Come sta cambiando la filantropia? Quali strategie scelgono i filantropi di oggi e quali risorse possono mettere in campo per generare cambiamenti sociali? Se ne è discusso al primo modulo del V Corso Executive in Filantropia Strategica organizzato da Fondazione Lang Italia a Milano il 16 e 17 febbraio.
I modelli di investimento, un ventaglio sempre più ampio
Per i filantropi e i loro consulenti è oggi piuttosto complesso orientarsi tra le migliaia di cause e organizzazioni che possono essere oggetto di investimento filantropico e tra le numerosissime possibilità di strumenti a disposizione.
Le scelte degli investitori variano infatti sensibilmente a seconda di quanto l’obiettivo delle loro azioni sia spostato sulla produzione di valore finanziario o di valore sociale. E tra il modello della filantropia più tradizionale, che si concentra quasi esclusivamente sul valore sociale, e quello dell’investimento finanziario, che mira, invece al mero rendimento finanziario, troviamo oggi un ventaglio sempre più ampio di soluzioni.
Dalla venture philanthropy, che mutuando le regole di rigore dal mondo del private equity e dal venture capital, mira a rafforzare struttura e impatto delle organizzazioni, sia attraverso il sostegno finanziario, sia attraverso il trasferimento di conoscenze e competenze; al social impact investing, che punta all’impatto sociale pur nella ricerca del ritorno economico; al sustainable investing, che include criteri ESG (Environmental, Social and Governance) nella scelta degli investimenti; all’inclusive business, investimenti internazionali volti a includere, nelle direttrici di crescita e sviluppo, persone solitamente marginalizzate.
I trend della filantropia
Relativamente alla filantropia si rilevano alcune tendenze – presentate da Lucia Martina, segretario generale di Fondazione Lang Italia – che suggeriscono la crescita futura del settore.
Innanzitutto la polarizzazione della ricchezza. Fenomeno in realtà preoccupante, perché indice di un peggioramento delle condizioni sociali complessive, potrebbe se non altro favorire l’incremento delle risorse destinate a progetti filantropici. Nel 2015 in Italia si contavano 1 milione e 582mila famiglie in condizione di povertà assoluta (Istat 2016). Nel 2013 il nostro paese si posizionava al 10° posto nella classifica mondiale dei milionari, con 229.000 HNWI (High Net Worth Individual) (World Wealth Report 2016), mentre secondo quanto riporta Oxfam (2017) l’1% più facoltoso della popolazione italiana possiede il 25% della ricchezza nazionale netta.
La seconda tendenza è l’incremento della filantropia individuale a livello mondiale. Al vertice della classifica dei donatori troviamo ancora gli USA, dove le donazioni individuali ammontano a circa 250 miliardi di euro (+3.7% rispetto al 2014), portando il giving totale ai più alti livelli degli ultimi 60 anni, sebbene lo scatto di crescita più significativo si rilevi nel Medio Oriente (Philanthropy Index 2016, Forbes). Nel 2014 gli UHNWI (Ultra High Net Worth Individuals) hanno donato complessivamente112 miliardi di dollari. Le principali aree di investimento sono quella dell’istruzione e della salute, mentre tra le modalità di filantropia, i donatori scelgono sempre più spesso quelle forme emergenti come la venture philanthropy o l’impact investing, che costituiscono il 7% del totale ($7.8 miliardi) (WealthX&Arton Capital, Philanthropy Report 2015).
L’Italia si colloca all’82esimo posto del ranking mondiale del World Giving Index 2016 (-10 posizioni dal 2015), ma considerando il solo parametro di donazioni monetarie, sale invece di 50 posizioni. Il 91% tra gli italiani HNWI ha effettuato una donazione nel 2015 (+11% rispetto al 2014) e il 27% ha aumentato le proprie elargizioni (+13%). Sono inoltre aumentate le donazioni superiori ai 10.000€ l’anno e la percentuale di chi ha donato tra 51.000 e 100.000€ (15% dal 3% del 2014), mentre per la prima volta si è registrato un 1% di HNWI con donazioni superiori a 100.000€ (UNHCR e Gruppo Kairos 2016).
Infine, alcuni dati sulle strategie di intervento dei filantropi italiani. La maggior parte dei filantropi si dichiara motivato dal desiderio di aiutare gli altri (60%) ma anche da ragioni legate al passaggio intergenerazionale (52%). Le principali aree di intervento sono salute (72%), ambiente (60%) ed inclusione sociale (40%), mentre ben il 36% è focalizzato sul territorio nazionale e il 20% su quello locale, segno di come l’attuale situazione economico-sociale stia riorientando le scelte erogative. I donatori riscontrano inoltre le difficoltà maggiori nella scelta della problematica sociale (48%), delle organizzazioni con cui collaborare (36%) e delle modalità di giving (32%). Difficoltà che vengono risolte perlopiù grazie ai consigli dei familiari (52%), a conferenze di settore (40%) e a consulenti professionali (36%) (Philanthropy Index, 2015).
Si tratta di dati che confermano come ormai la crescente complessità degli strumenti disponibili, nonché delle problematiche sociali emergenti, renda necessario superare l’approccio della filantropia “fai da te” per affidarsi invece a figure/uffici specializzati.
Filantropia di impresa
Anche nel campo della filantropia di impresa – presentato da Simone Castello, Responsabile Centro Studi sulla Filantropia Strategica di Fondazione Lang Italia – cresce il giving totale, salito da 21 a 21,1 milioni di dollari tra il 2013 e il 2015. Secondo il rapporto Giving in Numbers 2016 del CECP, che si basa su un campione di 272 imprese che insieme costituiscono un valore di 7,5 trilioni di dollari, il 47% delle imprese nel 2015 ha aumentato le proprie donazioni, innovando però le strategie di giving. Ad esempio, le aziende scelgono oggi di investire in partnership strategiche, concentrando donazioni più consistenti verso pochi soggetti, e prestano più attenzione all’impatto (l’87% misura outcome e/o impatto per almeno un grant). Bene anche il non cash giving: nel 2015 il 62% delle imprese ha elargito almeno una forma di sostegno in-kind, cioè in forma di beni o servizi non monetari e il 54% ha offerto servizi pro-bono (40% nel 2012). Aumenta anche il coinvolgimento dei dipendenti: in particolare, il 59% delle imprese prevede giornate/ore di volontariato retribuite per i propri dipendenti (era il 54% nel 2012).
Sono invece 9 su 10 le imprese che prevedono almeno un programma di matched giving -programmi attraverso cui le aziende promuovono le donazioni dei propri dipendenti a favore di organizzazioni non profit incrementandole con risorse proprie.
Crescono anche le corporate foundations, tramite cui le imprese elargiscono il 33% del cash giving totale. Il 76% delle imprese analizzate ha infatti una propria fondazione.
Salute e istruzione per minori di 12 anni sono le principali destinazioni delle donazioni, rispettivamente 26% e 16%, ma cresce anche l’area STEM, un’area strategica per le imprese, poiché possibile fonte di capitale umano qualificato. Interessante, infine, come alcune imprese stiano riorientando le proprie strategie di giving sulla base dei Sustainable Development Goals, considerati un framework chiaro ed immediato e che permette una facile comunicazione/condivisione degli obiettivi con il mondo non profit.
I filantropi del futuro
Un altro aspetto emerso è quello del potenziale della “next generation donors”, la futura generazione di filantropi, che potrà rivelarsi come la più innovativa nella storia della filantropia, secondo quanto illustrato da Lorenzo Piovanello, Director, Philanthropy Advisory and Sustainable Investing UBS. Questa generazione si troverà infatti ad affrontare problemi e bisogni sociali complessi, ma avrà anche per le mani un capitale davvero ingente (40 trilioni di dollari entro il 2050), una maggiore attenzione all’impatto dei propri progetti e sarà meglio informata sugli strumenti a disposizione. Una nuova generazione di filantropi che intende superare la relazione univoca tra donatore e ricevente per costruire partnership collaborative, cambiando il proprio paradigma di azione da "make money, then donate" to "make money AND engage".
Il modello svizzero
Il confronto con i Paesi oltre confine ha infine offerto ulteriori spunti di riflessione. In particolare, il caso svizzero – presentato da François Geinoz, Direttore Limmat Foundation – ha permesso di approfondire il modello delle fondazioni-ombrello. Questo modello consiste nella creazione di sotto-fondazioni che restano indipendenti dalla struttura principale (mantengono proprie finalità, capitali, e membri) ma, entrando nella sua rete, riescono a migliorare il proprio impatto pur continuando a rispettare i desideri e gli obiettivi dei propri donatori/fondatori.
Nel periodo 2011/2015 la Fondazione Limmat, attiva soprattutto nell’ambito sociale ed educativo, ha visto nascere 16 sottofondazioni, in un panorama nazionale che conta 13.000 fondazioni ONLUS che gestiscono un’erogazione annua tra 1,5 e 2 miliardi. La Svizzera è infatti un paese attrattivo per il settore delle fondazioni per la sua legislazione liberale, per la sua tradizione umanitaria e per la presenza di forme di autocontrollo che, affiancandosi ai controlli esterni, assicurano un alto grado di trasparenza e la coerenza con la volontà dei donatori.
La seconda giornata di lavori si è chiusa con un focus sulle partnership internazionali curato da Chiara Maria Lévêque, Philanthropy Advisor per Fondazione Lang Italia, che, attraverso la presentazione di alcune fondazioni d’impresa internazionali, ha esposto le opportunità di internazionalizzazione di progetti e finanziamenti, ribadendo tuttavia la necessità di costruire nel tempo solide reti comunicative e relazionali.
Per approfondimenti è possibile consultare il sito di Fondazione Lang Italia o scrivere a Simone Castello (s.castello@fondazionelangitalia.it). Il prossimo appuntamento del V Corso Executive in Filantropia Strategica sarà dedicato alla “Valutazione dell’impatto sociale. Metodi di misurazione e Theory of Change per raggiungere i risultati desiderati” e si terrà a Milano il 6-7 aprile (info e iscrizioni qui).