Il disagio lavorativo dei giovani si è acuito in maniera anche più brusca negli anni della crisi. Secondo dati Ocse, un terzo dei posti di lavoro riservati agli under 29 è «scomparso» tra 2007 e 2015, complice la diffusione di contratti di lavoro a termine (come dice l’Ocse, «più facili da rescindere» e quindi da tagliare rispetto al resto dell’organico).
In Italia, i redditi medi dei professionisti under 30 sono scesi del 10% tra 2009 e 2015. Il tasso di Neet, i giovani che non studiano né lavorano, è cresciuto nella fascia 25-34 anni dal 28,1% del 2012 al 31,4% del 2016, con picchi del 46,5% nel Sud Italia. Il calo dei contratti a tempo indeterminato si è “bilanciato” con la crescita del tempo determinato, con un vero e proprio boom di contratti a somministrazione (+20,4% nel periodo gennaio-luglio 2017, secondo i numeri Inps) e soprattutto dei contratti a chiamata: +124% nell’arco di un semestre, in parte a causa dell’abolizione dei voucher.
L’Italia registra uno dei tassi più alti (49%) nei paesi Ocse per mismatch, cioè la discrepanza tra la preparazione accademica o scolastica e il lavoro che si svolge nei fatti. Anche quando non si parla di mismatch, le offerte di lavoro agli under 35 sono penalizzate dal fattore della remunerazione.
Il calo di occupazione e stipendi tra i giovani rischia di scaricarsi anche sugli enti che riscutono e gestiscono i contributi di alcune categorie di professionisti, dagli architetti agli avvocati: le casse previdenziali. Meno lavoro per i giovani significa meno possibilità di contribuire agli enti, anche solo a livello di tasse di iscrizione.
Redditi e pensioni, la bomba a orologeria dei giovani in Italia
Alberto Magnani, Il Sole 24 Ore, 18 ottobre 2017