In un periodo di crisi dove si susseguono emergenze di varia natura, la ricerca, l’innovazione e le idee devono poter assumere forme reali e concrete. In questo senso, l’innovazione sociale – tanto in tema di prodotti che di servizi e modelli – deve potersi manifestare nella pratica e, al tempo stesso, essere in grado di creare nuove relazioni e nuove collaborazioni.
Si tratta, quindi, di cambiare prospettiva ed essere in grado di fermarsi ed analizzare tutto ciò che fino a poco tempo fa veniva dato per scontato, togliendo le sicure e avventurandosi verso nuovi orizzonti. Una reazione che può aiutare ad affrontare un momento di difficoltà, ma che rappresenta anche una fonte di energia nuova che spinge ad individuare soluzioni per un futuro diverso.
A Torino Articolo 10, associazione che cerca di dare risposte a un problema estremamente attuale come l’immigrazione, sia sul fronte emergenziale che dell’integrazione, sta cercando di adottare un approccio realmente innovativo in tema di accoglienza. Abbiamo chiesto a Barbara Spezini, responsabile dell’attività sociale di Articolo 10, di raccontarci in che modo sta operando la sua associazione.
Parliamo di Articolo 10 e del suo approccio innovativo in tema di accoglienza…
Da anni cerchiamo di proporre e intendiamo occuparci di innovazione sociale: per questo nel 2013 abbiamo creato l’associazione Articolo 10. Lo scopo principale della nostra associazione è quello di accompagnare nuclei familiari e donne migranti, spesso senza progetto ed estremamente vulnerabili, nel difficile percorso di inclusione sociale. Per fare questo, crediamo fermamente in due elementi: l’innovazione e la cultura del diritto.
Da un lato, infatti, siamo consapevoli che tramite l’innovazione sociale si possano creare nuovi percorsi e progettualità per quanto riguarda l’integrazione e il sostegno alla povertà, nuovi percorsi che esulino da una concezione ormai superata di welfare.
Altro caposaldo della nostra attività è la cultura del diritto: crediamo che il diritto ad oggi sia minato da uno stato permanente di emergenza, che rende impossibile, o quantomeno estremamente difficile, l’inclusione sociale. In questo contesto costruito attorno alla pura emergenzialità, non ci sono le basi e non viene data ai migranti la possibilità di integrarsi. Il progetto “Well Done” segue le tracce di questa nostra visione, e cercadi concretizzarla.
Ci può spiegare meglio come funziona "Well Done"?
Il progetto nasce dalla difficoltà di trovare spazio nella visione di welfare dei progetti proposti sul nostro territorio: vincolati da una visione che secondo noi risulta superata, non riuscivamo a concretizzare la nostra volontà di creare innovazione, di cambiare le regole e cercare nuove vie e soluzioni. Infatti, il concetto di “welfare generativo” e quello di “beni di prossimità”, che sono cruciali all’interno del progetto, spesso vengono considerati in ottica prettamente assistenzialista. Questo approccio fa sì che l’intervento si concretizzi in consegna di beni e aiuti (cibo, pannolini, farmaci etc.) che permettono di far fronte a esigenze del momento senza in realtà favorire la condizione per lo sviluppo di una vera autonomia. Questi interventi, seppur utili in alcuni casi, non affrontano le radici del problema.
Il progetto “Well Done” intende essere un progetto sperimentale capace di sviluppare un network che offre strumenti attivatori di percorsi di indipendenza delle donne e famiglie rifugiate e, più in generale, straniere. Andando alla radice del problema, infatti, crediamo che la soluzione al problema stesso sia più vicina.
Su cosa si basa questo progetto?
Il progetto “Well Done” si basa sull’importanza della rete, elemento chiave che sempre più va assumendo un ruolo essenziale nella progettualità nell’ambito di un welfare che vuole rinnovarsi. L’idea di base è molto semplice, anche se il suo studio ha richiesto uno sforzo globale ed intenso da parte di tutti i partecipanti al progetto: mettere insieme le forze del territorio per valorizzarne le competenze e specificità, con uno scopo ben chiaro e comune. Questo avviene all’interno di un progetto che renda sistemico l’intervento verso gli utenti selezionati.
Articolo 10, con la sua esperienza nell’ambito dell’accompagnamento socio-educativo, fa da “collante”. Gli enti e le associazioni che fanno parte della rete "Well-Done", sono gli enti con cui Articolo 10 da tempo collabora nella ricerca di possibili soluzioni rispetto ai diversi settori in cui la vita di ciascun individuo si sviluppa: salute, lavoro, scuola, infanzia, cultura, diritto, casa, etc. Quindi i partecipanti al progetto sono stati coinvolti in base alla tipologia ed alla qualità dei servizi che essi offrono. Incredibilmente, nel momento in cui ci siamo trovati a confrontarci su questa idea è emerso che anche nell’ambito della loro attività, manca qualcosa di cui hanno molto bisogno: un buon accompagnamento socio-educativo.
Quali sono gli enti coinvolti?
Il processo di integrazione della popolazione immigrata è quanto mai complicato, e prevede un graduale inserimento in diversi ambiti che possono poi portare ad un’effettiva autonomia. Le aree interessate in questo senso sono: diritto, salute, casa, lavoro, formazione, minori, assistenza legale, cultura. Premettendo che le donne e le famiglie coinvolte nel nostro progetto sono presenti sul territorio da diverso tempo, l’elemento della conoscenza linguistico lo diamo, almeno in parte, per assodato.
Per garantire un accompagnamento che prenda in considerazione gli altri elementi chiave, abbiamo immaginato di operare in collaborazione con Enti che operano e sono specializzati nei diversi ambiti, necessari nel percorso di accompagnamento verso l’autonomia. Attualmente aderiscono in questa prima fase:
• Fondazione Don Mario Operti: per quanto concerne l’inserimento lavorativo e l’inserimento abitativo. Inoltre, potrà sostenere le beneficiarie che intendano avviare un’impresa con progetti di micro-credito.
• Cooperativa Giuliano Accomazzi: relativamente al tema minori, potrà dedicarsi alla presa in carico di bambini e ragazzi sostenendo in modo particolare l’inserimento scolastico facilitando lo sviluppo delle competenze individuali, l’aggregazione con gruppi di pari, l’inclusione e il benessere individuale. L’educatore diventa ponte tra la famiglia , la scuola e le realtà aggregative ed educative presenti sul territorio , permettendo ai bambini e ragazzi di esprimere le loro singole capacità generando processi volti alla crescita individuale dei singoli.
• Mamre Onlus: per quanto concerne il supporto psicologico rispetto al tema salute. Offrirà anche, nell’ambito del tema minori, la sua professionalità attraverso la formazione del personale scolastico (proposto o richiesto) e della mediazione del conflitto tra famiglia e personale scolastico.
• Cottolengo: per quanto concerne la ricerca casa e l’inserimento abitativo.
• Housing Giulia, dell’Impresa Sociale Coabitare: progetto che, attraverso percorsi mirati di accompagnamento sociale, promuove l’autonomia abitativa di persone che si trovano in una condizione temporanea di fragilità e vulnerabilità sociale.
• Mosaico: si occuperà di cultura e dei diritti dei rifugiati. Si vorrebbe sviluppare una sorta di “educativa del diritto” dedicata ai migranti: perché l’integrazione funzioni, c’è infatti bisogno di un mutuo scambio, collaborazione e conoscenza reciproca.
Con la precedente amministrazione comunale, avevamo concluso un accordo di collaborazione con l’agenzia per la casa del Comune di Torino Lo.C.A.Re. la quale avrebbe offerto l’accesso ai loro servizi, alle beneficiare di uno dei nostri progetti. Stiamo lavorando per rinnovare tale accordo. Inoltre, siamo anche in contatto con altri enti che ancora devono formalmente aderire al progetto.
Quali sono gli elementi di innovazione di questo progetto?
Come detto, vogliamo portare avanti un nuovo concetto di welfare generativo e creare un progetto sperimentale, una ricerca-azione che ottimizzi le forze già presenti sul territorio. Ogni ente ha una specificità ed è bravo in ciò che fa, ma manca sempre qualcosa. Mettersi insieme vuol dire condividere, rendere più efficace e sinergico un intervento educativo. Vuol dire non essere soli ad affrontare questo stato di emergenzialità che mette a dura prova anche gli operatori che sono coinvolti. Vuol dire essere più obiettivi, vuol dire fare insieme e pensare insieme soluzioni migliori da proporre sia alle persone di cui ci occupiamo che alle istituzioni. Significa dare maggiori garanzie.
Un altro elemento innovativo è la tecnologia. Infatti, stiamo lavorando per la predisposizione di un sistema informativo che semplifichi la condivisione dei dati e dei processi tra i diversi enti in modo da rendere più semplice l’integrazione, la disponibilità delle informazioni ed aumentare di conseguenza l’efficienza e l’efficacia dell’azione progettuale a favore dei beneficiari, evitando, così, anche le sovrapposizioni di erogazione dei servizi.
Il progetto è sicuramente sperimentale: nella sua complessità, siamo consapevoli della sua perfettibilità e della necessità di operare nel concreto proprio per identificare le aree di miglioramento e capire come potenziarne l’azione. Quello che infatti vorremmo è che esso diventi una buona pratica, e che essa sia replicabile e divulgabile anche con beneficiari differenti.
Riferimenti