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 In chiusura dell’Anno europeo del volontariato, abbiamo pensato di favorire la riflessione attorno a questo cruciale protagonista del secondo welfare, attraverso il richiamo di alcuni passaggi particolarmente interessanti del rapporto biennale pubblicato a cura del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali nel corso del 2011.

L’iniziativa del Consiglio 

Il quarto rapporto intermedio biennale sul volontariato 

Le dimensioni del volontariato

Le mission del volontariato

I volontari

La geografia del volontariato

Gli elementi di criticità nel settore

Riferimenti

 

L’iniziativa del Consiglio

Il 27 novembre 2009, con la decisione 2010/37/CE, il Consiglio dell’Unione europea proclamava il 2011 “Anno europeo delle attività di volontariato che promuovono la cittadinanza attiva”. Questa iniziativa ha permesso di accendere in tutta Europa i riflettori su di un settore che, in tempi di crisi economico-finanziaria, è destinato ad assumere un ruolo di estremo rilievo nella ricalibratura dei sistemi di welfare.
Nelle pratiche di volontariato il Consiglio riconosce, infatti, “una delle dimensioni fondamentali della cittadinanza attiva e della democrazia, nella quale assumono forma concreta valori europei quali la solidarietà e la non discriminazione” (la prospettiva europea dell’Anno del volontariato è stata approfondita da Scialdone [2011], il cui contributo viene allegato nei riferimenti di questo approfondimento). Del resto, su questi temi la Commissione europea aveva già avuto modo di intervenire nel 1997, sottolineando le potenzialità che l’azione volontaria racchiude, in termini di partecipazione alla definizione delle politiche sociali da parte della cittadinanza, di rafforzamento degli strumenti democratici e di incremento dell’occupazione.
Questa iniziativa conferma, inoltre, il ruolo strategico degli “anni europei” – uno strumento che le istituzioni comunitarie stanno utilizzando da diverso tempo per la promozione capillare dei valori della cittadinanza attiva – al fine di rafforzare la coesione economica e sociale tra i paesi dell’Unione. L’Anno europeo dell’invecchiamento attivo e della solidarietà tra generazioni, che si aprirà nel 2012, ne è ulteriore riprova.
L’Anno del volontariato fissava quattro obiettivi fondamentali, da realizzarsi a livello comunitario, nazionale, regionale e locale:

1) creare condizioni favorevoli al volontariato nell’Unione europea al fine di integrare il volontariato negli sforzi di promozione della partecipazione civica e delle attività interpersonali in un contesto UE e affrontare gli ostacoli esistenti alle attività di volontariato, se appropriato e necessario;
2) fornire agli organizzatori di attività di volontariato gli strumenti per migliorare la qualità delle attività di volontariato al fine di agevolare le attività di volontariato e aiutare gli organizzatori a introdurre nuovi tipi di attività di volontariato ed incoraggiare la collaborazione in rete, la mobilità, la cooperazione e la creazione di sinergie nella società civile nonché tra la società civile e altri settori in un contesto UE;
3) riconoscere le attività di volontariato al fine di promuovere incentivi appropriati per privati, imprese e organizzazioni che formano e sostengono i volontari e assicurare un riconoscimento del volontariato a livello di UE e negli Stati membri da parte dei responsabili politici, delle organizzazioni della società civile, delle istituzioni pubbliche, del settore dell’istruzione formale e non formale e dei datori di lavoro, sotto il profilo delle capacità e delle competenze acquisite nell’ambito di tali attività;
4) sensibilizzare l’opinione pubblica al valore e all’importanza del volontariato al fine di suscitare una presa di coscienza collettiva dell’importanza del volontariato in quanto espressione di partecipazione civica che contribuisce alla soluzione di problemi di interesse comune per tutti gli Stati membri, come lo sviluppo armonioso della società e la coesione sociale.

In Italia, questi obiettivi sono stati oggetto di iniziative diffuse – tanto a livello nazionale che a livello locale – riconducibili allo scambio di esperienze e di buone pratiche, alla realizzazione di studi e di lavori di ricerca e all’organizzazione di conferenze ed eventi tesi a promuovere il dibattito e a sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza e sul valore delle attività di volontariato.
In chiusura dell’Anno europeo del volontariato, abbiamo pensato di favorire la riflessione attorno a questo cruciale protagonista del secondo welfare, attraverso il richiamo di alcuni passaggi particolarmente interessanti del rapporto biennale pubblicato a cura del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali nel corso del 2011. Per il sito “Percorsi di secondo welfare” questa è anche l’occasione per intraprendere un cammino di approfondimento ragionato, e il più possibile ricco, delle principali “anime” del Terzo settore.


Il quarto rapporto intermedio biennale sul volontariato

Nel mese di settembre, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha pubblicato il “Quarto Rapporto biennale intermedio sul volontariato”, a cura di Isfol e della Conferenza Permanente dei Presidenti Associazioni e Federazioni Nazionali di Volontariato (CONVOL http://www.convol.it/ ). Il secondo volume, in particolare, fornisce un’istantanea del fenomeno “caleidoscopico” del volontariato italiano, offrendo attorno a questo tema un’importante occasione di riflessione.
Le difficoltà insite nello studio del tema sono messe a fuoco con chiarezza nell’introduzione, in cui vengono sottolineati, da un lato, la natura ambigua del termine, e, dall’altro, la variabilità – nel tempo e nello spazio – dei modi attraverso i quali gli individui offrono gratuitamente il loro impegno a favore degli altri:

[…] anche limitando il campo agli enti in possesso dei requisiti formali fissati dalla L. 266/1991, il numero di organizzazioni di volontariato attive in Italia è oggetto di stime diverse da parte di fonti diverse, dalle indagini campionarie sul tema, ai registri regionali e provinciali del volontariato previsti dalla stessa legge – che a loro volta adottano criteri disomogenei e non comprendono la minoranza delle OdV non iscritte –, fino alle banche dati in possesso dei Centri di servizio per il volontariato […] E’ anche per rappresentare i confini a volte sfumati del fenomeno, e la varietà delle forme possibili della partecipazione volontaria, che si tende oggi a parlare di “volontariati”, al plurale (Ascoli, 2009) [pag. 5]

La scelta adottata nel rapporto intermedio è stata quella dell’integrazione di una pluralità di dati, provenienti da ricerche metodologicamente differenti, ma in un certo senso complementari: l’indagine campionaria FEO-FIVOL (curata da Renato Frisanco, si trova nei riferimenti) – che, tra le altre cose, cerca di individuare il peso della componente “non registrata” delle OdV -, la contabilità aggregata delle organizzazioni di volontariato rilevata dai Centri di servizio e le indagini multiscopo dell’Istat (in particolare, il rapporto CNEL-ISTAT 2008, sempre nei riferimenti). Il quadro che emerge è decisamente articolato. Di seguito vengono sintetizzati i passaggi più interessanti del Rapporto.


Le dimensioni del volontariato

Secondo una rilevazione a cura della FIVOL svolta tra il 2006 e il 2007, attualmente le organizzazioni di volontariato, registrate e non, attive sul territorio italiano sono circa 35.000. Rispetto ai dati degli anni precedenti, si registra un aumento che può essere imputato in parte all’effettivo incremento del fenomeno del volontariato ma, in parte, anche ad un processo di emersione e formalizzazione delle organizzazioni, determinato quest’ultimo sia dagli incentivi alla registrazione (“5 per mille”), sia da un potenziamento del ruolo di coordinamento e sostegno svolto dai Centri di servizio. Se nel 2001 la percentuale delle OdV iscritte era del 75%, nel 2006 si riscontrava, infatti, un incremento di 8 punti percentuali. Questi dati parlano quindi di una progressiva strutturazione e visibilità delle organizzazioni di volontariato in tutto il territorio nazionale. Sebbene il trend del fenomeno sia in crescita da più di un decennio, il tasso, negli ultimi anni, è stato più contenuto al Nord (13% nel periodo 2002-2006) e più accelerato al Sud (20% nello stesso periodo). Questo andamento ha quindi in parte ridotto il gap che ancora esiste tra la dimensione del volontariato nel Centro-Nord e quella delle aree meridionali.
Se si fa riferimento ad una diversa banca dati, quella delle indagini multiscopo dell’Istat, le stime risultano in parte sovradimensionate. Infatti, il criterio utilizzato dall’Istituto consiste “nell’avere svolto attività gratuite in una qualsiasi associazione di volontariato almeno una volta negli ultimi 12 mesi”. Il risultato è che il 9% della popolazione, circa 4 milioni e mezzo di individui, sono definibili “volontari”. In realtà, il Rapporto del Ministero del Lavoro propende per i risultati delle misurazioni FEO-FIVOL: i volontari in Italia sono poco più di un milione.


Le mission del volontariato

In termini molto generali, l’attività volontaria può consistere sia nell’erogazione di beni e servizi sia nello svolgimento di mansioni di advocacy. Il Rapporto cita, sotto questo profilo, la classificazione di Kramer (1987), ripresa in Italia da Pavolini, che articola le funzioni del volontariato in produzione di beni e servizi, “tutela e promozione dei diritti” e “innovazione e costruzione di cittadinanza e di partecipazione”:

In questa prospettiva il contributo specifico del volontariato, quale che sia il campo di attività, risiede nel coniugare la tutela dei diritti con la cura dei legami sociali e la rigenerazione del capitale sociale, entro un orizzonte condiviso di cittadinanza partecipata dal basso […] Nell’esperienza concreta, le mansioni di advocacy in capo al volontariato possono assumere una varietà di forme: dalle campagne di sensibilizzazione alla raccolta di fondi, fino al lobbying, le azioni di protesta e le altre forme di mobilitazione pubblica. [pag. 10]

Le OdV, del resto, svolgono spesso entrambe le funzioni, per cui negli svariati campi dell’azione volontaria (servizi socio-sanitari, partecipazione civica, protezione dell’ambiente, beni culturali) si riscontrano più o meno elaborate iniziative di advocacy rispetto ai diritti sottesi all’intervento. La mission esclusiva di “tutela dei diritti” riguarda una percentuale decisamente bassa di organizzazioni, che oscilla tra il dato Istat del 3% e quello FEO-FIVOL che raggiunge il 7%.
Più della metà delle OdV opera in ambito socio-assistenziale, sanitario ed educativo. Per quanto riguarda il primo, si tratta prevalentemente di servizi che il Rapporto definisce di “welfare leggero”, ovvero prestazioni di tipo relazionale che si sostanziano in attività di ascolto, animazione e/o assistenza, mentre in ambito sanitario gli interventi si caratterizzano per una maggiore specializzazione e, spesso, professionalità (perlopiù raccolta del sangue, trasporto dei malati e pronto soccorso). Qui emerge la sostanziale differenza che tende ad esistere tra il modus operandi delle organizzazioni di volontariato in campo socio-sanitario rispetto agli altri soggetti del terzo settore: la versatilità del servizio e la natura “leggera” della struttura organizzativa.
Alcuni interessanti risultati dello studio FEO-FIVOL riguardano l’incremento relativo delle OdV attive negli ambiti della cultura, dell’ambiente della protezione civile:

Benché le attività di tipo socio-sanitario rimangano le più diffuse, si nota quindi – a paragone dei primi anni novanta – una crescente diversificazione delle aree di intervento di cui si occupano le organizzazioni di volontariato. Si può sostenere, con Frisanco (2008), che questa “pluralizzazione” riflette la crescente frammentazione dei bisogni sociali, ovvero la diversificazione interna dell’arena dei potenziali beneficiari. Più in generale, questa linea di tendenza testimonia il ventaglio crescente di aspettative e funzioni, a volte difficili da conciliare tra loro, con cui il volontariato è oggi chiamato a confrontarsi. [pag. 13]

Per quanto riguarda la tipologia dei destinatari, prevale l’intervento a favore di malati o infortunati, ma il bacino di utenza si contraddistingue per una sostanziale trasversalità rispetto al corso della vita: minori, giovani, adulti ed anziani che si trovano, per svariati motivi, in condizione di bisogno. Una OdV su cinque svolge la propria mission nell’ambito della disabilità.


I volontari

I dati FEO-FIVOL ci dicono che in Italia, su circa 1.250.000 volontari attivi (quindi anche “occasionali”), poco più della metà, ovvero circa 650.000, sono “sistematici e continuativi”, cioè dedicano mediamente almeno 5 ore settimanali all’attività volontaria. In circa la metà delle OdV italiane sono presenti dei giovani (persone con meno di trent’anni), che sono il 21,5% dei volontari attivi complessivi. Emerge in ogni caso la prevalenza di volontari nella fascia tra i 55 ed i 64 anni, cioè quella con la maggiore incidenza di pensionamenti. Questo quadro pone in primo piano, per il futuro, sia il tema del ricambio generazionale dei volontari, sia quello della capacità del settore di motivare la partecipazione dei giovani.

Sotto un profilo di genere, uomini e donne sono ugualmente rappresentati nell’attività di volontariato, anche se il fenomeno della segregazione verticale è piuttosto evidente anche in questo settore: le donne presidente rappresentano solo il 34% del totale. Inoltre, fino ai 35 anni, le ragazze attive nel volontariato sono più numerose dei loro coetanei, mentre la percentuale si inverte dopo questa età. Questo fenomeno potrebbe essere in qualche modo collegato alla concentrazione del carico di cura nei confronti dei figli, in capo alle donne, proprio intorno ai 35 anni.

Il personale a vario titolo retribuito delle OdV raggiunge oggi la ragguardevole cifra delle 50.000 unità. A questi operatori in senso stretto si affiancano figure in qualche modo “ibride” – volontari che godono di un rimborso spese forfettario (non collegato cioè a spese documentate) – che sono circa 13.000. Il numero medio di volontari continuativi nelle OdV sta progressivamente diminuendo, con la conseguenza di portare all’emersione una sorta di “molecolarizzazione e assottigliamento delle compagini solidaristiche” (Frisanco, 2009). Nel 25% delle organizzazioni non sono presenti più di cinque volontari. Questa tendenza, in assenza di inversioni future, rischia di compromettere progressivamente la capacità di questi gruppi di costruire reti sinergiche con altre organizzazioni, ma anche di mettersi al riparo da fenomeni di autoreferenzialità e di perdita di “vision”. Del resto come sottolinea Frisanco (2009, 18) “la perdita di tensione verso l’impegno solidaristico – in quanto vi sono oggi meno persone disposte a farsi carico in modo continuativo e responsabile delle OdV – determina altresì la presenza di molte “organizzazioni del presidente” che proprio per questo hanno un futuro incerto”.


La geografia del volontariato

Il Rapporto biennale sottolinea come la distribuzione del volontariato sul territorio italiano rifletta la concentrazione del capitale sociale e dei legami fiduciari che caratterizzano le diverse aree del paese. A conferma di questo fatto si segnalano sia i dati relativi all’incidenza delle OdV per numero di abitanti (7,2 per diecimila nel Nord-Est contro 4,6 nel Sud ed una media nazionale di 6), sia la percentuale di volontari sulla popolazione residente (2,4% nel Nord-Est, 1,9% al Sud ed una media nazionale di 1,9%). Le regioni con maggiore incidenza di volontari sono risultate essere la Valle d’Aosta, la Liguria, l’Emilia Romagna e la Toscana, mentre il dato minimo corrisponde a Campania e Sicilia. Da questo punto di vista, merita adeguato rilievo una riflessione che il Rapporto elabora attorno al volontariato nel Meridione:

Il volontariato organizzato nel Mezzogiorno è caratterizzato da numeri più bassi, ma anche da una minore anzianità media delle OdV, che si traduce – anche a fronte di ambienti sociali e istituzionali meno favorevoli – in una maggiore necessità di forme di sostegno e di accompagnamento organizzativo. Si può parimenti rilevare, nel sud del Paese, una maggiore incidenza di forme di ibridazione organizzativa e di transizione, sia pure mascherata, verso assetti organizzativi diversi, come quello dell’impresa sociale [pag. 25]

Il quadro viene confermato dalle donazioni: nel Nord la percentuale di persone che hanno effettuato una donazione nell’ultimo anno sono state il 21%, contro il 10% del Meridione ed una media nazionale del 18%.


Gli elementi di criticità nel settore

Il Rapporto biennale mette a fuoco anche alcune criticità del volontariato italiano. Tra queste menzioniamo il fatto che si rileva un crescente inserimento di personale remunerato a vario titolo, compresi i beneficiari di rimborsi spesa forfettari (+ 13% dal 1997 al 2006). Questo fenomeno è alimentato sia dalla professionalizzazione delle prestazioni e dalla formalizzazione dei rapporti con gli enti locali, sia dalla necessità di attrarre giovani, favorendo il ricambio generazionale, in un quadro di crescente disoccupazione. La secondo criticità riguarda la diffusione di “deficit di idoneità” rispetto ai criteri individuati dalla L. 266/1991. Le irregolarità riguardano circa un quarto OdV iscritte nei registri del volontariato. Questi deficit alimentano vere e proprie degenerazioni organizzative:

1. rispetto al requisito della gratuità delle prestazioni erogate all’utenza, circa il 16% delle OdV prevede un corrispettivo (obbligatorio o facoltativo);
2. rispetto al requisito della presenza “determinante e prevalente” di volontari, circa il 9% delle OdV presenta una maggiore incidenza di personale retribuito. Ovviamente qui sembra emergere una trasformazione organizzativa (ma anche di mission) verso l’impresa sociale;
3. rispetto al limite di rimborso per le sole spese documentate, il 7% delle Odv ricorre alla pratica dei rimborsi forfettari che tendono a risolversi in forme anomale di retribuzione.

In questo Anno europeo che si va concludendo tutti sono concordi nell’affermare che il governo nazionale e quelli locali si sono spesi molto per valorizzare il settore e le sue potenzialità. L’importante è però – come scrive Antonello Scialdone di seguito (cfr. Scialdone 2011 – nei riferimenti) – che rimanga vivo anche per il futuro il proposito delle istituzioni pubbliche di sostenere il patrimonio di democraticità, partecipazione e civicness di cui i volontari sono custodi, anche contro quei fenomeni degenerativi che rischiano di “inquinare” l’anima di quella straordinaria fonte di solidarietà, coesione e tolleranza che è il volontariato di questo Paese.

Si ricordi infine che i protagonisti della cittadinanza attiva sono quelli realmente capaci di valorizzare il radicamento territoriale come fonte di vantaggio competitivo. Il loro operato può generare un potenziale creativo di capacità istituzionali e portare alla creazione di nuove opportunità al servizio del proprio contesto di riferimento. A questi volontari, che hanno i piedi ben fondati sulla terra e lo sguardo capace di spingersi lontano, fino all’Europa, resta affidata in primo luogo la speranza della costruzione di un’agenda che, dopo le celebrazioni del 2011, consolidi i traguardi già raggiunti [pag. 42].

Riferimenti

Decisione del Consiglio del 27 novembre 2009 relativa all’Anno europeo delle attività di volontariato che promuovono la cittadinanza attiva (2010/37/CE)

Quarto rapporto intermedio biennale sul volontariato a cura del ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali

“Volontariato sotto la lente: lo scenario del volontariato organizzato alla luce della quarta rilevazione Fivol 2006”

Primo rapporto CNEL-ISTAT sull’economia sociale

Antonello Scialdone, Per fare la differenza. L’Anno europeo del volontariato come stimolo, pubblicato in "Osservatorio Isfol", n. 3-4, 2011

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