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Lo scorso 29 marzo l’Agenzia delle Entrate ha emesso la circolare n. 5/E, redatta d’intesa con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Il documento chiarisce, tra le altre cose, alcuni aspetti normativi, fiscali e contributivi riguardanti le quote destinate dall’impresa alla previdenza complementare, alla sanità integrativa, alle polizze assicurative e a benefit di welfare aziendale.

La tassazione dei premi di risultato

La circolare chiarisce il regime di tassazione per i premi di risultato che, in base alla scelta del lavoratore, possono essere convertiti in benefit e misure di welfare. Come stabilito dalla Legge di Stabilità 2016, per i premi erogati a seguito della realizzazione di incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza o innovazione è prevista l’applicazione a regime di un’imposta sostitutiva dell’IRPEF pari al 10%, oltre alla normale contribuzione. Il premio così costituito può essere destinato al welfare per scelta del lavoratore, azzerando così tassazione e contribuzione sia per il dipendente che per il datore di lavoro.

Tale beneficio fiscale (detassazione e quindi possibilità di conversione) è però legato, da un lato, all’importo del premio che attualmente non può essere superiore a 3.000 euro nella generalità dei casi e a 4.000 euro nel caso in cui le aziende coinvolgano pariteticamente i lavoratori nell’organizzazione del lavoro. Quest’ultimo meccanismo vale però per i contratti stipulati fino al 24 aprile 2017. Dopo quella data, a seguito dell’entrata in vigore del Decreto Legge 50/2017, l’innalzamento del limite agevolabile si trasforma in una riduzione di 20 punti percentuali dell’aliquota contributiva a carico del datore di lavoro, con un tetto massimo di 800 euro. Questa agevolazione – specifica la circolare – è da considerarsi annuale "e, conseguentemente, qualora un lavoratore abbia stipulato più rapporti di lavoro, il beneficio contributivo potrà essere usufruito dal successivo datore di lavoro fino ad esaurimento del plafond di 800 euro di premio". Lo stesso lavoratore ha diritto a non versare i contributi a proprio carico su quell’importo. Dall’altro lato, come noto, il favore fiscale è correlato a reddito del dipendente, il quale non deve superare nell’anno precedente 80.000 euro (con riferimento esclusivo al reddito di lavoro dipendente assoggettato a tassazione progressiva).

Per quanto riguarda la produttività, l’Agenzia delle Entrate chiarisce la distinzione tra indicatori che determinano la detassazione del premio di risultato e indicatori che ne determinano la quantificazione, realizzando una disamina di tali strumenti. Il testo apre inoltre alla tassazione agevolata anche di premi di produttività differenziati tra i dipendenti. Ribadito che, ai fini dell’applicazione del beneficio fiscale, il risultato incrementale deve essere conseguito dall’azienda che eroga il premio, la circolare conferma che l’attribuzione di un premio di risultato differenziato non osta all’applicazione dell’imposta sostitutiva: la graduazione del premio può avvenire in ragione della retribuzione annua lorda (RAL) dei dipendenti o dell’appartenenza di questi ultimi ad una determinata area o settore aziendale.

Le somme premiali destinate alla previdenza complementare

Il documento dell’Agenzia delle Entrate evidenzia come la Legge di Stabilità del 2017 abbia introdotto misure di particolare favore nelle ipotesi in cui il premio di risultato sia erogato, su scelta del dipendente, sotto forma di contribuzione alla previdenza complementare: tali importi in natura – se non superano il valore massimo di 8.164,57 euro – non concorrono infatti alla determinazione del reddito di lavoro dipendente.

Quale ulteriore misura di favore, è previsto che l’esclusione dal reddito dei contributi versati alla previdenza complementare in sostituzione dei premi di risultato non abbia effetti sulla tassazione della prestazione pensionistica. I contributi in esame sono inoltre deducibili dalla base imponibile.


Premio di produttività e assistenza sanitaria integrativa

In merito alle somme del premio destinate alla sanità integrativa, è previsto un innalzamento del limite di deducibilità fino a 6.615,20 euro (3.615,20 euro di base più 3.000 euro potenziali del premio di risultato). Altro tema è invece quello dei rimborsi effettuati dalle casse a cui sono stati effettuati i versamenti: in questo caso le spese sanitarie possono essere detratte dal dipendente solo nella quota non rimborsata dall’azienda. I versamenti effettuati a casse sanitarie con esclusiva finalità assistenziale (art. 51 comma 2 lettera a), invece, non possono essere dedotte dal reddito del lavoratore dipendente.

Inoltre, per quanto riguarda l’iscrizione del lavoratore a casse o fondi sanitari, una delle precisazioni più importanti riportate nella circolare si riferisce al rispetto del principio di mutualità. Secondo il documento, infatti, tale principio è essenziale per poter godere del beneficio fiscale. Come è possibile leggere dal testo, l’Agenzia delle Entrate ritiene che non sia possibile usufruire del vantaggio fiscale nel caso in cui "esista, per ciascun iscritto/dipendente, una stretta correlazione fra quanto percepito dalla cassa a titolo di contribuzione ed il valore della prestazione resa nei confronti del lavoratore, o dei suoi familiari e conviventi, al punto che la prestazione sanitaria – sotto forma di prestazione diretta ovvero di rimborso della spesa – ove erogata, non possa comunque mai eccedere, in termini di valore, il contributo versato dal dipendente o dal suo datore di lavoro".

In altre parole, le casse e i fondi sanitari che prevedono prestazioni di un valore mai superiore agli importi versati dei lavoratori, non rispettando a pieno il principio di mutualità, non danno diritto al pieno favore fiscale.

I premi e le polizze contro i rischi di non autosufficienza

Il recente documento assicura poi che, come stabilito dalla Legge di Stabilità del 2017, non rientrano nel reddito da lavoratore dipendente (e quindi non sono tassati) anche gli importi pagati dal datore di lavoro per assicurare il dipendente contro i rischi di gravi malattie o di non autosufficienza (Long Term Care e Dread Disease). Si tratta di una estensione rispetto alle attuali norme che per le polizze sanitarie prevedono l’esenzione fino a 3.615,20 euro, tetto che rimane per le polizze generiche ma non per quella relative alla non autosufficienza e malattie gravi.

A questo riguardo, la circolare compie un approfondimento terminologico, specificando che con il termine “Long Term Care” si far riferimento a polizze dirette a garantire una copertura assicurativa per stati di non autosufficienza del dipendente, che richiedono generalmente il sostenimento di spese per lunga degenza; mentre, con “Dread Disease” ci si riferisce a polizze dirette a garantire una copertura assicurativa contro il rischio di insorgenza di malattie particolarmente gravi.

Relativamente alle polizze “Long Term Care”, le prestazioni che possono essere garantite sono quelle individuate dal c.d. Decreto Sacconi del 2009 (D.M. 27 ottobre 2009) come “prestazioni vincolate”, ovvero:

  • prestazioni sociali a rilevanza sanitaria da garantire alle persone non autosufficienti al fine di favorire l’autonomia e la permanenza a domicilio, con particolare riguardo all’assistenza tutelare, all’aiuto personale nello svolgimento delle attività quotidiane, all’aiuto domestico familiare, alla promozione di attività di socializzazione volta a favorire stili di vita attivi, nonché le prestazioni della medesima natura da garantire presso le strutture residenziali e semi-residenziali per le persone non autosufficienti non assistibili a domicilio, incluse quelle di ospitalità alberghiera;
  • prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, correlate alla natura del bisogno, da garantire alle persone non autosufficienti in ambito domiciliare, semi-residenziale e residenziale, articolate in base alla intensità, complessità e durata dell’assistenza.

Quanto invece alle polizze “Dread Disease”, l’Agenzia chiarisce che – in assenza di riferimenti normativi che definiscano le “gravi patologie” – è possibile fare riferimento all’elenco delle malattie professionali per le quali è obbligatoria la denuncia all’Ispettorato del lavoro, elenco aggiornato con il D.M. del 10 giugno 2014.

Il welfare nei vari livelli contrattuali

Infine, in materia di welfare aziendale e contrattuale, all’interno della circolare si assicura che il favor fiscale è garantito sia quando le misure a sostegno dei dipendenti sono definite dalla contrattazione collettiva decentrata (cioè aziendale o territoriale) sia quando sono definite dalla contrattazione di livello nazionale (cioè nei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro).

Tale norma non si riferisce esclusivamente alle opere e servizi disciplinati dalla lettera f dell’articolo 51 del Tuir – cioè quelle prestazioni che hanno finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto – ma anche a tutte le somme e i valori disciplinati dalle successive lettere f-bis (istruzione e sostegno alla genitorialità), f-ter (sostegno alla non autosufficienza) e f-quater (forme assicurative per la non autosufficienza) dello stesso articolo.

Nel momento in cui tali misure non sono introdotte attraverso il coinvolgimento delle parti sociali o attraverso un regolamento in ottemperanza ad obbligo negoziale (anche unilaterale), invece, la deducibilità dell’importo è limitata ad un ammontare complessivo non superiore al 5 per mille. Tale aspetto rimanda alla circolare 28/E che ammette un "regolamento in ottemperanza ad obbligo negoziale". A tal riguardo, l’Interpello n. 954-1417/2016 dell’Agenzia delle Entrate chiarifica che si intende regolamento vincolante un atto scritto sottoscritto dal board aziendale che non preveda formule rescissorie discrezionali ed unilaterali.

Si ringraziano i consulenti di Easy Welfare e RWA Consulting per l’aiuto fornito nella stesura finale del presente articolo