4 ' di lettura
Salva pagina in PDF

In questo articolo continuiamo l’approfondimento sui servizi per la disabilità nelle Regioni del Sud Italia. Grazie ad una intervista concessa dal ragioniere Antonio Altavilla conosciamo la peculiare esperienza dell’Opera Santo Longo che dagli anni ’40 accoglie persone con ogni tipo di fragilità o difficoltà, basandosi esclusivamente sulle donazioni e il contributo di volontari.


Com’è nata l’esperienza di Villa delle Rose?

Villa delle Rose è nata per opera di Santo Longo, una persona disabile di origini leccesi nata nel 1924. Santo Longo durante la Seconda Guerra Mondiale rimase orfano e senza casa e fu così ospitato in un collegio leccese per orfani fino alla maggiore età, all’epoca ventuno anni. Uscito dal collegio, nel 1946 su suggerimento del superiore dell’istituto, venne a Napoli dove trovò come dimora una grotta utilizzata durante la guerra come rifugio antiaereo; venne poi raggiunto da ragazzi napoletani che avevano perso la famiglia o erano rimasti menomati durante la guerra, persone disperate. Si formò così una prima comunità. Negli anni successivi la comunità si trasferì in un convento abbandonato affidatole dal Comune a Palma Campania nel Nolano. In quel convento Santo Longo cominciò a raccogliere i primi disabili e poliomielitici. Durante gli anni Settanta la comunità si trasferì a Licola in una struttura appartenuta al Consorzio di Bonifica, fino a quel momento utilizzata solo durante le vacanze estive, l’attuale Villa Delle Rose.


Adesso l’Opera com’è strutturata?

Abbiamo costituito una Onlus e ospitiamo persone con problematiche molto varie, senza una tipologia specifica; siamo una realtà difficile da spiegare se non la si vive. Ci sono persone con disabilità, persone senza famiglia, senza casa, che non si sono realizzate nella vita. È un mondo tanto variegato che neanche lo Stato riesce a darci un riconoscimento. Abbiamo anche due persone con disagio psichico.

Siamo anche una realtà d’ispirazione religiosa e nella nostra struttura è presente una cappellina dove si officia tutto l’anno.  Siamo un porto di mare, la gente ci porta letti ortopedici, carrozzine, pannoloni, che noi a nostra volta mettiamo a disposizione di chi ha bisogno. È un posto conosciuto, noto anche per questo servizio alla popolazione. L’Opera è anche un punto d’aggregazione per le persone del circondario che qui vengono nel pomeriggio e s’intrattengono con gli ospiti. Questa è la nostra casa.


Il servizio quindi si struttura come una realtà residenziale?

Per alcuni ospiti è una realtà residenziale, per altri un semiconvitto. Ci sono anche persone che vengono qui alla mattina e si appoggiano alla mensa o ad altre attività come il guardaroba sociale (NdA servizio che fornisce gratuitamente indumenti a persone in stato di bisogno) frequentato prevalentemente da persone straniere.  Ma è tutto molto naturale, non strutturato; ci si adegua ai bisogni della persona.


Sono presenti volontari e operatori professionisti?

Moltissimi sono i volontari. È una casa molto aperta al volontariato. Partecipano anche giovani che hanno avuto problemi con la giustizia, per i quali noi diamo la disponibilità a fare percorsi di recupero. Siamo poliedrici, impegnati in più di un campo.


Ci sono anche operatori come educatori o psicologi?

Ci sono diversi professionisti ma non vengono in modo programmato; se viene espressa un’esigenza si prestano all’ascolto della persona, ma tutto in modo spontaneo. Abbiamo anche un gemellaggio con la Comunità di S. Egidio; tanti sono i professionisti all’interno della Comunità e quando c’è bisogno è a loro che ci rivolgiamo.


Com’è strutturato il rapporto con la Comunità di S. Egidio?

È un rapporto basato su una profonda amicizia. Li conoscemmo nell’85-‘88; loro seguivano una persona disabile ricoverata in un altro istituto, che a 18 anni fu dimessa e portata da noi. Per seguire questo ragazzo conobbero anche la nostra realtà e da allora è nata un’amicizia. Se ho delle necessità trovo la disponibilità di professionisti, medici, architetti o avvocati, onesti e bravi. Poi facciamo attività insieme, noi invitiamo loro alle nostre feste e loro invitano noi alle loro.


Come sono strutturati i rapporti con altre realtà del terzo settore?

Abbiamo rapporti con la Salvatore Vitale, un’associazione di famiglie, e con l’associazione Nostra Signora di Fatima di Aversa con la quale in questi giorni stiamo concludendo un progetto iniziato a gennaio. Il progetto comprendeva laboratori e percorsi artistici musicali con persone con disabilità.

Siamo anche molto in contatto con i Missionari Comboniani grazie al comune lavoro sull’immigrazione. Una volta grazie ai Comboniani, qui ci fu un pranzo non previsto; arrivarono venti persone e avevano bisogno di mangiare. In quel momento abbiamo contato cinque continenti e una quarantina di nazionalità. Questo è il futuro. Succede anche questo da noi, tutti i continenti rappresentati, anche religiosamente, c’erano musulmani, induisti, cattolici. Questo grazie ai Comboniani che sono venuti con questo gruppo di giovani che poi si è trattenuto attraverso dei campi scuola realizzati per vari anni.


Come vi finanziate?

Questa è la nota dolente. Da un po’ di anni la fetta più consistente è il Cinque per mille, poi le donazioni, ad esempio dalla Diocesi di Aversa a cui apparteniamo, da privati, poi i contributi di qualche banca o fondazione bancaria.

Gli ospiti più gravi che percepiscono l’accompagnamento lo versano a noi che garantiamo loro l’assistente personale. Gli ospiti autonomi, che non hanno bisogno di assistenza, non pagano niente: hanno la pensione minima e quindi non possiamo chiedere loro niente.
Nel nostro agire riteniamo importante che la persona non debba dipendere economicamente da nessuno; devono quindi potersi permettere piccole spese personali come le ricariche telefoniche o le consumazioni al bar così da non perdere la dignità.
Dal pubblico non avendo una convenzione non percepiamo niente.


La scelta di non fare la convenzione è vostra o dei servizi pubblici?

Inizialmente era nostra poi avendo avuto in passato qualche difficoltà abbiamo anche tentato ma purtroppo non siamo convenzionabili. Il nostro tipo di struttura non può essere convenzionato perché le convenzioni si basano su tipologie di utenza e noi accogliamo tutti. L’Asl più di una volta ci ha detto che dovremmo regolamentarci e definire una sola tipologia – o solo disabili, o solo senza famiglia, ecc. – ma noi, in base al testamento spirituale del fondatore, diciamo di sì a tutti, il cancello è sempre aperto per chi esprime un bisogno.


Quali sono i vostri punti di forza e le vostre criticità?

Il punto di forza della nostra realtà è l’aggregazione spontanea, l’apertura sia mentale che strutturale della nostra casa a tutte le persone e i bisogni. La principale criticità è la mancanza di risorse economiche. Con il Cinque per mille riusciamo a coprire i primi cinque o sei mesi dell’anno, poi ci troviamo in dificoltà fino a Natale.


Vuole aggiungere qualcosa?

Vorrei chiedere allo Stato di allargare le vedute sulle problematiche sociali. Anche noi apparteniamo a pieno titolo al mondo del sociale e vorremmo che lo Stato ci potesse riconoscere e sostenere.