Pochi giorni fa nell’Aula Bontadini dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano è stato presentato il primo numero del 2016 della rivista “Politiche Sociali”, pubblicazione dedicata agli studi sulle politiche sociali edita da Il Mulino. Il fascicolo è dedicato al terzo settore e, nonostante sia stato dato alle stampe prima che il Parlamento approvasse il decreto legislativo sulla riforma, offre spunti molto interessanti che vi riproponiamo di seguito.
La mattinata è stata aperta dai saluti di Giancarlo Rovati direttore del Dipartimento di Sociologia dell’Università Cattolica, che ha evidenziato quattro concetti importanti per comprendere il terzo settore: solidarietà, sussidiarietà, dignità e collante della società.
Se l’azione del primo settore, il pubblico, si base sugli imperativi legali, e l’azione del secondo settore, il mercato, si basa sul profitto, l’azione del terzo settore è informata al codice simbolico della reciprocità; in questo modo si ha un settore della società governato dalla logica dell’altruismo e della solidarietà. Il terzo settore esprime però anche sussidiarietà, in quanto mette in luce la capacità dei cittadini di risolvere i problemi senza attendere che siano altri, magari le istituzioni pubbliche, a farsene carico. In tal senso, il terzo settore contribuisce alla realizzazione del bene comune o, secondo altre formulazioni, “beni comuni”, garantendo il protagonismo sociale di tutti i cittadini, diventando così promotore di dignità. Il terzo settore è quindi un collante per la società in quanto stimola la condivisione di idee e valori, sviluppando la collaborazione tra cittadini.
All’introduzione di Rovati è seguita la presentazione di Valeria Fargion, docente dell’Università degli Studi di Firenze e direttrice della rivista “Politiche Sociali”, e gli interventi di Gian Paolo Barbetta (Università Cattolica) sull’analisi statistica dei dati sul terzo settore italiano, Massimo Campedelli (Istituto Dirpolis) sul rapporto tra terzo settore e politiche di welfare e del senatore Stefano Lepri sulla riforma del terzo settore.
Fargion ha spiegato come la rivista “Politiche Sociali”, fondata nel 2014 (in un periodo sicuramente non facile per l’editoria), è nata per raccontare le attività di Espanet Italia in tema di sviluppi delle politiche sociali nel contesto italiano, ma con un occhio puntato sull’Europa. L’ultimo numero della rivista è stato dedicato al terzo settore e, per una felice coincidenza, è uscita proprio in concomitanza con l’approvazione del testo da parte del Parlamento.
Perché questa particolare attenzione al terzo settore? Fargion ha spiegato come nel corso dei suoi studi non si fosse mai occupata direttamente del terzo settore. Tuttavia, raccogliendo i dati per la sua tesi di dottorato sulle differenze nella gestione dei servizi sociali nelle Regioni italiane, si è resa conto di come nelle Regioni “rosse” il terzo settore avesse un ruolo marginale privo di ogni riconoscimento pubblico, mentre nelle Regioni “bianche” vi fosse una forte collaborazione tra ente pubblico e terzo settore; si articolava così un modello scandinavo basato sul primato dell’ente pubblico che svolgeva la doppia funzione di programmazione ed erogazione dei servizi e un modello pluralista basato sulla collaborazione tra soggetti pubblici come la regione e gli enti locali e privati come le organizzazioni del terzo settore. Non è quindi possibile studiare le politiche sociali senza analizzare il ruolo svolto dal terzo settore.
Tutto questo però svanì con gli anni ’80 e ’90 quando, a causa delle mutate condizioni economiche, (riduzione di risorse economiche pubbliche, vincoli di bilancio, limiti alle assunzioni) le divergenze iniziarono ad attenuarsi fino a quasi scomparire; le Regioni rosse, dovendo rivolgersi a privati per garantire i servizi, cominciarono a riconoscere anche a livello normativo il ruolo del terzo settore mentre le Regioni bianche iniziarono a pianificare e programmare i servizi.
Ovviamente l’evoluzione del terzo settore italiano non è scevra di problematiche. La Fargion, in base alle sue esperienze professionali e di ricerca, ha sottolineato cinque criticità principali:
- il terzo settore è un mondo eterogeneo che comprende soggetti molto diversi. Vi è quindi il rischio che realtà grosse e strutturate si impongano marginalizzando soggetti più piccoli; un aspetto che è particolarmente evidente nelle gare di appalto nei servizi alla persona;
- l’apertura di molti enti pubblici al terzo settore è dovuta alla necessità di contenere i costi: questo porta a gare d’appalto al ribasso senza risorse destinate ai processi di valutazione e monitoraggio, con il rischio di abbassare gli standard di qualità;
- in vari casi le condizioni di lavoro nel terzo settore sono pessime: vi è un forte precariato, non vi sono investimenti sulla formazione del personale e vi è una grande spaccatura tra gli operatori che lavorano sul campo e le cui competenze sono poco valorizzate e i dirigenti che fanno progettazione;
- molte organizzazioni del terzo settore stanno adottando un modello gestionale di tipo aziendalistico con il rischio di perdere di vista i valori di fondo e il senso stesso del terzo settore;
- il coinvolgimento del terzo settore nella programmazione e progettazione dei servizi alla persona può essere una fonte di rischi per la democraticità quando vi è una disparità di dimensioni e risorse tra le varie organizzazioni coinvolte.
Nel suo intervento Gian Paolo Barbetta ha presentato una ricerca basata sui dati statistici raccolti dall’Istat sul terzo settore in Italia. Confrontando le rilevazioni dei censimenti del 2001 e del 2011 a prima vista sembra che in Italia vi sia stato un grande incremento delle organizzazioni del terzo settore e del personale occupato nel settore, ma un’analisi più approfondita rileva come l’aumento non sia così sensazionale in quanto vi sono organizzazioni già pre-esistenti, ma non rilevate nel 2001, e organizzazioni esistenti nel 2001 ma cessate nella fascia temporale considerata; inoltre le realtà più solide e con aumento di personale sono prevalentemente quelle storiche.
Campedelli, analizzando il rapporto tra le politiche di welfare ed il terzo settore, ha evidenziato come talvolta vi siano stati dei fallimenti nella costruzione della sinergia o nell’esito della stessa; nel primo caso è mancato l’obiettivo di costruire una sinergia tra attori pubblici e privati, nel secondo la sinergia è stata costruita ma non ha raggiunto gli obiettivi prefissati. Da questo, secondo Campedelli, si evince l’importanza delle procedure di valutazione e analisi dei risultati condivisi.
Il senatore Lepri ha infine esposto i contenuti del decreto legislativo, di cui è stato relatore al Senato della Repubblica. Lepri ha spiegato le cinque sfide che il Parlamento ha dovuto affrontare per affrontare la riforma:
- il riconoscimento giuridico del terzo settore;
- stimolare l’unitarietà e le sinergie;
- sviluppare una normativa più flessibile attenuando le differenze tra organizzazioni simili e favorendo le trasformazioni e fusioni;
- il controllo e la valutazione;
- prevedere nuovi incentivi fiscali.
Dopo una pausa, Rosangela Lodigiani (Università Cattolica del Sacro Cuore) ha coordinato una tavola rotonda con l’onorevole Maurizio Lupi (Area Popolare, membro e fondatore dell’Intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà), Sergio Silvotti (Portavoce del Forum del Terzo Settore Lombardia) e Stefano Granata (presidente Gruppo Cooperativo CGM). Ha chiuso l’incontro il Guido Merzoni preside della Facoltà di Scienze politiche e sociali.
Qui è possibile consultare l’indice della rivista “Politiche Sociali”.