari” è stato rilasciato a persone in condizioni di estrema vulnerabilità o malattia, anche se non sempre provenienti da Paesi in guerra: donne sole o con bambini, adolescenti, uomini che hanno subito torture o violenze nei paesi di transito come la Libia, garantendo loro una qualche forma di protezione e regolarizzazione. L’aver abrogato la protezione umanitaria e aver reso i casi di protezione speciale non convertibili in lavoro (si tratta dei casi connessi alla impossibilità di sottoporre lo straniero a espulsione o respingimento in attuazione del principio di non-refoulement) comporterà un muro nei confronti dell’integrazione, perché d’ora in avanti molte di queste persone rischieranno di cadere nelle maglie dell’irregolarità, aumentando e rendendo difficilmente reversibile la loro condizione di estrema vulnerabilità.


La trasformazione dello SPRAR in SIPROMI

L’esigenza di segnare una netta differenziazione tra gli investimenti in termini di accoglienza e integrazione da destinare a coloro che hanno titolo definitivo a permanere sul territorio nazionale rispetto ai servizi di prima accoglienza e assistenza, da erogare a coloro che sono in temporanea attesa della definizione della loro posizione giuridica” (così come sostenuto nella Circolare applicativa) ha portato ad apporre un’altra importante modifica alla normativa, ed in particolare al sistema di accoglienza italiano. Questo da Sistema di accoglienza per i richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) assumerà la nuova veste di Sistema di protezione internazionale per minori stranieri non accompagnati (SIPROIMI).

Il Decreto, infatti, ha stabilito che potranno accedere al Sistema di accoglienza solo i titolari di protezione internazionale (status di rifugiato o protezione sussidiaria); i minori non accompagnati; i titolari di permesso di soggiorno per casi speciali (ovvero i casi di protezione speciale per vittime di tratta e grave sfruttamento lavorativo e le vittime di violenza domestica, chi versa in condizioni di salute di eccezionale gravità, chi non può rientrare nel proprio paese per gravi calamità, chi compie atti di particolare valore civile, nonché coloro i quali rischiano gravi persecuzioni).

Non potranno più accedere allo SPRAR, invece: i richiedenti asilo (che peraltro non potranno più avere la residenza sul suolo italiano); i titolari di permesso di soggiorno per motivi umanitari; i titolari di permesso di soggiorno per casi speciali (regime transitorio) rilasciato in seguito a decisione sulla protezione umanitaria adottata dalla Commissione territoriale prima del 5.10.18; i titolari di permesso di soggiorno per protezione speciale.

Il sistema di accoglienza italiano (così come definito con il D.Lgs. n. 142 del 2015 in attuazione delle direttive europee 2013/32/UE e 2013/33/UE), ha optato per un’accoglienza diffusa, che ha trovato il suo perno centrale nello SPRAR.

Finora il sistema SPRAR ha finanziato gli enti locali diffusi su tutto il territorio italiano per la realizzazione di progetti destinati all’accoglienza dei richiedenti asilo, dei rifugiati e destinatari di protezione sussidiaria e di altre forme di protezione umanitaria. Gli Enti locali aderiscono al sistema SPRAR su base volontaria e attuano i progetti con il supporto delle realtà del Terzo Settore. A coordinare lo SPRAR è il Servizio centrale, attivato dal Ministero dell’interno e affidato con convenzione all’Associazione nazionale dei comuni italiani (Anci), con funzioni di informazione e coordinamento, consulenza, supporto tecnico e monitoraggio.

Ciascun Ente locale elabora progetti in linea con le necessità e i criteri indicati dal Ministero proponendo anche servizi rivolti a persone con esigenze particolari, come minori, minori non accompagnati, disabili, anziani, donne in stato di gravidanza, persone affette da malattie mentali o vittime di violenza, torture, mutilazioni genitali.

Dopo l’entrata in vigore del Decreto i richiedenti asilo restano esclusi da questo sistema e potranno essere accolti esclusivamente nei CAS o nei centri governativi di prima accoglienza (strutture gestite da Prefetti e non dalle amministrazioni locali, che seguono dei protocolli di emergenza e hanno standard di accoglienza più bassi e scarsi obblighi di rendicontazione), mentre per coloro ai quali sia già stata riconosciuta una forma di protezione (motivi umanitari, casi speciali-regime transitorio, protezione speciale) non è neanche data tale possibilità.

Riferimenti

Decreto Legge 113/2018

Circolare esplicativa del Ministero dell’Interno