Quella sui dati del mercato del lavoro in Italia sembra ormai essersi trasformata nella madre di tutte le battaglie. A ogni diffusione si levano i cori dei sostenitori e dei detrattori delle ultime riforme del lavoro. Quello che sembra chiaro, però, è che l’Italia è un Paese senza la cultura del monitoraggio, in cui troppo spesso si fanno leggi e si spendono soldi pubblici senza valutazioni d’impatto ex ante e poi queste misure vengono riconfermate o abbandonate senza un vero monitoraggio ex post degli effetti.
Da questo scaturiscono osservazioni di merito. Prima fra tutti la vuota discussione sul numero dei licenziamenti, che vede contrapporsi chi sostiene la loro crescita e chi valuta l’aumento in relazione alla crescita dei contratti di lavoro. Discussione vuota perché a fronte di un esonero contributivo triennale che terminerà nel 2018 per festeggiare o meno è necessario aspettare il momento in cui il costo del lavoro per le imprese che hanno assunto tornerà pieno.
Il secondo aspetto di merito riguarda i contratti a tempo determinato. Nella visione del Governo e dei suoi consiglieri economici questi sarebbero tornati a crescere dopo che per due anni si era invertita la tendenza, e questa dinamica era prevedibile dopo l’esaurirsi degli incentivi. In realtà l’Istat mostra come da gennaio 2015 a marzo 2017 gli occupati a tempo determinato siano cresciuti del 9,3% rispetto al 3,4% di quelli a tempo indeterminato.
Le tutele moderne di un welfare evoluto
Francesco Seghezzi e Michele Tiraboschi, Il Sole 24 Ore, 24 maggio 2017