Studiosi e premi Nobel invitano ad aggiornare la classificazione della vita. L’età non è solo un limite e non è necessariamente un problema, ma può anzi essere una risorsa. Anche perché la vecchiaia, nonostante tutto, non ha il monopolio della debolezza o della cattiva salute.
Oggi a 65 anni ogni uomo e ogni donna può dire «anziano sarà lei» a un incauto interlocutore rimasto fermo ai pregiudizi. Perché negli ultimi cinquant’anni è cambiato tutto. Oggi 13 anni sono l’attesa di vita di un uomo di 73 anni e di una donna di 75 anni. Se utilizzassimo l’attesa di vita residua di 13 anni come criterio per definire la soglia di entrata nell’età avanzata oggi in Italia 6,5 milioni di persone di età compresa fra 65 e 74 anni non verrebbero più considerati anziani.
Non è una rivoluzione lessicale. Indica una trasformazione in corso: la soglia di transizione mobile si porta dietro un serie di effetti da non lasciare alla deriva. I dossier dell’Onu e il rapporto «An Aging World 2015» ci avvertono che per la prima volta nella storia dell’umanità la percentuale degli ultrasessantacinquenni supererà quella dei bambini di età inferiore ai cinque anni. Il punto d’incrocio è dietro l’angolo: avverrà prima del 2020. In Italia, ci ha ricordato l’Istat, nel 2015 ci sono state 15 mila nascite in meno rispetto al 2014: il minimo storico da quando c’è lo Stato unitario. E nel 2050 la percentuale degli ultrasessantacinquenni sarà più del doppio di quella dei bambini.
La quinta età, i premi Nobel invitano ad aggiornare le fasce della vita
Giangiacomo Schiavi, Corriere della Sera, 25 maggio 2016