Il governo ne parla solo per annunciare che sarà sostituito dal Reddito di Cittadinanza. Ma il Reddito di Inclusione (ReI) per adesso è vivo e vegeto. Questa misura è attiva dal 1° gennaio 2018 e si articola in un beneficio economico (erogato attraverso una carta di pagamento elettronica – Carta REI) e in servizi alla persona, volti a promuovere l’uscita dalla povertà, di competenza degli enti locali.
Con l’introduzione del REI, l’Italia si è già avvicinata agli altri Paesi europei che possiedono un “reddito minimo di inserimento”, ovvero una misura nazionale a sostegno di tutte le persone in povertà. Si tratta di un risultato raggiunto grazie alla continuità con cui, nel corso degli ultimi anni, progressivamente sono aumentate le risorse investite ed è stata estesa la platea dei beneficiari.
La dotazione attuale (stanziata fino al 2020, dalla Legge di Bilancio 2017) permette di raggiungere 2,5 milioni di persone, pari a circa la metà dei poveri assoluti. Se paragonate a quelle tradizionalmente investite in questo settore, le risorse stanziate sono comunque notevoli: Il Fondo povertà per il 2018 supera i 2 miliardi, per il 2019 raggiungerà i 2,5 miliardi e, a decorrere dal 2020, salirà a quasi 2,8 miliardi. Nel primo semestre del 2018 il REI è stato erogato a 267 mila nuclei familiari (841 mila persone). A questi si aggiungono ulteriori 44 mila nuclei (oltre 177 mila persone) che beneficiano del Sostegno all’inclusione attiva, la misura che ha preceduto il REI e che è fruita da quanti hanno fatto richiesta prima dell’entrata in vigore di quest’ultimo. Nel complesso, le persone raggiunte sono oltre un milione, i nuclei circa 311 mila. Nel 70% dei casi, il REI è erogato nelle regioni del Sud, nel 18% al Nord, nel restante 12% al Centro. I limiti del REI ci sono, ben evidenti. Gli importi sono modesti (la media è pari a 308 euro) e non consentono di coprire nemmeno la distanza fra il reddito disponibile e la soglia di povertà assoluta. Secondo alcune stime, una misura che consenta a tutti i poveri di disporre di un reddito sufficiente a raggiungere la soglia di povertà assoluta avrebbe un costo di 8,5 miliardi di euro l’anno, un po’ più bassa ma non lontana rispetto a quanto vogliono investire i Cinque Stelle. Se si partisse dal REI servirebbe allora una dotazione aggiuntiva di circa 5,8 miliardi annui.
A chi sta a cuore combattere la povertà in modo efficace, non sfugge la necessità di garantire continuità al REI o almeno pensare a una misura che ne ricalchi le caratteristiche di fondo. Il riferimento è alla contemporanea presenza di un sussidio economico e di un progetto di inclusione sociale. Un’impostazione di questo tipo avvicina l’Italia ai modelli di reddito minimo più avanzati a livello europeo. Inoltre, è importante che la titolarità dei progetti di inclusione rimanga in capo agli enti locali. I servizi sociali sono infatti gli unici in grado di realizzare quella complessa valutazione dei bisogni che è alla base di un valido percorso di uscita dalla povertà.
Per come è stato presentato, il Reddito di cittadinanza sembra andare invece nella direzione di un sussidio cui si accompagna un inserimento lavorativo di competenza dei Centri per l’impiego. In questa prospettiva, si fatica a coglierne i pregi rispetto a quanto fatto fino ad ora. Va infine considerato che il REI non è una misura disegnata unilateralmente dalla politica, ma è piuttosto il frutto del costante confronto fra i Governi che si sono succeduti e la società civile, rappresentata dall’Alleanza contro la povertà. È auspicabile che l’attuale Governo prosegua il confronto con questo soggetto che è l’unico in grado di rappresentare efficacemente i poveri.
Questo articolo è stato pubblicato su "L’Economia", inserto settimanale del Corriere della Sera, del 22 ottobre 2018, con il titolo "Reddito di cittadinanza. C’è già e funziona: non scardinate il REI", e qui riprodotto previo consenso dell’autore.