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Le organizzazioni che compongono il variegato mondo dell’economia sociale e solidale (dalle cooperative alle associazioni, dalle mutue alle fondazioni, fino alle imprese sociali in qualunque forma giuridica esse siano costituite) si trovano ultimamente sempre più spesso al centro dell’attenzione. Sia a livello nazionale che internazionale si moltiplicano infatti le iniziative che mettono a tema il contributo che queste organizzazioni possono dare a sfide globali sempre più pressanti e complesse. Nell’ambito dell’ONU ad esempio l’Organizzazione Internazionale del Lavoro ha dedicato molto spazio all’Economia sociale e solidale (ESS) all’interno della riflessione sul futuro del lavoro promossa in occasione del proprio centenario, e a livello europeo la Commissione ormai da anni tiene alta l’attenzione sulle imprese sociali con varie iniziative di regolamentazione e supporto, dalla Social Business Initiative in avanti.

Questa attenzione è dovuta a vari fattori, non ultimo il fatto che quello dell’ESS è un mondo estremamente dinamico e in crescita a livello globale. C’è però anche un crescente bisogno di trovare nuovi modelli di sviluppo capaci di garantire risposte ai bisogni delle persone e benessere diffuso. Da questo punto di vista il fallimento del modello dominante degli ultimi decenni è ormai sotto gli occhi di tutti, tra crisi ambientale, aumento vertiginoso delle disuguaglianze, e progressivo indebolimento dei sistemi di welfare che hanno garantito la tenuta sociale dal secondo dopoguerra in poi. Insomma, ci si sta guardando intorno per capire da dove possono arrivare risposte più convincenti di quante riesca a fornire ad oggi il binomio basato sull’intervento pubblico (sempre più limitato) da un lato e sulle forze di mercato (sempre più speculative) dall’altro.

In questo contesto le realtà imprenditoriali dell’economia sociale e solidale sono particolarmente promettenti perché forniscono un modello di organizzazione dell’attività economica sostanzialmente diverso da Stato e Mercato. Diverso in termini di obiettivi dell’impresa (non il profitto ma il soddisfacimento di un bisogno), di modelli proprietari e di governance, di modalità di distribuzione del valore prodotto. Una diversità che in ultima analisi risulta in una forte attenzione ai bisogni sociali (e capacità di darvi risposta) e in uno stretto allineamento con gli interessi delle comunità a cui queste organizzazioni appartengono. L’attenzione al ruolo (effettivo o potenziale) delle organizzazioni dell’ESS nel dare risposte alle sfide del nostro tempo va di pari passo con la discussione su come questo ruolo possa essere supportato. E quindi su cosa serve per consentire a queste organizzazioni di crescere e affermarsi in modo sempre più incisivo. 

Tra i vari elementi, c’è anche il tema della disponibilità di risorse finanziarie per cooperative, società di mutuo soccorso, associazioni, fondazioni e imprese sociali è diventata una questione di rilievo nel discorso pubblico. Questo interesse si scontra però con una mancanza generalizzata di dati e informazioni affidabili sull’argomento. Tanto che ad oggi quello sulla finanza per l’economia sociale è stato un dibattito dominato più da luoghi comuni, aneddoti e mode del momento che da un’analisi ragionata dei bisogni effettivi di queste organizzazioni. Ecco perché Euricse ha voluto intervenire sulla questione rispondendo a un bando dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) delle Nazioni Unite per realizzare la ricerca “Meccanismi finanziari per ecosistemi innovativi dell’economia sociale e solidale”, finanziata dal Governo del Lussemburgo e presentata ufficialmente a metà novembre durante il convegno internazionale “The SSE Momentum” a Trento.

Combinando un’approfondita revisione della letteratura, interviste a informatori chiave, casi studio e dati da 8 Paesi in tutto il mondo (Capo Verde, Colombia, Ecuador, Italia, Lussemburgo, Marocco, Quebec, Corea del Sud), un team di 15 ricercatori coordinati da Euricse ha identificato una vasta gamma di potenziali fonti e meccanismi di finanziamento per l’economia sociale e solidale, sia “tradizionali”, ovvero disponibili per tutte le imprese, sia più specifici e “tarati” sulle particolari caratteristiche di queste organizzazioni.

Il primo risultato è stato sfatare la narrazione secondo la quale lo sviluppo dell’ESS dipenda dalla disponibilità di risorse finanziarie principalmente esterne e dall’adozione di strumenti finanziari innovativi (e spesso derivati dalle logiche dell’impresa di capitali). Intendiamoci, come tutte le imprese anche le organizzazioni dell’ESS hanno bisogno di finanza per crescere. E in un contesto in cui queste organizzazioni sono chiamate a far fronte a bisogni crescenti, anche in settori ad alta intensità di capitale (dalla sanità all’housing), il fabbisogno di finanza è destinato ad aumentare. A maggior ragione quindi è importante valutare il più rigorosamente possibile quale tipo di risorse finanziarie sono (o dovrebbero essere) effettivamente disponibili per le organizzazioni dell’ESS, per quali scopi vengono utilizzate e in quali modi è possibile accedervi.

A questo proposito la ricerca ha evidenziato come non è necessariamente vero che le organizzazioni dell’ESS hanno più difficoltà delle altre imprese ad accedere a risorse finanziarie. Di sicuro le loro caratteristiche le rendono meno adatte ad accedere a meccanismi finanziari che comportano alti tassi di rendimento o che assegnano diritti di proprietà agli investitori. Per questo motivo, molti dei meccanismi finanziari che forniscono capitale alle società a scopo di lucro sono stati applicati di rado all’economia sociale e solidale. Per contro, queste organizzazioni hanno creato fonti di finanziamento proprie, più in linea con le loro specificità e obiettivi di quanto non siano i meccanismi del capitale di rischio tipici delle imprese tradizionali come venture capital e affini. Pensiamo ad esempio al meccanismo del socio finanziatore nelle cooperative, o alla capacità di fare leva su risorse di tipo donativo, o ancora alla costituzione di fondi comuni di tipo mutualistico per supportare crescita e sviluppo. Per non parlare dell’effetto dei vincoli alla distribuzione di utili e patrimonio sulla capacità delle imprese di capitalizzarsi facendo affidamento su risorse interne. Questo non vuol dire ovviamente che non ci siano problemi, come quello (per altro comune anche alle altre imprese) di trovare risorse finanziarie nelle fasi di avvio dell’organizzazione. Vuol dire però che bisogna prestare attenzione alla direzione in cui si guarda per trovarvi soluzione.

Lo studio ha messo quindi a fuoco l’importanza di un approccio che contemperi risorse interne ed esterne, pubbliche e private, orientate al mercato o meno, ma sempre coerenti con forme di impresa che perseguono non la massimizzazione del profitto ma gli interessi dei propri soci e delle comunità a cui appartengono. Questa coerenza non sempre viene presa in debita considerazione nel dibattito sulla finanza per l’economia sociale, dominato ad oggi più dal lato dell’offerta che da quello della domanda. All’indomani della crisi finanziaria del 2008 infatti, il settore dei servizi finanziari è stato sottoposto a un maggiore controllo e pressione per svolgere un ruolo attivo nel sostenere gli obiettivi di sviluppo nazionali e internazionali facilitando la transizione verso un’economia più sostenibile. La confluenza di queste esigenze con la crescente attenzione nei confronti dell’ESS ha fatto sì che la finanza venisse associata ad attributi etici e sostenibili (“finanza sociale”, “finanza di impatto”, “finanza etica”, “finanza sostenibile”, ecc.), in una raffica di nuove iniziative che sono state abbracciate da una vasta gamma di attori con varie motivazioni.

Le esperienze più recenti relative a questo tipo di iniziative indicano che mentre tendono a correggere parzialmente l’incapacità dei prestatori tradizionali di tenere conto dell’impatto sociale dei loro investimenti non sembrano esenti da conseguenze indesiderate dell’attenzione alla valutazione e al ritorno economico, come la mercificazione degli utenti dei servizi o la selezione di coloro che possono essere aiutati più facilmente. Inoltre, la misurazione dell’impatto sociale (un requisito chiave in tutte le forme di “investimento d’impatto”) è ancora oggetto controverso, non solo perché non esiste un accordo unanime su come vada implementata, ma anche perché è difficile trovare il giusto equilibrio tra gli interessi degli investitori, delle organizzazioni finanziate e degli utenti.

Un’ulteriore osservazione che emerge dall’analisi è una propensione generalmente bassa da parte delle organizzazioni dell’ESS, con rare eccezioni, ad adottare le più recenti innovazioni nell’ambito della tecnologia finanziaria. Ciò può essere letto come conseguenza della difficoltà per l’ESS di posizionarsi con un ruolo proattivo nel campo delle nuove tendenze. Anche nei casi in cui sono emersi alcuni intermediari interni al mondo dell’ESS, l’adozione di queste innovazioni non sembra essere una priorità. Forse perché anche la tecnologia finanziaria ad oggi sembra riprodurre modelli commerciali e di governance che, in pratica, sono ancora molto distanti dalla logica dell’economia sociale e solidale. E i tentativi di modificare questa eredità con l’adozione di nuovi modelli ispirati alla logica dell’ESS (ad es. Faircoin e altre applicazioni di “tecnologia finanziaria sociale”) non sembrano ancora avere dimensioni o profondità sufficienti per avere un impatto significativo.

In questo contesto, lo spazio per la finanza che è al servizio dell’azione sociale necessita di essere definito chiaramente: solo in questo modo può svolgere un ruolo positivo come strumento per lo sviluppo delle persone e delle comunità. A questo fine, la ricerca di Euricse mette sul piatto alcune raccomandazioni che puntano a ridurre l’asimmetria di approcci e valori tra le varie forze in campo.

Il punto di partenza è garantire la disponibilità di una combinazione di diversi strumenti finanziari: le realtà dell’economia sociale e solidale hanno bisogno di essere accompagnate nelle loro fasi di sviluppo e nel loro percorso di crescente complessità, dal singolo imprenditore all’impresa collettiva e alle reti di imprese. Vista poi l’importanza delle fonti interne di capitale, anche per il “patto cooperativo” che innescano tra i partecipanti, vale la pena puntare sulle misure che favoriscono questi meccanismi di capitalizzazione in-house, come le norme che limitano la distribuzione di utili e del patrimonio o favoriscono l’apporto di risorse da parte dei soci. Inoltre, la creazione di istituti finanziari come i fondi comuni di investimento cooperativi, dovrebbe essere incentivata anche a livello internazionale. A ciò va anche aggiunta la necessità di migliorare i sistemi di garanzia, da quelli concessi con fondi pubblici ai consorzi fidi.

La progettazione di strumenti finanziari dedicati, in base a quanto emerso nel nostro studio, dovrebbe avvenire in una logica, se non proprio bottom-up, almeno di co-progettazione, mettendo in rete gli attori locali in un dialogo sociale di definizione delle politiche utili al rafforzamento dei propri ecosistemi anche per quanto riguarda la finanza. Dialogo che sarebbe opportuno potenziare anche a livello internazionale, per valorizzare la ricchezza di esperienza e strumenti che caratterizzano l’economia sociale in tutto il mondo, e potenziare la circolazione di conoscenze e pratiche. Con l’obiettivo di aiutare le organizzazioni dell’ESS a crescere e dare risposte sempre più incisive alle sfide globali, nella consapevolezza che questo può accadere solo se ne vengono preservate le specificità.


Riferimenti

Sintesi della ricerca (italiano)

Ricerca completa (inglese)